L'interesse per la conoscenza come base per la valorizzazione del nostro patrimonio. A colloquio con il vicepresidente di Archeoclub d'Italia Walter Scotucci

FERMANO - Walter Scotucci è un affermato medico pediatra, grande conoscitore d'arte (tra l'altro molto amico di Vittorio Sgarbi) nonché vicepresidente nazionale Archeoclub d'Italia, la più grande associazione nazionale di volontariato culturale che vanta circa settemila soci in Italia e duemila nelle sole Marche. Nella nostra zona sono attive le sedi di Fermo, Monterubbiano-Valdaso, Carassai, Comunanza, Cupra Marittima, Montegiorgio, Montegranaro, Morrovalle e Civitanova Marche.

Partendo dal presupposto che la cultura, l'arte, e quindi l'archeologia sono e devono essere intese come preziose risorse per il nostro Paese, quanto siamo “ricchi” nel Fermano? “In tutto il territorio - afferma Scotucci - abbiamo una stratigrafia costante dal paleolitico medio ai nostri giorni. Non esiste una parte non antropizzata, dappertutto puoi trovare punte di freccia o amigdale (selci scolpite dagli uomini primitivi) e recenti reperti dell'archeologia industriale. Antropizzazione e poi colonizzazione, come quella avvenuta in epoca romana, cito gli esempi di Firmum e Falerio. Quindi in sostanza parliamo di un territorio insediato riccamente in tutte le epoche, dalla cultura preistorica, alle neolitica, alla cultura medio adriatica dell'età del ferro, alla romanità, all'epoca tardo antica, Medioevo, Rinascimento: abbiamo testimonianze di tutte le epoche”.

Il secondo passo: quanto ne siamo consapevoli? “Io penso che quello italiano è purtroppo un popolo che sta imbarbarendo velocemente. Nonostante lo sforzo fatto in tutti questi anni di avvicinare la gente alla cultura, sempre meno persone oggi ne sono attratte. L'archeologia è la ciliegina sulla torta, riguarda la consapevolezza della propria identità, del proprio essere, della propria provenienza. Per arrivare a questo livello occorre salire di un gradino nella scala di attenzione alla cultura. Di conseguenza tra tutte le branche della cultura è quella che soffre più di tutte. Io mi occupo di quest'ambito dal 1973 e devo dire che in questi anni non ho potuto constatare un incremento tangibile dell'attenzione riguardo l'archeologia, anzi semmai ho riscontrato il contrario: l'archeologia viene spesso considerata un problema e non una risorsa: basta pensare ai possibili blocchi dei lavori di costruzione di edifici in caso di ritrovamento di beni archeologici.

Penso ad esempio a Falerone che ha le proprie radici sopra la città romana. Anche Fermo è stratificata sopra l'antica colonia romana, ha avuto la fortuna di salvaguardare integralmente il sistema idrico mentre il teatro è solo parzialmente visibile e dell'ipotetico anfiteatro non c'è traccia ma solo ipotesi. Fermo è una realtà che ha risorse straordinarie in tutte le epoche e che, a parer mio, meriterebbe qualcosa di più. In passato esisteva un museo archeologico che è stato dismesso e sostituito da una mostra permanente a Palazzo dei Priori ma con la maggior parte dei reperti nascosti in depositi non visitabili. E qui sperimentiamo l'importanza della consapevolezza della nostra cultura e della nostra storia.

Per il mio ruolo all'interno di Archeoclub ho viaggiato molto e cito esperienze come quelle di Trinitapoli e di Rutigliano dove centinaia di persone ci aspettavano e reclamavano il proprio museo archeologico. Anche Fermo potrebbe avere tutto, con una collocazione degna nel del Palazzo dei Priori dove purtroppo sono insediate altre realtà, ma non ho notato negli anni grande sensibilità verso la giusta valorizzazione del nostro importante patrimonio culturale”.

C'è una ricetta per poter invertire la rotta, favorendo la consapevolezza, la fruizione e poi, di conseguenza anche un ritorno turistico ed economico grazie all'archeologia? “Purtroppo non ho ricette. Sono convinto che il punto carente principale sia la conoscenza, ossia studio, ricerca e poi diffusione della conoscenza stessa e dell'amore, della passione per le radici della popria identità. Un dovere 'sacrale' dell'attaccamento al luogo in cui siamo nati a cui tutti siamo chiamati. Conoscere la storia di dove siamo nati è un po' conoscere la storia della propria famiglia allargata. La prima cosa da fare quindi è di cercare di comunicare questa necessità per poi stimolare al piacere dello studio.

E' la conoscenza che fa crescere conseguentemente il corso della tutela e della valorizzazione. La tutela che, va ricordato, è appannaggio di ogni cittadino che è proprietario dei beni e non di pochi funzionari, per cui nel momento in cui qualcuno demolisce, distrugge, porta via la memoria di tutti gli altri dovremmo sentirci la coscienza sporca. Oggi questa coscienza non c'è, pensiamo al momento e non al bene comune. Facendo un parallelo, se la gente oggi è appassionata di calcio, reclama gli stadi, dove fosse appassionata della propria storia reclamerebbe musei come punto di partenza per la conoscenza del proprio territorio e delle proprie radici”.

Da dove partiamo allora? “Senz'altro dalla scuola", spiega Scotucci. "La politica sulla scuola è carente. Una politica di imbarbarimento, ripeto. L'Italia da sempre è stata il cuore della cultura. L'arte italiana la conoscono tutti meno che noi! Stiamo perdendo una missione che definirei planetaria, ossia di essere lo stato dell'arte, della bellezza, in cui l'armonia del paesaggio, celebrato da Leopardi e dai grandi viaggiatori dell'Ottocento, è venuta meno negli ultimi anni. In tal senso la scuola a volte riesce a togliere il piacere per la conoscenza della propria storia e della propria cultura. Occorre 'impostare le cose in modo diverso: la scuola deve seminare amore per la cultura e per l'arte. Tali semi poi saranno coltivati (e da qui la parola “cultura”) dagli studenti. Mentre oggi, per restare in metafora, ti annoio talmente tanto che poi tu mi dirai “Coltivare? Mai più nella mia vita!” Il terreno dunque si inaridisce. Devono cambiare le direttive dall'alto e, possibilmente, devono cambiare in fretta”.


Alessandro Sabbatini

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