Siamo aperti

Come rinascere dalle proprie rovine

I buddisti la chiamano “impermanenza”: è il concetto della trasformazione e del divenire delle cose fino alla loro scomparsa, che poi scomparsa vera e propria non è. Noi dell’Occidente abbiamo una certa resistenza a comprendere il concetto ma, volenti o nolenti, gli esempi dell’impermanenza li abbiamo costantemente sotto gli occhi: sono i ponti dell’autostrada che si rovinano e (scusate il calembour) rovinano irrimediabilmente su quei poveri disgraziati che ci capitano sotto. E ancora: anno dopo anno, gli edifici storici che i segni del tempo intaccano pesantemente e dopo aver resistito per secoli non reggono più e si sgretolano lentamente, quando non ci si mette anche il terremoto a dargli il colpo di grazia. Naturalmente, oltre all’impermanenza “statica”, esiste anche una impermanenza “funzionale”: parliamo di edifici destinati ad uno scopo che, con il cessare l’attività per cui sono stati costruiti, rimangono dei vuoti contenitori magari belli, ma purtroppo considerati ormai inutili, lasciati all’inclemenza del tempo che passa e ai vandali. Un esempio potrebbe essere quello delle mura che ospitavano, un tempo, gli allevamenti di bachi da seta: finito il business della produzione della seta in Italia, quelle caratteristiche costruzioni sono state aggredite dal degrado, figlio dell’incuria, perché non più funzionali allo scopo per cui erano state create. E nessuno a cui venga in mente magari di cambiarne la destinazione d’uso ed adibirle ad altre mansioni. Il grado di civiltà di una nazione si misura anche dalla capacità che hanno i cittadini di preservare la propria Memoria storica, ovvero la “Memoria di chi si era”, cominciando appunto dal preservare le antiche architetture e non solo quelle di enorme spessore artistico, ma anche tutte le altre che, più o meno pregevolmente, testimoniano aspetti della Storia, del Costume, della tecnologia e della Cultura dei tempi passati. Ma forse qualcosa si sta muovendo e pare che, alla luce di questa campagna contro “l’impermanenza del mattone”, cominciamo ad assistere a un brulicare di attività tese al recupero della fruibilità di edifici artistici (teatri e palazzi gentilizi ad esempio) con il proposito in primis di restituire la originaria bellezza in sé degli edifici, ma anche per renderli luoghi di incontro, di fruizione del Bello e della Cultura. E se questo vale per gli edifici storici, vale anche per gli edifici moderni che sono stati lasciati a se stessi, già abbandonati al degrado magari senza mai essere stati usati per lo scopo per cui erano stati costruiti: esemplare, a questo proposito, il Terminal di Fermo, che finalmente ha iniziato una nuova vita come luogo d’incontro e di cultura. Qui la lotta all’impermanenza è serrata, l’edificio “nuovo”, macchiato dall’onta dell’inutilità e del non uso, ha generalmente strada dura per ritrovare una dignità morfologica. Ma Amministrazioni serie di un territorio sanno che abbandonare un manufatto e non trovare il modo di farlo vivere ed essere utile alla collettività anche in altra maniera, è una sconfitta culturale oltre che morale. Si mortifica il lavoro di chi l’ha costruito e non si ha rispetto per le risorse economiche che sono state impiegate, ovvero per i soldi dei cittadini. E si sancisce il fatto che consumare il territorio per costruire fabbricati che non servono è una operazione eticamente lecita: non è così. Ben vengano, dunque, tutte quelle operazioni di restauro, di riqualificazione urbana che sono già state fatte nel territorio fermano e speriamo che ne vengano messe altre in cantiere perché, come diceva un amministratore del passato: “E’ vero che la Cultura ha un costo alto, ma è altrettanto vero che l’ignoranza produce danni, anche in termini di costi, molto più elevati”.

Daniele Maiani



Sala dei Ritratti, Termina e ex Betti: Fermo è sempre più viva

Le date hanno un significato speciale. Fermo, in particolare, ne ha annotate altre due nel suo 2019: il 12 ottobre e il 6 dicembre. La prima ha segnato la riapertura del primo piano del Palazzo dei Priori, luogo simbolo della cultura ma anche della politica cittadina. All’interno, infatti, si trovano la Sala dei Ritratti e la Sala del Consiglio comunale che, dalla chiusura provocata dal sisma del 2016, è stata trasferita nella Sala consiliare della Provincia. Un ritorno a casa, come evidenziato all’unisono dal sindaco Calcinaro e dal suo vice Trasatti. E subito dopo il taglio del nastro è iniziata una lunga serie di richieste per utilizzare lo spazio in occasione di convegni, seminari e incontri pubblici, come da tradizione. Perché tra queste pareti sono passati alcuni dei più importanti rappresentanti istituzionali del Paese, figure politiche di spessore, scrittori, musicisti, fotografi ed artisti di vario genere, oltre ad essere stato luogo di straordinarie esposizioni. E tornare a giocare un ruolo centrale nello scacchiere turistico regionale, anche grazie alla ritrovata Sala dei Ritratti, è per Fermo motivo di orgoglio e di vanto. La seconda data è stata quella del 6 dicembre e ha portato con sé molti più elementi di valutazione. Vedere definitivamente aperte le porte del terminal, infatti, ha rappresentato un passaggio epocale nella storia della città. Parliamo, infatti, di uno spazio strategico, collocato nella parte più alta dell’area parcheggio più imponente e proprio a ridosso del centro storico. Uno spazio realizzato vent’anni fa ma rimasto chiuso, tra interrogativi, promesse mai mantenute e varie vicissitudini anche di carattere strutturale. Ma un capoluogo di provincia, che nel suo piccolo prova a guardare oltre i confini nazionali, non poteva continuare a sopportare un simile scempio. E così l’Amministrazione Calcinaro ha lavorato alacremente per recuperare questa eccellenza, facendo anche una scelta sorprendente ma con una logica ben precisa: intitolarlo alla memoria del fotoreporter Mario Dondero, uno che nel mondo ha viaggiato senza sosta e che tra un autobus e l’altro ha incontrato un’umanità disparata, imprimendone anche le più intime sfumature nelle proprie fotografie. Infine, un luogo che ancora non ha una data di riapertura ma per il quale si sta lavorando a pieno ritmo per restituirgli una funzione cruciale. Parliamo dei locali dell’ex scuola media “Betti” (foto), anch’essi serrati subito dopo il terremoto di oltre tre anni fa. Fuori gli studenti, fuori i docenti, fuori un mondo che per decenni aveva animato quell’angolo di Fermo. Un vuoto che ora si tenta di colmare destinando la struttura ad un’altra finalità: farne un polo di animazione culturale e di inclusione sociale. Dopo l’accordo di inizio dicembre firmato dal Comune con i partner progettuali (Cooperativa Sociale Nuova Ricerca Agenzia Res, Avanzi srl e Wega), a fine anno è stata siglata la convenzione con il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri. In totale, tra la prima e la seconda fase, l’Amministrazione comunale potrà contare su quasi 2 milioni di euro per la riqualificazione dell’edificio.

Andrea Braconi



Quelle chiese che rinascono

l’aspetto spirituale, ma anche per quelle connotazioni culturali che da nord a sud del Paese ne fanno mete ambite, da credenti e non. Nel periodo successivo ai terremoti tra agosto 2016 e gennaio 2017 si è discusso molto di priorità: prima la ricostruzione delle case o quella delle chiese? Una riflessione, a nostro parere, sbagliata per un semplice principio: entrambe sono essenziali – sì, essenziali – per mantenere viva una comunità, un territorio, una regione e un’intera nazione. Perché sulla presenza, attiva, di una popolazione e sulla possibilità di visitare autentici scrigni di storia si poggia un intero tessuto sociale. E da qui, allora, è nata la riflessione su alcuni dei nostri spazi simbolo. E la scelta è caduta su quattro chiese, quattro meraviglie che, per vari motivi, hanno rappresentano negli scorsi secoli e continuano a rappresentare parte della linfa vitale del Fermano. MONTEFORTINO Intanto, il Santuario della Madonna dell’Ambro. Chiuso e messo in sicurezza in maniera anche rocambolesca dopo le scosse del 2016, è stato riaperto la notte di Natale del 2019, alla presenza dell’arcivescovo Rocco Pennacchio. A ridare vita (e a garantire una maggiore sicurezza) a questo gioiello incastonato tra i Sibillini è stata la Cassa di Risparmio di Fermo che, come più volte rimarcato dal presidente Amedeo Grilli, ha scelto di riversare ingenti risorse nel suo recupero consapevole dell’importanza che riveste quella che è stata definita una piccola Lourdes. AMANDOLA Altro bene fortemente danneggiato dal sisma l’Abbazia dei Santi Ruffino e Vitale di Amandola, tornata a splendere il 10 agosto dello scorso anno. Forte l’impegno dell’Arcidiocesi di Fermo, rappresentata da monsignor Pennacchio, con un intervento di 300.000 euro finanziato attraverso l’ordinanza 32 del 22 giugno 2017 che ha permesso un importante lavoro di consolidamento e restauro, facendo riemergere anche alcune porzioni di pareti in pietra. MASSA FERMANA Il 7 dicembre 2019 è invece la data che i cittadini di Massa Fermana ricorderanno per sempre. Nel pomeriggio di quel giorno, infatti, monsignor Pennacchio ha riaperto il portone della Chiesa parrocchiale dei Santi Lorenzo, Silvestro e Ruffino. Anche in questo caso i fondi necessari derivavano dall’ordinanza commissariale 32 del giugno 2017, questa volta con un importo di poco inferiore ai 270.000 euro, hanno permesso di riparare i danni riscontrati in vari punti dell’edificio e le infiltrazioni d’acqua sui soffitti delle navate laterali e nella zona abisidale. In primavera, inoltre, verranno riposizionate le opere dei fratelli Crivelli, al momento visitabili nella Pinacoteca Civica. FERMO Da ultimo, abbiamo tenuto il capoluogo di provincia, fuori sì dal cratere sismico, ma non indenne dagli effetti delle scosse di oltre tre anni fa. Anzi, sono stati diversi gli spazi che hanno necessitato di interventi, anche significativi. Tra questi la maestosa Chiesa di San Francesco (foto), sul lato est della città, riaperta il 22 settembre 2019 sempre alla presenza dell’arcivescovo e dell’allora commissario straordinario alla ricostruzione Piero Farabollini. Un recupero, come lo stesso arcivescovo lo ha definito, non solo di una chiesa ma di un patrimonio a cui l’intera collettività è sempre stata legata.

Andrea Braconi

Nuova destinazione per l'ex Cinema Excelsior

Si discute del futuro dell’ex cinema Excelsior di Porto San Giorgio. Si tratta di ridare nuova vita e funzionalità ad un edificio storico, nel cuore della città, per restituirlo alla comunità pensando ad una destinazione diversa. Lo stabile risulta infatti chiuso dagli anni Novanta, attualmente è fatiscente e pericolante, puntellato anche al suo interno in seguito a crolli per via del terremoto. Dopo la fase di stallo, durata per anni, a causa del contenzioso giudiziario del quale l’immobile era oggetto, qualche mese fa si è arrivati finalmente all’apertura e all’accordo tra la proprietà Excelsior Cinematografica s.r.l. e il Comune. Si parla di un’unione d’intenti, una sintesi della duplice necessità di ricavare degli utili dall’immobile da parte del privato e della richiesta del Comune di ottenere all’interno dell’edificio una sala per incontri pubblici con un numero di posti adeguati alla cittadina, una sala convegni, concerti ed esposizioni. Da sottolineare poi che la struttura risulta vincolata dalla Sovrintendenza alle Belle Arti per il valore storico e architettonico. Dopo mesi di concertazioni e confronti, i tempi sembrano dunque maturi per trovare una soluzione che metta d’accordo gli attori coinvolti, ovvero privato e Comune, sebbene l’ultima parola spetti sempre alla Sovrintendenza il cui parere risulta fondamentale per tutte quelle zone con più di 70 anni alle quali l’ente riconosce valore storico. Una funzionaria dell’ente, l’architetto Caterina Cocchi, è stata invitata a visionare lo stabile lo scorso novembre, per rendersi conto delle condizioni in cui si trova l’immobile. La funzionaria, insieme agli amministratori ed ai tecnici del Comune, è entrata nella struttura pericolante. Le condizioni per riqualificare l’edificio sembrano esserci, restano da capire i limiti del vincolo. Proprio per questo, era stato fissato un incontro con la Sovrintendenza per i primi di gennaio in Ancona con il delegato regionale. L’incontro, che è stato rimandato (al momento di andare in stampa non si sa la data di rinvio) servirà ad avere maggiori certezze soprattutto sull’entità del vincolo. Gli esiti auspicabili del futuro appuntamento, secondo il primo cittadino Nicola Loira sarebbero i seguenti: “La condivisione di progettualità oppure un’interpretazione morbida del vincolo ed un finanziamento possibile da utilizzare per il privato. Ci auguriamo che nell’interpretazione del vincolo non vi sia una rigidità totale tale da costringere il privato a fare un passo indietro perché non intenzionato ad effettuare investimenti così importanti. Un primo obiettivo - ha spiegato il primo cittadino - sarà quello di non arrivare ad un pieno stallo ma di fare un passo avanti, anche se piccolo. Fino ad ora la proprietà si è detta intenzionata ad investire e a dare all’amministrazione quello che vuole, a patto che il privato abbia un ritorno economico”. Serve infatti un investimento di 4 o 5 milioni per ridare una destinazione allo stabile. Come ha ricordato Loira “se la Sovrintendenza dovesse dire che vi è la possibilità di attingere a fondi statali pari, ad esempio, ad un milione di euro è un conto, il privato avrebbe un aiuto consistente da parte dello Stato. La speranza dell’incontro è anche quella trovare dei riferimenti, ad esempio su come ci si è comportati in Italia in casi analoghi”.

Serena Murri

Le nuove vesti del Cineteatro Gigli

Il Cineteatro Moderno Beniamino Gigli, ubicato nel cuore del borgo marinaro del centro storico di Porto Sant’Elpidio, fu edificato intorno al 1932. La struttura poteva contenere un alto numero di spettatori e poteva offrire, oltre a proiezioni cinematografiche, anche la possibilità di mettere in scena spettacoli di vario genere: dai concerti di musica leggera, alle commedie teatrali o spettacoli di opera lirica, oltre ad altri eventi culturali che per decenni hanno caratterizzato la vita sociale della città. La struttura è stata chiusa al pubblico nei primi anni ‘80 e poi lasciata in un totale stato di degrado. Così facendo i cittadini, nel corso dei decenni, sono stati privati di un importante contenitore di svago e di cultura, ma oggi quel luogo del cuore è stato finalmente recuperato e pronto, seppur con nuove vesti, ad essere usufruito dagli elpidiensi e non solo. “Il percorso di ristrutturazione intrapreso – ha spiegato il Sindaco di Porto Sant’Elpidio Nazareno Franchellucci - ha voluto identificare l’ex cineteatro come uno dei luoghi in cui sviluppare l’offerta culturale della città, tanto che il nome a lui destinato sarà proprio quello di Polo Culturale Beniamino Gigli. Questo perché al suo interno l’amministrazione comunale intende organizzare una serie di attività di carattere culturale. Lo spazio più importante, e che più precisamente coinvolge una superficie di 350 metri quadrati sita al secondo piano, sarà destinato alla biblioteca. Quest’ultima avrà però un’accezione più moderna, ovvero non sarà soltanto un luogo nel quale trovare libri e ragazzi liceali o universitari che studiano, ma permetterà di ospitare nuove strumentazioni tecnologiche. Si tratta dello spazio preponderante, il più grande, bello e con rivestimenti in legno”. Dal 2013 il Comune ha cominciato a lavorare su un progetto di restauro del Gigli per un totale di 564,50 metri quadri. La parte Ovest del pianterreno di 303 metri quadri resterà di Aldo Moreschini, proprietario del cinema, per uso commerciale. “Collegato alla biblioteca sarà invece il piano terra, di circa 220 metri quadri, concepito per dar vita a convegni e a momenti di approfondimento – ha proseguito il primo cittadino elpidiense -. Potremmo dire che assumerà la forma e le funzioni di un auditorium. Paragoniamo il nuovo Polo Culturale alla Rotonda a mare di Senigallia, la quale è luogo simbolo della città e lo spazio al suo interno è flessibile a poter ospitare molteplici attività ricreative durante il periodo estivo. Quello di Porto Sant’Elpidio sarà però uno spazio sempre aperto, nel quale verranno allestite mostre di differente spessore e dotato inoltre di una nuova attività di ristoro in occasione dei futuri eventi estivi ed invernali organizzati dall’amministrazione comunale. La ristrutturazione è completamente terminata ed il nuovo polo è pronto per essere utilizzato. Manca l’acquisto degli spazi da parte del Comune, il trasferimento degli arredi e la fruibilità”.

Federica Balestrini

Monterubbiano ritrova il suo gioiello

La data del primo giugno 2019 è già impressa nella memoria di Monterubbiano. Alla presenza del prefetto Vincenza Filippi e delle massime autorità del territorio, è stato infatti riaperto ufficialmente il Teatro Pagani, il cui portone venne chiuso nel 2015 per la mancanza di agibilità. “Non è stato semplice per questa Amministrazione affrontare le conseguenze della chiusura del teatro - ha ricordato il sindaco Maria Teresa Mircoli - sia per l’inevitabile impatto negativo che tale decisione ha avuto sulla popolazione, sia per ciò che tale chiusura ha comportato in termini di individuazione delle risorse necessarie, trovandosi il Comune stretto nei vincoli del patto di stabilità e della cogenza di interventi prioritari per la messa in sicurezza delle scuole, sia per la ricerca delle modalità più proprie di intervento, essendo un bene monumentale vincolato. Occorre sottolineare che il Comune ha avuto dai comandi provinciale e regionale dei Vigili del Fuoco un intenso rapporto collaborativo, orientato alla ricerca costante di elementi e accorgimenti che potessero garantire le sicurezze a un edificio tutelato qual è il Teatro Pagani”.

Andrea Braconi

Cineteatro Arlecchino, a che punto siamo?

È stato uno dei temi caldi della campagna elettorale dello scorso maggio: il “Cine Teatro Arlecchino” di Monte Urano che, dal sisma del 2016, è ancora chiuso. Una realtà che aveva aperto i battenti nel 2004 e che ha creato con la sua mancanza “un vuoto nei cittadini. Era un luogo per appuntamenti di cultura importanti, in attività ormai da più di 10 anni” afferma Moira Canigola, sindaca della città. “Stiamo cercando di non disperdere questo potenziale. Abbiamo destinato al cine teatro dei fondi del terremoto, anche se sono insufficienti per tutta la ristrutturazione sono un inizio” specifica. Durante il periodo delle elezioni, uno degli avversari della prima cittadina, Massimo Mazzaferro aveva auspicato l’acquisto totale del cine teatro da parte del pubblico. Sono circa 40, infatti, i soci privati dell’Arlecchino. “Sì, il cinema è di proprietà pubblica, la parte sottostante dei privati” conferma Canigola. Il ritardo nell’inizio dei lavori è dovuto anche al fatto che sono tanti? “Sì, senz’altro”. Ha un’idea sulle tempistiche? “Io mi auguro il prima possibile. Siamo in via di accordo e penso che a brevissimo avremo una risposta da parte dei privati. Abbiamo di fronte diverse situazioni e sensibilità. I danni non sono di grande entità. Prima ci sarà la progettazione, poi procederemo con la ristrutturazione”. L’Arlecchino è stato anche il palcoscenico di “TAM - Tutta un’altra musica” del patron Giambattista Tofoni. Al momento come viene sopperita la mancanza di questo luogo di aggregazione culturale? “Manifestazioni come “TAM - Tutta un’altra musica” non sono replicabili in questo momento in determinati contesti che non hanno le caratteristiche di un teatro. Attualmente stiamo utilizzando le bocciofile o altri luoghi pubblici, per non far morire tutti i lavori fatti in precedenza”.

Silvia Ilari

Ultima modifica il Martedì, 14 Gennaio 2020 12:09

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