Ambiente e specie a rischio: salviamo il salvabile
L’uomo distrugge ciò che ha intorno, poi si pente e ricostruisce, poi... ridistrugge di nuovo, in un ciclo perverso che sembra un gatto che si morde la coda. È una catena ininterrotta di azioni tutte sulla stessa falsariga in cui prima ci si accanisce contro qualcuno o qualcosa poi, spesso quando ormai è troppo tardi, ci si pente perché si capisce che si sta distruggendo ciò che in realtà “serve” all’armonia del Creato e dunque a noi stessi. E spesso ormai è troppo tardi e comunque le cose rabberciate, si sa, non saranno mai più le stesse, per quanti sforzi si facciano per riaccomodarle. E’, ahimè, un modo di agire che denota la sprezzante superbia che da sempre caratterizza l’agire umano, che in base a un “non supportato da niente” senso di antropocentrismo fa sì che ci sentiamo padroni indiscussi di tutto quello che ci circonda, dalle pietre a tutti gli esseri viventi, senzienti o no, che come noi popolano questo sassetto che chiamiamo Terra messo alla periferia della nostra galassia. Inutile dire che i danni che questa mentalità comporta sono a dir poco apocalittici e irreversibili, come dimostrano gli accadimenti catastrofici che ogni giorno sono sotto gli occhi di tutti. Di certo la natura dell’Universo può apparire per nulla benevola, ovunque esso costruisce e distrugge in continuazione, riciclando tutto il materiale possibile. Ma noi prendiamo esempio solo a metà: distruggiamo soltanto e non ci comportiamo tanto diversamente dal nostro “contenitore”, ovvero il nostro Pianeta, che a causa nostra è sempre più martoriato. Il problema è che con lo sviluppo delle tecnologie e della civiltà la capacità dell’uomo di distruggere, annichilire questo mondo aumenta in maniera esponenziale. Sfruttamento scellerato delle risorse, armamenti che provocano Armageddon veri e propri tanto da far sembrare le bibliche Trombe di Gerico quelle della banda di Raul Casadei e, per finire, sterminio sistematico di habitat interi, tanto da mettere a rischio la sopravvivenza di intere specie di animali selvatici. Per non parlare degli scempi perpetrati al mondo vegetale e dei dissesti ambientali che hanno già modificato irreversibilmente i connotati orografici del nostro sventurato Pianeta. Ma restiamo al mondo faunistico: fino a quando gli animali venivano cacciati per nutrirsi e sopravvivere, la questione non si poneva nemmeno, poiché l’uomo è un onnivoro e predatore per natura e quello che è scritto nel DNA hai voglia a contrastarlo. E comunque si trattava di una lotta fatta con armi alla pari e tutto restava in equilibrio. Oggi, finalmente, c’è un rigurgito di civiltà e qualcuno comincia a chiedersi dove porterà un comportamento umano così scriteriato: insomma, un barlume di coscienza ha cominciato a brillare e ora sono sempre più numerose le iniziative organizzate per impedire guerre, chiedere l’abolizione della caccia, abbattere l’inquinamento, rispettare l’ambiente e i popoli meno fortunati. Ma tutto ciò è ancora inadeguato e nel frattempo tutto continua come prima, forse anche peggio. Le acciaierie con i loro fumi uccidono indistintamente uomini e animali; le foreste vengono distrutte per ricavarne terreni da coltivare o legname pregiato e con le foreste soccombono i loro abitanti, uomini e animali, e l’ossigeno per respirare che serve a tutti, anche agli imbecilli che combinano questi disastri, comincia a strozzartisi in gola. Ovvio che i primi a farne le spese sono gli animali, che non possono che subire questa scellerata persecuzione e che continuano ad essere impallinati o soffocano per gli incendi artatamente prodotti dall’uomo, o muoiono di fame. Ora, nel nostro territorio si sente l’esigenza di porre sotto tutela gli animali selvatici a rischio di estinzione, si cerca di reintrodurre specie autoctone oramai da tempo scomparse, insomma si cerca di correre ai ripari e rimettere le cose a posto. Ma la faccenda è ardua, i danni sono esorbitanti e forse ormai irreversibili. Io, dal mio piccolo niente, una proposta ce l’avrei: perché non dichiariamo specie protetta quei pochi galantuomini che si battono per aggiustare le cose? Magari “fanno razza”, magari col loro esempio contagiano sempre più persone responsabili che ne seguano l’esempio e, piano piano, magari tutti rinsaviscono e si rendono conto che in questo povero mondo siamo solo ospiti e non padroni… Un mondo che dobbiamo trattare con rispetto, come casa nostra. Per quanto riguarda gli animali selvatici superstiti, un consiglio: occhio, fate come il gatto selvatico dell’Appennino, di cui rimangono in vita pochissimi esemplari. Caro gatto, sei piccolo e rosso di pelo, sei un cacciatore esperto, ma sei furbo, hai imparato a stare in disparte e non ti fai vedere, tanto che pochissimi sanno che esisti: forza, continua così.
Daniele Maiani
LIPU: così tuteliamo il fratino in via d'estinzione
Era balzato agli onori delle cronache la scorsa estate il fratino, in occasione della scelta della “sua” spiaggia per il Jova Beach, il concerto di Jovanotti che ha girato tutta l’Italia. Questo uccello ha visto dimezzare la sua popolazione negli ultimi decenni. “Il fratino si riproduce e si alimenta sulla battigia e, come sappiamo, tutte le spiagge d’Italia hanno subito cambiamenti, dalla costruzione degli stabilimenti balneari alla vita mondana. Il tracollo degli ultimi anni è dovuto all’aumento di questi fenomeni e, di conseguenza, questi animali hanno bisogno di una speciale cura” spiega Fosca Isidori, coordinatrice del gruppo “Choo-na Fratino Marche”. Il progetto è di stampo nazionale ed è l’abbreviazione di “Life Choose Nature”. Nato per avvicinare i giovani al volontariato ambientale, ha visto un’ottima partecipazione, tanto da spingere la LIPU a prolungarlo per un altro anno. “Grazie a questo progetto da due anni a questa parte abbiamo incrementato l’attività perché, essendosi aggiunti parecchi giovani volontari, abbiamo potuto lavorare molto sulla comunicazione e sulla sensibilizzazione” continua. Quanti siete? “L’anno scorso eravamo in 16, poi c’è stato un calo fisiologico per via del lavoro, delle lauree, adesso siamo una decina”. Dove siete operativi? “Ci occupiamo della spiaggia situata davanti all’Hotel Royal”. Cosa fate di preciso? “Verso la fine dell’inverno, iniziamo a preparare un’area dove si spera nidifichi il fratino. Si tratta di una zona pensata per evitare il calpestamento da parte dei fruitori della spiaggia, perché i pulcini non volano subito. Inoltre è utile perché uno dei problemi maggiori è dato dai cani senza guinzaglio, che sono attratti dai pulcini che spaventano o mangiano. Cerchiamo, quindi, di creare una zona dove il fratino possa stare un po’ più tranquillo e protetto. Dopodiché, effettuiamo un monitoraggio, per vedere quante coppie frequentano l’area, quanti nidi ci sono e quante uova si schiudono”. Prima ha parlato di sensibilizzazione, come vi siete mossi in quest’ambito? “Abbiamo spiegato ai bagnanti perché è importante rispettare le recinzioni, portare i cani al guinzaglio. Alcuni, pur frequentando la spiaggia da anni, non avevano mai letto i cartelli intorno al recinto”. Da settembre, c’è un’importante novità: un tavolo di consultazione con il Comune di Fermo per la tutela del fratino. “Sì, ci siamo noi, i rappresentanti del Comune e altre associazioni per poter gestire al meglio l’area per il fratino e per far sì che non solo restino le coppie che già la frequentano, ma ne vengano altre”. I nuovi volontari che volessero unirsi a voi, come possono contattarvi? “Possono scrivere alla casella email Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. . Siamo sempre felici di avere un aiuto in più. Ci tengo a dire che, al di là delle scadenze del “Choo-Na”, il gruppo di lavoro che si è formato andrà avanti”.
Silvia Ilari
Camosci, lupi e cervi: sui Sibillini la biodiversità è di casa
Gestione e manutenzione dei sentieri, promozione e comunicazione, mansioni amministrative e relazioni con le varie istituzioni locali. Sono alcune delle prerogative del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, che però - e non potrebbe essere altrimenti, considerata la tipologia dell’ente - pone al centro della propria azione anche la conservazione della biodiversità. Tra le principali attività, quindi, rientrano anche i censimenti sulla fauna. L’ultimo in ordine di tempo ha riguardato il camoscio appenninico, che nella nostra area montana era stato reintrodotto a partire dal 2008 e fino al 2014, per un totale iniziale di 31 individui. Ad oggi, invece, stando alle rilevazioni effettuate ad inizio novembre, i camosci osservati sono 123, mentre la stima porta il numero a circa 180 unità. Il censimento del camoscio appenninico, come anche quello del cervo, viene effettuato con la partecipazione di numerosi volontari, oltre che del personale dei Carabinieri Forestali. “Sono significativamente di più rispetto agli ultimi anni - conferma il direttore Carlo Bifulco - dove la cifra si attestava tra i 60 e i 70. Ma oltre all’incremento numerico, che segue una crescita esponenziale come è normale che sia per una popolazione insediatasi da pochi anni, uno degli elementi più importanti è che per la prima volta sono stati trovati nuclei in una zona diversa dal massiccio del Monte Bove: fino allo scorso anno, infatti, tutti i branchi principali con i nuovi nati erano stati trovati esclusivamente in quell’area, salvo un’eccezione nella Valle del Rio Sacro con una femmina ed il suo piccolo. Ma già dopo un sopralluogo a fine ottobre avevamo visto un branco di 18 animali sul versante del Monte Priora che guarda la Valle del Tenna, un branco riconfermato in quest’ultimo censimento. Inoltre, tra l’area di Pizzo Berro e la Priora sono stati trovati circa 30 animali. È il segnale, insomma, che è iniziata la colonizzazione di altre montagne dei Sibillini da parte dei camosci”. A spiegare le varie progettualità è Alessandro Rossetti, uno dei tre funzionari addetti. “Abbiamo progetti su lupo, cervo (fatto nell’ambito progetto Lupo in quanto preda dello stesso animale), cinghiale, capriolo, coturnice, chirocefalo del Marchesoni e della Sibilla, e poi anfibi e uccelli in ambienti agricoli, ed un nuovo progetto LIFE sulla conservazione della trota mediterranea; grazie ai fondi delle direttive ‘biodiversità’ del Ministero dell’Ambiente è inoltre in fase di avvio un progetto sulla conservazione dell’ape ligustica italiana ed altri importanti insetti impollinatori”. Restando ai lupi, risultano censiti circa 60-70 esemplari distribuiti in 16 gruppi familiari, mentre per quanto concerne i cervi l’elaborazione dei dati è via di ultimazione. Una parte di conoscenza, rimarca Rossetti, fondamentale per qualsiasi successiva scelta da parte dello stesso Parco. “Tutta questa attività è finalizzata sia alla tutela di quella specie, che magari ha un interesse anche a livello comunitario e quindi come Ente abbiamo il dovere di mettere in campo azioni per conservarla, sia alla gestione senza mai dimenticare che questo è un ambiente antropizzato e quindi la fauna può creare conflitti con le attività umane. Pensiamo al cinghiale, il cui progetto di gestione prevede la prevenzione dei danni ed il contenimento del numero tramite abbattimento selettivo e catture, così come al lupo, che crea qualche problema di conflitto con gli allevamenti se non adeguatamente protetti. Per questo le conoscenze sulla fauna acquisite tramite le attività di monitoraggio sono alla base non solo di ogni attività volta alla conservazione delle specie a rischio, ma anche alla gestione di possibili conflitti con le attività umane”.
Andrea Braconi
Diamoci all'ittica!
E’ ben noto il fatto che lo stato di salute dei nostri fiumi sia fortemente influenzato dalla presenza dei pesticidi e degli insediamenti industriali i quali producono sostanze altamente tossiche. Il risultato più preoccupante di questo fenomeno risiede inoltre nel fatto che tale inquinamento ricade sulla perdita di biodiversità. Anche nella Regione Marche e nella Provincia di Fermo la situazione è così allarmante? “Sull’Aso e sul Tenna la fauna ittica non è a rischio perché la selezione, dal punto di vista ecologico, è in buone condizioni – ha spiegato il geologo Adriano Santato di Legambiente Fermo-. Non c’è la presenza del silurus glanis, conosciuto volgarmente come ‘siluro’ poiché non ci sono pesci predatori. Sono le condizioni ambientali ad essere peggiorate però. Infatti la situazione dei sistemi fluviali nelle Marche è tranquilla, mentre ad essere critica è la scarsità dei punti di monitoraggio e quindi la debolezza d’indagine dell’ARPAM. Sul fiume Tenna, ad esempio, c’è un solo un punto di verifica e campionamento, ma i dati rilevati sono da prendere comunque con le pinze.” Il sito di monitoraggio che si trova a Montefortino a circa 20 metri dalla captazione della sorgente Tinnea è inserito in una zona classificata ‘a salmonidi’. Il popolamento ittico, rilevato nel mese di ottobre 2015, è costituito dalla trota ibridata con la specie ‘aliena’ trota atlantica. La stima degli effettivi è di 144 individui. Scarsa la presenza di avannotti e di individui di taglia maggiore, probabilmente a causa dei ripopolamenti e della pressione piscatoria a cui è soggetto il tratto. La stazione sita in località Penna San Giovanni ha rilevato la presenza di una comunità ittica costituita da 3 specie di pesci: barbo, cavedano e cairone. Da segnalare il rinvenimento di alcuni esemplari di granchio di fiume che conferma la naturalità dell’habitat fluviale di questo tratto. Nella stazione di Belmonte Piceno sono stati invece monitorati due indici: macroinvertebrati e diatomee la cui comunità è scarsamente strutturata e poco abbondante. “Vicino ai fiumi sono presenti alcuni anfibi, mentre in pochissime aree troviamo l’ululone e la salamandra pezzata – ha spiegato l’esperto naturalista fermano Nazzareno Polini -. Queste due specie sono difficili da trovare e sono state inoltre decimate, assieme alle larve, dall’immissione delle trote utilizzate per la pesca. Purtroppo gli ambienti attorno ai fiumi si stanno riducendo per via delle coltivazioni e quindi a causa dell’uomo. Per questo anche la puzzola inizia ad aver problemi così come i granchi e i gamberi che sono colpiti dall’inquinamento e dalla mancanza di ambienti che forniscono loro da mangiare. Infatti, rispetto alla rana dei fossi e a quella dalmatina, anche salamandre e ululoni non riescono a vivere dappertutto e a ben sopportare l’inquinamento. L’antropizzazione e il taglio discriminato del bosco hanno dunque di certo influenzato la natura ittica e di terra, mentre i cambiamenti climatici ad oggi non danno grandi problemi, anche se le forti ondate di umidità iniziano ad incidere su determinate specie ittiche.” Il sito di campionamento, che si trova presso la contrada Campiglione, ponte bivio per Fermo, ha evidenziato il livello di inquinamento che riflette il grado di antropizzazione del territorio circostante. Le principali criticità riscontrate si riflettono sulle concentrazioni di Azoto Ammoniacale e Azoto Nitrico. Anche la stazione sita a Porto Sant’Elpidio ha rivelato una comunità ittica che risulta scarsamente strutturata e costituita quasi unicamente da unità tassonomiche tolleranti all’inquinamento. “Gli uccelli sono quelli più legati all’ambiente montano come ad esempio il merlo acquaiolo, il quale sarebbe dovuto essere un uccello di basso fiume, ma nelle nostre zone non riesce a sopravvivere - ha concluso dicendo Polini -. I volatili in aumento sono gli aironi e cormorani, mentre la specie dannosa dello stormo è aumentata in maniera spropositata, questo a causa degli squilibri ambientali di alcuni ecosistemi.”
Federica Balestrini
Parco Marino, quando i (buoni) progetti affondano
In quel fascicolo appoggiato dal 2010 su una scrivania del Ministero dell’Ambiente, all’articolo 1 dello schema di decreto controfirmato dagli allora ministri Prestigiacomo e Tremonti è riportato nero su bianco: “È istituita l’area marina protetta denominata Costa del Piceno”. Un sogno che però, invece di coronarsi, è stato avvolto da un assordante silenzio. Cancellato, dimenticato, spazzato via “da una politica sempre più senza visione e senza progetti”. A tornare sull’argomento è Massimo Rossi, ex presidente della Provincia di Ascoli Piceno, oggi consigliere comunale di minoranza a Fermo, ruolo quest’ultimo ricoperto anche nel 1990 nella sua Grottammare. Proprio da dove tutto partì. “Il parco marino era un’idea visionaria dell’allora assessore Franco Piunti - ricorda lo stesso Rossi -. Quel progetto l’anno dopo fu inserito nella legge quadro sulle aree marine protette, che conteneva un elenco delle zone candidate. L’area interessata nel tempo è stata estesa da Porto Sant’Elpidio fino a Martinsicuro e all’epoca c’erano da un lato dati preoccupanti su una tendenza al deterioramento degli ecosistemi marini, dall’altro importanti emergenze ambientali, come la vongola del Piceno. Una biodiversità che esisteva, era significativa e che avrebbe giustificato la tutela di quella specificità tipica di un tratto costiero sabbioso”. Perché ogni ecosistema si regge sull’equilibrio tra le sue componenti, prevedendo la salvaguardia di tutti i tasselli del mosaico. “L’idea era quella di fare un parco marino capace sì di tutelare, ma allo stesso tempo di arrivare ad una sorta di gestione del mare in armonia con le attività umane”. Di Grottammare Rossi diventa sindaco nel 1994 ed inizia a lavorare con una serie di esperti. “Invitai anche il ministro Edo Ronchi e lui mi diede ragione, così ci fu un’apertura da parte del Ministero dell’Ambiente. Bisognava sperimentare, piuttosto che fare i puristi in certe zone mentre altre venivano lasciate al degrado. Occorreva modulare i livelli di tutela, per arrivare gradualmente ad una serie di regole per far rientrare le attività umane dentro questo ecosistema. Un modello, ne sono ancora convinto, che poteva diventare esportabile in tutte le coste italiane”. Nel ripercorre quegli anni, Rossi sottolinea come i Comuni del Piceno avessero colto il senso e le opportunità che si aprivano sotto il profilo non solo ambientale, ma anche della promozione del territorio. “Ci fu una congiuntura positiva e si partì con questo percorso di crescita di coscienza degli amministratori e delle scuole; penso anche all’Università di Camerino, che ha formato tanti operatori”. Ma a pochi metri dal traguardo, ecco l’inattesa sconfitta. “Per me resta una ferita aperta, ho lavorato almeno 15 anni della mia vita ad un progetto che poi hanno iniziato ad affondare, in particolare i sindaci del Fermano. Prima ha iniziato Porto Sant’Elpidio dove invece si preferiva parlare di darsena; poi Porto San Giorgio, con alcuni amministratori che hanno mollato; a questo si aggiunge l’opposizione dei vongolari, anche se eravamo riusciti ad ottenere una normativa per fare sì, ed era il primo caso in Italia, che il Parco fosse diviso in zone A, B e C, oltre a zone di interconnessione dove le vongolare potevano pescare. Quindi, le aree veramente tutelate in maniera rigida erano molto poche”. Considerate le resistenze, Rossi tagliò fuori la parte nord del Parco, tenendo però Altidona e Pedaso. “L’idea era quella di dire che il nostro territorio aveva il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e il Parco Marino del Piceno collegati dal bellissimo corridoio verde della Valdaso, con Comuni uno più bello dell’altro. Un progetto di grandissimo valore e di capacità di penetrazione. Ricordo però i problemi con Campofilone, che riuscimmo comunque a superare. Arrivammo al Ministero, ottenemmo la mappatura ufficiale; nel frattempo avevamo pagato soldi per esperti, biologi, università ed altri ancora per gli studi preliminari”. Il decreto è quindi pronto, va alla Corte dei Conti per il visto, al parere favorevole della Conferenza Stato- Città ed Autonomie locali, con l’astensione del suo successore Celani. Ma poi, proprio dalla Provincia di Ascoli Piceno, arriva lo stop attraverso una delibera di Giunta. “Hanno chiesto di sospendere l’iter per approfondimenti con i vongolari, che però su quella perimetrazione e su quel regolamento avevano già accettato. Un’occasione persa, con il Ministero che ogni anno ci avrebbe dato 250.000 euro per la gestione del Parco. Si stava andando verso la pubblicazione in Gazzetta, invece si è fermato tutto. Persino l’ex deputato Agostini, del Pd, rivolse un’interrogazione al ministro a sostegno delle istanze più retrive dei vongolari. Successivamente ho provato a riparlare con il Ministero, ma il taglio di risorse per le aree protette e i problemi istituzionali nella nostra zona aveva fatto arretrare la nostra area protetta, mentre altre erano andate avanti. Il parco marino Costa del Piceno, invece, è rimasto lì, fermo al 2010”. Una situazione recuperabile? Per Rossi sì, anche se le non scelte del recente passato fanno venire a galla più la malinconia che la fiducia. “Era tutto pronto, avevamo preparato anche il simbolo del Parco che si chiamava Marino Picè, un bambino con un cappello che sembrava un sanculotto della Rivoluzione Francese ma che in realtà era un pesce. Erano stati preparati dei giornalini a fumetti da colorare, perché cominciavamo il lavoro dalle scuole materne. Volevamo fosse un parco per i bambini, uno spazio dove la natura e l’uomo sarebbero andati d’accordo. Ma non è stato così, purtroppo. Resta un grande rammarico, perché avrebbe anche potuto portare finanziamenti importanti, che magari ci avrebbero facilitato nell’accesso a quelle risorse per la realizzazione di scogliere e barriere protettive che oggi in tanti reclamano, ma con scarsi risultati”.
Andrea Braconi