L'arte del saper "vedere"
E' una caratteristica della gente che vive a contatto con la natura, con il Bello, quella di saper vedere le cose. C’è una sostanziale differenza tra l’atto del “vedere” e quello del “guardare”. Il primo implica una consapevolezza nell’azione che si svolge, una partecipazione del “cuore” e dello “spirito” che attribuiscono a quel fare una connotazione più elevata e profonda. Il secondo si riferisce all’azione pura e semplice conseguente all’uso dell’organo di senso della vista, senza connotazioni filosofiche o profonde. Per capirci: se pensiamo al Metastasio e al suo celebre “Ovunque il guardo giro, immenso Dio ti vedo, nell’opre tue t’ammiro, mi riconosco in te”, quel girare il guardo è un “vedere”. Saper vedere non è cosa così facile come sembra, i Romani ne facevano un’arte, s’immergevano nei loro “ozi” a contatto con la natura e dalle percezioni dei loro sensi traevano in tutti i campi del sapere ispirazioni migliori, perché favorite da questa fusione sensoriale col mondo circostante. Che le Marche siano, almeno in parte cospicua, un angolo di paradiso, lo sappiamo bene noi, pochi numericamente, che ci viviamo. Tanta natura a disposizione provoca effetti benefici anche per le idee legate al lavoro, specie al Turismo, e quindi fioriscono iniziative, eventi, incontri che hanno come protagonista la natura: i monti, i fiumi, il mare, come palcoscenico dell’arte di saperli “vedere”. E così, negli anni, gli Appennini del Vettore sono diventati per tutti i “Monti Azzurri” e hanno regalato una quantità di racconti e di leggende, che hanno fatto in modo di cambiare completamente il modo in cui noi li vediamo. Tantoché quando il terremoto ha colpito il Vettore provocando la frattura della sua pelle di pietra, abbiamo provato una profonda tristezza per la ferita alla più cara delle nostre montagne. Esiste a Porto San Giorgio un posto magico per eccellenza, che pochi sanno: il bar della Stazione ferroviaria. Una sorta di isola della Tortuga, frequentata da ogni genere di persone, che hanno in comune una cosa, una ricchezza immensa: possiedono il “corretto uso del tempo”. Molte persone spendono i loro soldi e il loro tempo per andare in vacanza in posti esotici e lontani e, bene che vada, lo possono fare solo un paio di volte all’anno. Questi signori del bar della stazione, filosofi veri della vita, spendono il loro tempo, non più di un’ora al giorno, seduti su sedie di plastica a parlare e veder passare i treni; trascorrere il tempo così, visto il suo valore nella vita di oggi, è più che accendersi il sigaro con una banconota da cento euro. Loro sono consci di questo e guardano lo scorrere delle cose con soave distacco. Il giorno che qualcuno si accorgerà di questa biosfera straordinaria, sarà dichiarata “oasi naturale”. Potremo andare a “guardarla”, ma non potremo più “vederla” con gli occhi del cuore.
Daniele Maiani
Il passato che non dimentica
In molti preferiscono lasciarlo nel dimenticaio, altri continuano a viverlo senza mai riuscire però ad abbracciare il presente, c’è poi chi sa ben ricordarlo con sorriso nostalgico ed orgogliosi per ciò che si è oggi. Il passato che non si dimentica, quello fatto di memorie e frutto della nostra identità. Nella Provincia di Fermo, e più precisamente nella zona di Capparuccia, in Via Napoli 11/15, i ricordi sono racchiusi in un unica mostra intitolata ‘Mesi del Campo’ e collocata all’interno di grandi capannoni per un totale di 600mq suddivisi in aree tematiche di esposizione. La mostra prende oggi il nome di ‘Collezione Privata Laura’. Cento anni di storia, protagoniste ben cinque generazioni per narrare la vita quotidiana e contadina del nostro territorio. “Nel 2010 i capannoni in questione erano in affitto – spiega Laura Lupi unica proprietaria della collezione - poi la ditta che usufruiva dello spazio fallì e così decisi assieme alla mia famiglia di mutarne la destinazione d’uso per far rivivere tutti quegli oggetti che mia mamma e i mie nonni avevano conservato con grande cura ed affetto nel corso del tempo. Il percorso di visita è suddiviso in tre sezioni: i mesi del campo, la scuola, le botteghe artigiane.” All’interno delle due sale principali, è possibile imbattersi in diversi attrezzi da lavoro come un grande torchio, delle miniature, realizzate con semi e grano, del territorio faleriense e della tipica casa contadina e ancora lambrette, macchine per fare il torrone, il ‘tamburlà’ per distillare il mistrà, l’antenata della lavatrice con lo spazio dedicato alla lavanderia di una volta e molto altro. “Il tutto, completamente autentico ed in ottimo stato, è allestito in un grande salone – prosegue dicendo Laura - suddiviso in base ai sei mesi dell’anno, ognuno dei quali porta un arredamento diverso. Si tratta di una collezione davvero ricercata e che è andata ad arricchirsi nel tempo grazie all’acquisto di nuovi oggetti presso i mercatini d’antiquariato della regione.” Utensili, carri colorati, birocci usati per le più svariate necessità, brocche smaltate, nelle quali era contenuto il vino che le donne portavano nei campi agli uomini che stavano lavorando, madie per impastare pane e pasta, falci, cesti, contenitori, unità di misura, gioghi, forconi, antichi giocattoli e aratri. Presenti anche botteghe perfettamente ricostruite: la farmacia, la drogheria, l’osteria, il negozio del calzolaio, quello del fabbro, del falegname, del sarto, del barbiere e del dentista. La meraviglia non sembra aver fine e, infatti, al termine della visita lo stupore di entrare all’interno di un’aula scolastica degli anni del fascismo si legge in volto. Una scuola elementare e un asilo d’infanzia, ricchi e curati nei minimi dettagli, pieni di ricordi che consentono anche ai più piccoli di conoscere il passato della terra in cui vivono: i banchi di legno, i quaderni originali, l’inchiostro, i pennini, i carboni per scaldarsi, la divisa della maestra, una vecchia carta geografica, i quadri del Re e del Duce, le vecchie cartelle, di stoffa, cuoio o metallo, i libri e ogni particolare. Le visite possono essere effettuare solo su prenotazione, tel. 0734.631160 -339.7381921
Federica Balestrini
Una tenda trasparente, per conoscere meglio il cielo
Raggiungere Monteleone di Fermo partendo da Milano, Venezia, Torino ed altre città italiane soltanto per passare una notte ad osservare le stelle. Non in un posto qualunque, ma all’interno di una tenda trasparente che guarda dentro una vallata meravigliosa nel territorio di Monteleone di Fermo. Qui infatti, dal 2006, in Contrada Madonna di Loreto sorge il b&b La Casa dei Nonni gestito da Luigi e Sonia. Tre camere matrimoniali, ma soprattutto quella struttura particolare, allestita soltanto 4 anni fa e già richiestissima. Sonia, come è venuta fuori questa idea della tenda trasparente? “Per sfruttare al meglio il territorio che abbiamo davanti a noi. Abbiamo un pezzo di terra scosceso e abbiamo pensato di mettere qualcosa per vedere sia il panorama che le stelle di notte. Abbiamo trovato questa tenda di un artigiano francese, completamente trasparente sopra, adatta ad un terreno come il nostro perché fornita di un kit di piedi e tiranti che permettono di ancorarla bene al suolo anche se è a mezz’aria, sospesa. Da lì la ricerca di diversi tipi di tenda e alla fine abbiamo scelto.” A questo si è sommata la passione per l’astronomia. “Che è cresciuta sempre di più: abbiamo comprato il telescopio, studiato le varie costellazioni e alla fine siamo riusciti a creare una serata per due persone o comunque per una famiglia esclusivamente dedicata a loro, durante la quale si descrive il cielo e dove si collocano i particolari più importanti. Dopo un’ora circa di conversazione l’ospite ne sa sicuramente qualcosa in più e quando volge lo sguardo ha dei punti di riferimento che riesce a riconoscere. Durante la notte si può usufruire della tenda fino a quando si vuole, c’è chi rimane un po’ per poi tornare in camera, c’è chi invece resta lì fino al mattino.” Ed è sempre più richiesta. “Quest’anno pensavamo di lavorare poco o per niente a causa del terremoto, pur non avendo avuto alcun danno alla nostra struttura. Invece, il gruppo Destinazione Umana ci ha aiutato con un pacchetto a promuoverla sul web e siamo così arrivati a 24.000 interessati, con 300 mail alle quali è stata data una risposta. Quindi, quest’anno sono arrivate le richieste più disparate e lavoriamo quasi esclusivamente con la tenda, per una o due notti. Si tratta di regalare un’esperienza sensoriale e di regalare tempo ai nostri ospiti, non soltanto di lasciare loro una camera o preparare una colazione. È un conoscersi e un far scoprire loro un’altra dimensione come quella del cielo.”
Andrea Braconi
Via col vento
Aggiungi un’ala al Windsurf, collegala a dei cavi di circa 25 metri d’altezza e, sfruttando la forza del vento, vedrai generare una notevole trazione. Detta così, la spiegazione di cos’è un Kite Surf, potrebbe anche sembrare semplicistica. E, forse, rappresentare disciplina sportiva di primo acchito anche di scarso interesse e poco praticata. Ed invece, basta girare lo sguardo verso Marina Palmense e tenerlo in direzione del litorale che prosegue verso Pescara, per notare sempre più spesso aquiloni colorati che si inseguono nel cielo, “animati” dall’energia eolica e “direzionati” da chi, sulla tavola, manovra la vela. Per il dodicesimo anno, i ragazzi dell’ ADS Tribal Kite svolgono questa attività sportiva (disciplina olimpica a partire dai Giochi del 2020) sulla spiaggia di Marina Palmense, tenendo corsi per interessati attraverso istruttori qualificati. E non sono soli, perché questa particolare nuova proposta sportiva sta decisamente prendendo piede, al punto da sviluppare una piccola fetta di turismo legato a questa disciplina, solo apparentemente etichettabile come sport estremo e praticata da appassionati che vanno dagli 8 ai 70 anni. Se gli affiliati sembrano essere un centinaio infatti, circa 300 sono le persone provenienti da fuori territorio e da fuori regione che nella stagione usufruiscono di questo punto speciale, perfetto per chi sa farsi guidare dallo scirocco: provengono dal circondario fermano, appunto, ma anche dalla provincia di Ascoli Piceno, dall’Abruzzo e dall’Umbria. Anemometro in mano, preghierina ad Eolo, arrivo dei cosiddetti “14 nodi” di intensità e via... si parte. Poi, la sera, il Fermano sa farsi apprezzare sotto altri punti di vista: storico, architettonico, enogastronomico, per una serie di risorse culturali, naturali ed ambientali che sono lì, come l’unicità delle sue città d’arte, in attesa solo di farsi conoscere e scoprire.
Uberto Frenquellucci
Alla ricerca della nostra fragilità
Vertigine, vuoto, silenzio, abisso, vetta ed altre parole, utilizzate negli ultimi 8 anni per creare grandi riflessioni partendo da un piccolo borgo come Smerillo. “È proprio questo uno dei nostri punti di forza” spiega Simonetta Paradisi, ideatrice del festival “Le Parole della Montagna” che quest’anno si terrà dal 16 al 23 luglio, toccando anche Montefalcone Appennino in una sorta di gemellaggio tra i due Comuni. “Avevamo pensato di fare questa manifestazione sulla costa, dove avremmo avuto un riscontro di gran lunga superiore. A Smerillo, infatti, non ci si arriva per caso ma perché ci si va. Una situazione di grande criticità che abbiamo però far voluto diventare un punto di forza dicendo: chi viene a Smerillo sta cercando quel nulla perché quel nulla è ciò che ti permette di ricondurti all’essenziale.” E con quali modalità stimolate questa ricerca? “Ci sono varie sezioni tematiche: le escursioni, il cinema, l’arte, i convegni e la nostra chicca, un’agorà poetica con i migliori poeti contemporanei che soggiornano per tre giorni con noi e scrivono versi che poi condividono. C’è anche la parte dello spettacolo e della musica, poi c’è quella dei laboratori per far sì che il partecipante non sia solo uno spettatore ma diventi parte attiva. Questa è un’altra peculiarità e cioè un’ambientazione amicale con la gente che sta insieme e si conosce. E il merito è di Smerillo, di quell’essenziale che uno ha ricondotto.” Un passo indietro: da cosa nasce la manifestazione? “Nasce da un’esperienza strettamente personale: io sono appassionata di montagna ma in questo caso non era importante l’impresa eroica, cioè arrivare sulla vetta, quanto l’esperienza di carattere personale e spirituale, insita nell’ascendere con tutte le sue simbologie. E da questo spunto ho capito che mi ero semplicemente imbattuta nel sacro, perché in tutte le culture la montagna è il luogo di incontro con il divino. È l’opportunità di incontrare e di raggiungere il centro di sé”. Un festival che ruota attorno alla parola. “Vogliamo mettere al centro di tutto la parola, suggerita dalla montagna. Purtroppo e per fortuna la montagna non ci suggerisce mai parole di facile indagine, ma dobbiamo fare percorsi complicati verso quel centro. Quest’anno la parola è fragilità ed evoca l’esperienza che abbiamo vissuto con il sisma. La roccia, emblema della solidità, è franata e questo ci insegna che le nostre stesse vite sono fragili.”
Andrea Braconi
Maccheroncini mon amour
La patria dei Maccheroncini che dalle sue mura si affaccia sulla valle dell’Aso, nel 2013 ha acquisito il marchio IGP, certificato d’Indicazione Geografica Protetta rilasciato dalla Comunità Europea. Al momento è la prima pasta all’uovo che può fregiarsi del riconoscimento europeo, garanzia nei confronti del consumatore finale per le materie prime selezionate e che la tradizione venga mantenuta. Campofilone ci ha creduto, quella che è l’antica arte dei pastai è stata custodita, tramandata e salvaguardata, valorizzando quel prodotto identitario attraverso il quale la cittadina è conosciuta in tutto il mondo. Si tratta di una tradizione antichissima, documenti certi ne attestano l’esistenza con la dicitura maccheroncini di Campofilone a partire dal 1800, probabile quindi che le origini risalgano a molto prima. L’esplosione è avvenuta nel secondo dopoguerra a partire dagli anni ‘60 con la creazione di una sagra dedicata a questo prodotto e con la nascita delle prime attività economiche legate ai Maccheroncini di Campofilone, quindi non più una tradizione legata alle massaie e all’attività fatte in casa ma il prodotto stesso ha dato vita alle aziende, poi a partire dal 1964 c’è stata la prima sagra. E’ cresciuta la sagra che dura a quattro giorni, con 15-20 mila presenze ogni anno; sono cresciute le attività economiche legate ai maccheroncini, alle attività di ristorazione ma soprattutto i pastifici che attualmente sono sette oltre naturalmente alla radicata tradizione delle massaie che lavorano la pasta a mano in casa. Attorno al prodotto c’è tutto un movimento fatto anche di turismo enogastronomico unito ad attività di promozione, messe in campo direttamente dai singoli produttori all’interno delle varie fiere alle quali partecipano e da parte dell’amministrazione comunale. Fra gli ultimi progetti quelli della Cucina a Regola D’Arte con gli show cooking rigorosamente abbinati ai vini locali, che verrà riproposto quest’anno a Marina di Altidona: la carta vincente che verrà giocata è quella di lavorare in rete i Maccheroncini legandoli ad un’area archeologica, ad un belvedere, ad un monumento, abbinanadoli ad un buon vino. L’amministrazione ha ristrutturato il palazzo adiacente al palazzo comunale, in pieno centro storico, da destinare proprio al Museo dei Maccheroncini, ad un ufficio turistico e una porta su tutto il territorio. L’involucro è ristrutturato, manca l’arredamento
Serena Murri