Equilibrio da mantenere

Non di solo pane...

C'era una barzelletta, tanto tempo fa, di un signore che andando al ristorante vede a un tavolo il proprio dentista mangiare; gli si avvicina e con fare amicale gli batte una mano sulla spalla e gli dice: “Se magna be’ co’ li denti dell’atri, eh dotto’?”. Incipit ideale per questa inchiesta che potremo riassumere con una domanda: a produrre cibo si riesce a vivere? In realtà il problema è molto più filosofico di quanto possa sembrare: il concetto di produrre cose da mangiare, in particolar modo, involve sia capacità imprenditoriali pure, i cosiddetti “conti della serva” che devono tornare, sia la passione per quello che si fa, sia il rispetto per la tradizione dalla quale il cibo che viene prodotto deriva. E dal momento che fare “cose da mangiare” è un’arte che sviluppa cultura e civiltà, i prodotti della terra da cui i cibi traggono origine devono essere coltivati e curati con le medesime caratteristiche “filosofiche” del prodotto finito, per poter generare una filiera perfetta. Ora il nostro territorio, per una fortunata serie di circostanze, sembra sospeso in una nicchia senza tempo, galleggiando tra un passato di tradizioni culinarie semplici e genuine, e ricche di sapori oramai introvabili altrove, e un futuro imprenditoriale alla ricerca di un metodo per conservare tutto questo cercando di non farlo intaccare dal potere corrosivo che il danaro ha sulla tradizione. In questo delicato equilibrio, quasi fosse un ecosistema, si muovono agricoltori, imprese alimentari di lavorazione e trasformazione dei prodotti: associazioni autoctone che cercano, e di questo gliene va dato atto, di salvare la tradizione generando reddito adeguato a valorizzare e tenere in piedi questo sistema. Anni fa, proprio in questo posto delle Marche, si parlò di miracolo economico del settore della calzatura: in realtà era uno sviluppo fuori del comune di un particolare settore, ma la definizione fu fuorviante, poiché a furia di sentir parlare di miracoli tutti o quasi ci credettero, col risultato che si pensò nell’immaginario collettivo che il miracolo continuasse “ad libitum”, senza finire mai. La storia dimostrò che non era così e che i miracoli sono ben altra cosa. Di contro, chi fa dell’industria alimentare la propria fonte di vita non parla mai di miracoli, ma ha una spiritualità profonda comunque: hai i ritmi della natura nello svegliarsi presto la mattina e cercare di addormentarsi altrettanto presto la sera, ha la cura meticolosa nello scegliere gli ingredienti di quello che produce e non lo pubblicizza come il prodotto più buono del mondo. Come diceva il fondatore del celebre pastificio pugliese, Cavalieri: “Ogni nostro pacco di pasta certifica il successivo”. I nostri imprenditori sanno che la qualità ripetuta nel tempo è premiale in tutte le cose della vita. Gli exploit non pagano, sono fuochi di paglia che si spengono presto: i migliori ingredienti per fare degli ottimi prodotti alimentari sono la passione per il proprio lavoro, l’amore, l’onestà e la competenza con cui lo si fa. Come diceva il maestro Tsuda, sociologo giapponese trapiantato in Francia, un conto è una mamma che tutte le mattine dà al figlio i soldi per comperare la merenda per la scuola, e un altro è la mamma che tutte le mattine prepara con le sue mani la merenda per il figlio: mangeranno tutti e due, ma il cibo del secondo, essendo carico della premura e dell’affetto della mamma nei confronti del figlio, sarà più “nutriente”. Per cui, solo fatte salve tutte queste prerogative che ci garantiscono dal pericolo del “cibo spazzatura” e dalle facili contraffazioni, possiamo dire tranquillamente: “Tutti a tavola!”

Daniele Maiani



Io che ho scelto i Sibillini, tra zafferano e mele

Lui dei Sibillini è letteralmente innamorato. E pur avendo viaggiato per il mondo, ha fatto una scelta di vita aprendo nella sua Villa Conti, ad Amandola, un’azienda agricola che produce zafferano, tartufo e miele, coltivando anche mele rosa autoctone. Ad Andrea Servili, classe 1984, laureato in scienze e tecnologie agrarie, le proposte di lavoro non mancavano di certo. Soprattutto dopo la sua esperienza in Nuova Zelanda, per conto dell’Università Politecnica delle Marche. Ma l’azienda di famiglia, con quei terreni che lui stesso aveva recuperato nel tempo libero, andava rilanciata. “La nostra azienda è abbastanza antica - racconta Andrea - poi però mio nonno e mio padre hanno lavorato in banca e avevano i contadini che lavoravano la terra per loro. Ma quando la mezzadria è finita è stata un po’ abbandonata. Io ho avuto sempre la passione per la natura e per la montagna: da lì la scelta di fare scienze e tecnologie agrarie all’università”. Da cosa sei partito? “Negli ultimi 7-8 anni, nel mio tempo libero, ho prima pulito il terreno, poi ho iniziato con gli impianti di tartuficoltura, poi a fare le prove con lo zafferano, con un primo scacchetto di terra con 200 bulbi. Piano piano mi sono ingrandito e ho messo le api. Lo facevo più che altro nei fine settimana o durante le ferie.” Fino a che... “Dopo il ritorno nell’ottobre 2016 dalla Nuova Zelanda a fine contratto, ho deciso di fare quello che mi piaceva fare. In seguito ho costruito il laboratorio di trasformazione, aperto a fine novembre del 2017. Oggi parto dalla produzione al prodotto finito, chiudendo tutta la filiera compreso il confezionamento e la vendita.” Cosa rappresenta per te l’agricoltura, soprattutto dopo il sisma dello scorso anno che ha in parte piegato l’economia delle aree interne? “Io sono tornato 10 giorni prima del terremoto, con l’entusiasmo di partire per questa nuova avventura. Poi, invece, ti arriva un terremoto devastante. Oltre ai danni personali che ho avuto - la struttura distrutta, la rimessa per gli attrezzi e la casa patronale di mio padre - l’aspetto più difficile è stato quello di aprire un’attività in un posto che a me piace, in cui sono nato e in cui credo, mentre tanti già se ne andavano. I paesi limitrofi si stavano già spopolando e solo Amandola e Comunanza stanno ancora resistendo: chi ha potuto cambiare lo ha già fatto. I turisti negli ultimi anni erano sempre in crescita, invece dopo il terremoto il colpo si è sentito e lo scorso anno è stato duro.” Però tu, come altri, hai scelto di restare. “Le crepe c’erano anche prima del terremoto, la mancanza di infrastrutture, di promozione del territorio: erano problemi che già conoscevamo. Certo, il terremoto ci ha messo in ginocchio, ma ci ha dato anche l’opportunità di guardare quello che non andava e di accendere i riflettori su una zona bellissima. Io sono il primo a credere in questa zona, che però non è stata sfruttata e che ha potenzialità inespresse. Quando passerà questa paura del terremoto, qualcosa di positivo succederà sicuramente.” E quale potrebbe essere la strategia vincente? “È quello che facciamo già insieme a Giovanna Galbiati e all’associazione Sibillini Segreti e Sapori, è l’integrazione tra agroalimentare e strutture ricettive, il fare rete tra albergatori e produttori. Sarebbe bello allargare questo gruppo, prendendo esempio da realtà come la Toscana dove questo avviene da decenni.”

Andrea Braconi



Nutrire il terreno per nutrire la persona

Per la consegna delle cassette di verdure se ne riparlerà a primavera. Ma al 32enne Yuri Marchionni quell’ettaro di terra nel territorio di Lapedona continua a chiedere cura ed attenzione. “Tutto nasce come auto produzione per auto sostentamento, quindi prima nasce l’orto familiare con mio padre e il suo sapere contadino” ci spiega lo stesso Marchionni. La svolta verso il progetto rASOterra come arriva? “Per ricercare ulteriormente quello che avevo imparato frequentando vari corsi, sempre per migliorare l’aspetto nutritivo degli ortaggi che coltivo. Perché a livello di orticoltura casalinga non sempre si pensa a questo.” Quindi il tuo è un approccio diverso rispetto ai canoni standard dell’agricoltura. “È diverso nel modo di fare orticoltura. Solitamente si pensa a nutrire la pianta, invece noi come aspetto primario nutriamo il terreno, che poi è il capitale dell’azienda. Pensiamo a ristabilire la microbiologia del terreno per farci dare delle piante che siano nutrienti per l’uomo.” Inutile sottolineare come il nome rASOterra stimoli molta curiosità. “rASOterra nasce perché siamo nella valle dell’Aso: siamo partiti da Campofilone ma adesso ci troviamo a Lapedona, in quella che chiamiamo schola, che una volta ultimata sarà la parte di laboratori, sociale ed ospitalità. Il nome nasce da un locale che doveva progettare Arch.Officina a Pedaso e che avrebbe venduto ortaggi e prodotti tipici. Poi, quando non si è più fatto, abbiamo pensato di chiamare così la nostra azienda agricola, anche per il contatto che abbiamo proprio con la terra. Ci lavoro io, con i consigli fondamentali di mio padre, e la mia compagna Isabella è parte attiva, non soltanto nell’aiuto per la preparazione delle cassette per i clienti.” E come prende forma? “Come ampliamento di quell’orto casalingo, tentando una piccola distribuzione nell’arco di una decina di famiglie. Da lì sono passati tre anni, ci siamo un po’ allargati e adesso stiamo sperimentando il fatto che con un ettaro di terra e ortaggi gestiti in una certa maniera si riesca a tirare su uno stipendio. Non siamo certificati biologico, ma c’è una motivazione: questo tipo di certificazione ti impone delle rotazioni su un ettaro di terra che non permetterebbe di coltivare gli ortaggi che coltiviamo noi. Per quello ci vorrebbero 4 ettari, perché l’agronomia classica definisce determinate rotazioni. Invece qui sviluppiamo metodi culturali diversi, che si intrecciano tra sinergico, ambiente permaculturale e agricoltura organica riuscendo ad apportare ulteriormente preparati, farine di roccia e minerali per avere una produzione intensiva biologica.” Quali sono questi ortaggi? “Ci muoviamo ovviamente con la stagionalità. D’estate abbiamo pomodori, peperoni, melanzane, patate, zucchine, fagioli, fagiolini e tutto il reparto foglie. Per quanto riguarda le rotazioni nel nostro ettaro di terra, dividiamo in fasce che non vengono utilizzate nell’agricoltura classica, cioè frutto, radice e foglia. In base a queste distinzioni prendono dei nutrienti dal terreno. Il pomodoro prenderà cose diverse dalla foglia. Sono particelle che ruotano e ogni anno in ognuna viene piantato un legume. A questo terreno apportiamo compost, microrganismi e farine di rocce.” Un particolare interessante è la coltivazione della cipolla rossa di Pedaso. “La coltiviamo a livello hobbistico da 7 anni, mentre come produzione da 3. Quest’anno l’Assam ci ha riconosciuto come contadini custodi. Oltre a produrla e a riprodurre il seme, destiniamo una percentuale del nostro seme alla banca del seme di Monsampolo del Tronto.”

Andrea Braconi



L'agroalimentare funziona perché trasversale agli altri settori

Il comparto economico dell’agroalimentare ha caratteristiche peculiari, è il più adatto al mercato locale, prevede sviluppi futuri e appare solido, a detta di un esperto del settore come Angelo Serri, patron di Tipicità, mostra mercato delle eccellenze enogastronomiche, e non solo, delle Marche. Il cibo genera ritorno economico? “Eccome, lo abbiamo visto dai dati, il comparto agroalimentare non solo si è inventato l’esportazione, ma è trasversale a tutti gli altri settori, come ad esempio quello del turismo enogastronomico che ricopre un ruolo importante e arricchisce altre forme di turismo. Il cibo rappresenta una forte attrattiva per il turista e sottolinea l’identità, una considerazione che nell’anno del cibo, assume un valore particolare”. Quali sono i settori in espansione? “A livello regionale, ma valido per tutti, c’è un forte sviluppo per l’agroalimentare e i prodotti sani, il biologico, la riscoperta dei grani antichi e a basso contenuto di glutine. Altro settore importante è quello della birra artigianale direttamente dagli agricoltori che coltivano il malto. Assistiamo al ritorno all’antico, quello che potremmo definire un agroalimentare 4.0 che non è più quello dei nostri nonni ma un prodigioso incontro tra nuove tecnologie, applicate ai metodi del passato e alla riscoperta di un’etica che guarda alla sostenibilità ambientale. A fare la differenza è il consumatore sempre più evoluto e consapevole che vuole prodotti tipici a chilometro zero, ama mangiar bene e sano”. Su quali prodotti puntare? “Un prodotto ultra efficace è il vino, importante ambasciatore, che sottolienea le caratteristiche e la personalità del nostro territorio: è il prodotto che negli ultimi tre decenni ha dato pregio e valore ed è un trend destinato a proseguire”. Dove si colloca Tipicità all’interno del comparto? “E’ lo strumento di marketing territoriale che proietta l’identità della Regione nel mondo, attraverso i rapporti coltivati negli anni con i mercati esteri: Emirati Arabi, Russia, Stati Uniti, Cina e nazioni che di volta in volta cerchiamo di esplorare”. Quali novità per la 26^ edizione in programma al Fermo Forum dal 3 al 5 marzo? “Tipicità ormai è un melting point tra popoli e mercati, in una rete talmente ampliata e divenuta contenitore di eventi, 110 quelli concentrati nei 3 giorni della passata edizione. Uno degli appuntamenti fissi è quello dell’Accademia e con il cuoco tristellato Michelin Chicco Cerea. La novità di quest’anno sarà il Wine Hackathon un brainstorming sul vino con esperti da tutto il mondo. Il fil rouge di quest’anno sarà quello di Tipicità come crocevia della qualità, dove s’incontrano i punti di forza di questa regione, le qualità diverse sotto tanti punti di vista: la vita, il cibo, tante realtà e il saper fare di chi, al di fuori del cibo, produce con meccanica di precissione. Quest’anno tra gli enti organizzatori entrano Pesaro e di Civitanova, il programma verrà presentato l’8 febbraio a Pesaro, a Palazzo Gradari e il 12 febbraio alla BIT di Milano presso lo stand della Regione Marche”. Restiamo a Tipicità, qual è il bilancio della strada fatta fino ad oggi? “Tipicità si è consolidata gradualmente diventando punto di riferimento per la valorizzazione delle qualità della Regione. Il bilancio è positivo grazie alla partecipazione di partner e iniziative anche nell’arco dell’anno. Continueremo su questa strada, con l’attenzione rivolta al contesto che ci circonda. Il successo di Tipicità è dipeso dal non essersi chiusa in se stessa, coinvolgendo tutti per crescere insieme, aperta al contesto estero e attenta al cambiamento del tempo e degli scenari”.

Serena Murri



Prodotti tipici e piccoli Comuni

Nelle Marche metà del territorio è rappresentato dai piccoli Comuni che coltivano, allevano e trasformano il 100% dei 14 prodotti Dop e Igp, che vanno dall’olio di Cartoceto ai maccheroncini di Campofilone. Specialità territoriali che si producono anche in Comuni delle province terremotate, come quello di Montelupone nel Maceratese (3584 abitanti) dove si continua a coltivare il pregiato carciofo violaceo noto anche come lo “scarciofeno”. C’è tanta marchigianità nell’esclusivo studio Coldiretti/Symbola su “Piccoli comuni e tipicità” presentato dalla Coldiretti. “Le realtà sotto i cinquemila abitanti – spiega la Coldiretti – rappresentano nelle Marche 7 amministrazioni su 10, oltre il 20% della popolazione, oltre 35mila imprese (il 21% dell’intera regione) che occupano circa 83mila addetti (il 17,63%) con una presenza che unisce il senso di comunità all’appartenenza geografica e la custodia di valori e tradizioni come quella del cibo e dei prodotti tipici”. Un patrimonio enogastronomico, custodito fuori dai tradizionali circuiti turistici, per una realtà che potrà ora essere finalmente valorizzata e promossa grazie alla nuova legge n.158/17 sul sostegno ai piccoli borghi. La nuova normativa prevede misure per favorire la diffusione della banda larga, la promozione dell’agroalimentare a filiera corta, il turismo di qualità e punta su una dotazione di servizi adeguata, sulla cultura, sulla manutenzione del territorio, sulla tutela dell’ambiente, sulla messa in sicurezza di strade, scuole e del patrimonio edilizio pubblico. “Dalla valorizzazione dei tesori enogastronomici custoditi nei piccoli Comuni dipendono molte delle opportunità di lavoro anche per quei giovani che hanno scelto di non abbandonare gli antichi borghi - ha sottolineato il presidente della Coldiretti Marche, Tommaso Di Sante -. La nuova legge rappresenta il riconoscimento anche giuridico del valore economico, sociale ed ambientale della provincia italiana che si apre con bellezza e orgoglio al turismo nell’anno dedicato al cibo italiano nel mondo”.



Filiera agroalimentare, soldi in arrivo per sei progetti integrati

La Regione Marche ha approvato la graduatoria finale dei sei Progetti integrati di filiera agroalimentare (Pif) pervenuti alla scadenza del bando. Su 54 progetti individuali proposti e ammissibili (rispetto ai 65 pervenuti con i sei Pif), 51 sono subito finanziabili, per un contributo complessivo superiore a 15 milioni di euro. Gli altri tre lo saranno dopo l’approvazione dell’ultima modifica del Programma di sviluppo rurale (Psr) da parte della Commissione europea che ha già espresso parere favorevole sia sulla modifica, sia sull’utilizzo delle risorse della solidarietà del sisma 2016 per i Pif ricadenti nella zona terremotata. La decisione è attesa entro febbraio e consentirà di assegnare ulteriori 700 mila euro di contributi. I Pif coinvolgono gli operatori della filiera agroalimentare, come produttori, imprese di trasformazione, aziende di commercializzazione. L’obiettivo è favorire una riorganizzazione del settore primario, favorendo l’integrazione sui mercati. Rappresentano uno strumento efficace per sostenere la redditività delle aziende e incentivare l’innovazione. I sei progetti ammessi sono stati presentati dalle aggregazione della Filiera marchigiana per la valorizzazione dei seminativi biologici (produzione e trasformazione cereali e legumi biologici), della Filiera agricola biologica Marche (produzione e trasformazione di sementi, cereali, legumi e carni avicole biologiche), della Filiera Carni della Marca (allevamento e trasformazione di bovini QM ed IGP), della Filiera del Malto (produzione e maltazione di cereali QM con prevalenza di orzo trasformato in malto per birra agricola e prodotti della pasticceria), della Filiera latte e caseari (produzione di latte fresco QM e di formaggi DOP e STG), della Filiera Qualità Picena (produzione di vini DOC e IGT, olio e vino biologico).

Ultima modifica il Mercoledì, 07 Febbraio 2018 10:51

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