Una vita fa. Bologna. Via della Barca 5, fuori Porta Saragozza. Notte fonda. Dalle finestre: di qua le luci dello Stadio, di là quelle del Cimitero. Silenzio tombale. Driiinn: il citofono. Sobbalzo: chi cavolo è a quest'ora? Rispondo. "Lorrredana, aprrri, sono io".
Apro, mi sporgo dal pianerottolo. "Lui" arranca ciondolante sulle scale, in una mano la fida chitarra, dall'altra il fido LDS (Lambrusco di Sorbara). Li faccio entrare, tutti e tre, uni e trini. "Ciao, non t'ho visto staserrra, dal Morrretto". Già, stasera non avevo voglia di osteria. S'accampa ai piedi del letto, unico scarno mobilio oltre al comò. "Volevo farrrti sentirrre una cansone, l'ho appena finita". Attacca, mentre la mente mi corre preoccupata ai vicini dormienti. "Zum, zum-zum zum, zum, zum-zum zum... Non so che viso avesse, neppure come si chiamava, / con che voce parlasse, con quale voce poi cantava, / quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli, / ma nella fantasia ho l'immagine sua: gli eroi son tutti giovani e belli...". Si dipana la storia, si dipana la voce, al diavolo i vicini dormienti. Non lo sapevo, allora, ma lo intuivo: davanti ai miei occhi, dentro le mie orecchie, stava nascendo un mito. E io ero la prescelta. Ultimo zum zum, silenzio attonito. Mi scruta un po' ansioso: "Allorrra, che ne pensi?". Esco dalla trance e, sopraffatta, articolo: "Bellissima...". Che altro volevi dirgli? Bellissima, affascinante, epica, pasionaria, esaltante canzone. E io ero la prescelta! Com'è successo? Per caso.
Anni ruggenti, quelli bolognesi. Di giorno lavoravo, la sera si andava per osterie di fuoriporta: ambienti rustici, pittoreschi, cibo ruspante ed economico, bicchierozzo di vino, fraternizzazione facile. Dopo un po', tutti amici di tutti. E chitarra, immancabile, appesa al muro. C'era un'aria d'attesa: chi attacca, stasera? Spesso ero io, ormai mi conoscevano: "Dai, Loredana, comincia mò!". Gambe di sedie trascinate, tutti in cerchio a sentire, a fare coro, a cadenzare il ritmo con le mani. Una sera c'era un tizio visibilmente radical-chic, ma alla mano: mi osservava, ascoltava in silenzio. Ora di salutarsi. Mi si avvicina e mi fa: "Sai, io conosco Guccini, te lo vorrei presentare. Martedì sera da me?". Martedì sera da lui, io e la chitarra: Via Indipendenza, strada radical-chic, casa radical-chic finto casual. "Lui" torreggiava già in salotto: barba e capelli fluenti, carisma da tutti i pori, bello come Gesù. Presentazioni, cena, chiacchiere del più e del meno: che fai? Lavoro così e così, poi il giovedì sera canto al Club 37.
Già, perché m'era riuscita anche questa: cantavo canzoni popolari (in radical-chic si diceva folk-music) nel primo mitico cabaret di Bologna. Con tanto di annuncio sul giornale: "Giovedì prossimo, Bruno Lauzi e Loredana"; o "Franco Nebbia e Loredana"; o "Nanni Svampa e Loredana". Una sera mi chiamarono in fretta e furia per sostituire, pensate un po'?, Cochi e Renato che avevano dato buca! Avevo avuto perfino la quarta pagina del Carlino Notte tutta per me: "Al Club 37, Loredana canta la nostra vita". Una bella soddisfazione. "Lui" mi scrutava e ascoltava. Poi: "Fa' mò scentire qualcoscia". Chitarra e via. Dopo cinque minuti, anche lui chitarra e via: tutti e due accovacciati per terra sul tappeto radical-chic a fare a gara, a cantare insieme, tutta la notte, finché ci cacciarono fuori sia pur con modi molto radical-chic. Fu la prima delle innumerevoli volte che lo accompagnai in Via Paolo Fabbri 43 con l'Abelarda, la mia vecchia Seicento. Perché "lui" non guidava. Lo lasciai sotto casa: "Vieni domani sera dal Moretto?". Vengo.
Vado: un gruppone di alternativi geniali da osteria mi scruta, mi soppesa, mi valuta. Il primo pensiero di tutti mi si materializza nella mente: "Socmel, che bèla gnocca!". Poi mi sbattono in mano una chitarra: è chiaro che è un esame. Non mi sottraggo e canto. Alla fine, ammiccamento tra "lui", il Moretto e un altro paio. Scompaiono al cesso, una turca un po' schifida. Dopo mi hanno detto che era un rituale: le decisioni si prendevano al cesso, espletando funzioni corporali di gruppo. E quella sera avevano deliberato che ero ammessa. E fu così che il sabato ho cominciato a cantare anche all'Hostaria delle Dame, il mitico locale ipogeo di Francesco, a metà tra la "cave", l'osteria e il cabaret. E quando non era né giovedì né sabato si andava per osterie, che non erano brutti posti solo per sbevazzare, ma una fucina di geni "in fieri" che sarebbero diventati qualcuno. C'era perfino il Bonvi di Sturmtruppen! E quando il cielo già trascolorava, io e "lui" sull'Abelarda verso Via Paolo Fabbri 43: "lui" se ne andava a dormire, io a farmi uno sciacquozzo veloce e poi al lavoro. Eh, sì, anni ruggenti quelli bolognesi.
Come dite? Che c'entra "lui" con le eccellenze nostrane? Bè, innanzitutto "lui" è patrimonio di tutti, e quindi anche nostro. Poi, un pochettino è anche mio patrimonio e per traslazione lo è anche vostro. Infine perché è stata una bella realtà culturale nostrana come il Premio Letterario Volponi a conferirgli qualche sera fa, al Teatro delle Api di Porto S. Elpidio, il Premio "Lettere ed Arti": per dirgli grazie di non aver mai tradito se stesso e chi lo ha amato, lo ama e lo amerà. Per aver cresciuto intere generazioni all'insegna della coerenza, dell'impegno, della giustizia e della libertà. Sono andata ad abbracciarlo, in camerino. Mi sono specchiata in lui: tutti e due con i segni della vita stampati in faccia e nel corpo. Ma per un attimo, impercettibile forse anche a noi stessi, "lui" è tornato "l'eroe sempre giovane e bello" di quella canzone, di quella notte. E io... Bè, io... quella "bèla gnocca" che, in una minzione di gruppo, era stata ammessa alla selettiva corte di un mito nascente. Il resto, è Storia. Ah, a proposito: mio figlio si chiama Francesco (tranquilli, è nato molto dopo, mannaggia!).