O Sa', non ho fatto in tempo. Non mi hai dato il tempo. Ti hanno rubato il Tempo. Prima del tempo. O, forse, ci sono davvero disegni imperscrutabili che regolano (chissà come, chissà perché) "quel tempo della tua (nostra) vita mortale...": che splendido ossimoro, eh? Sono sicura che a un esteta come te piaceva molto. Ad ogni modo, chi ha programmato il tuo tempo quaggiù ha messo troppo indietro le lancette. Non ho fatto in tempo, dicevo: ti ho chiamato un paio di mesi fa proprio per dedicarti questa rubrica, avevo bisogno di vederti perché mi parlassi un po' di te. Ma era un brutto momento, stavi male: "Risentiamoci un po' più in là". E "più in là" è stato troppo.
Ci siamo incontrati di nuovo solo pochi giorni fa, nella tua dirimpettaia Chiesa di San Michele Arcangelo: quello che era il tuo involucro traditore in una cassa di legno, e tu che svolazzavi libero ovunque, dentro fuori sopra sotto. Ti ho sentito. C'era un sacco di gente, ognuno con un pezzetto di te dentro: sennò che venivano a fare? Non sei un tipo da convenzioni sociali, tu. Dico "sei" perché tu sei (verbo ausiliare "essere", indicativo presente, seconda persona singolare: giusto, maestro?). E resterai: per quello che hai fatto, per quello che hai dato, per quello che hai condiviso. In ciascuno dei presenti, specie in quelli che ti hanno reso pubblica testimonianza, c'era e c'è una traccia più o meno importante di te. Specie nei tuoi "coboldi": chiamavi così i tuoi alunni, come i folletti della tua amata Fantasy. Li hai visti? Ce n'era un gruppo di ex tuoi coboldi cresciuti, capitanati da un marcantonio a sei ante che ti ha dedicato "O Capitano! Mio Capitano!": una poesia di Whitman che gli avevi fatto imparare a memoria quando aveva otto anni! Aveva la voce rotta: fa specie vedere un marcantonio a sei ante piangere per il suo antico maestro. Commuove. Devi esserne fiero: hai lasciato un segno indelebile nei tuoi coboldi.
Ma il segno più grosso lo hai lasciato nell'unica persona che non ha potuto esserci, quel giorno, perché era dall'altra parte del mondo e a te, per una manciata di ore, non è stato concesso di aspettarne il ritorno: parlo di Luigi Maria, quello che, non potendo fare altro, ti ha salutato in rete (l'hai letto?): "Addio, Sandro, compagno, amico, fratello, maestro". Siete stati inscindibili: nell'affetto, nello studio, nella crescita intellettuale ed umana, nell'impegno indefesso che vi ha portato a creare a quattro mani opere memorabili, colme di incommensurabile amore per la vostra/nostra maledettamente amata città, per la sua storia, i suoi tesori d'arte. Grazie al vostro sodalizio sono nate inenarrabili narrazioni teatrali che, almeno per il tempo di una rappresentazione, hanno ri-suscitato una città gloriosa che è imbarbarita sotto i vostri/nostri occhi impotenti, sfregiata e corrosa da mani rapaci e assassine.
Ma tranquillo, Sandro: grazie anche a te, a quelli che hai segnato dentro, a quelli come te che a te seguiranno, i barbari non praevalebunt. Ci consola la certezza che continui ad "essere", e non ad essere stato: ora che svolazzi qua e là transustanziato in molecole e pura energia, l'universo è più ricco. Certo, ci manca il tuo involucro, la tua faccia gentile che si apriva a risatelle buffe, talora divertite, talora ironiche, talora talora... Ci mancano i tuoi "naturally curly hair", ovvero i tuoi capelli ricci naturali come quelli di Frida dei Peanuts. Ci manchi tu, nella tua interezza, contenitore e contenuto. Pensa che non ho neppure una tua foto da mettere a corredo di questa pagina. Facci un piacere, se puoi: ogni tanto, fai una capatina anche fugace nella nostra fase Rem. Sta' tranquillo, non è per i numeri al Lotto, anche se... Ciao, Sa'. Ciao, Maestro.