A tutta birra: un viaggio tra prodotti artigianali e agricoli

E NOI CHE FIGLI SIAMO, BEVIAM BEVIAM BEVIAMO!

“Chi beve birra campa cent’anni”, diceva un’antica réclame della birra che, in una Italia patria del vino, aveva un mercato ristretto di estimatori estivi, pronti a placare le arsure del caldo con l’amara libagione del nord dell’Europa. Non che in Italia fosse sconosciuta, questo no, ma di certo non era la bevanda nazionale. Quando io ero bambino erano due le marche di birra nazionali che spopolavano: la “bionda” Peroni (nella pubblicità, di sventole bionde ce n’è stata una sfilza che a noi maschietti ci hanno fatto sognare…) e la Dreher, che non puntava sul sexy, ma più prosaicamente stuzzicava la capacità di discernimento del consumatore, dato che chi la sceglieva dimostrava di “avere naso”.

Comunque, i consumatori di birra erano un mercato di nicchia e vi si poteva accedere solo con la maggiore età, o giù di lì. Si faceva eccezione per le puerpere che la bevevano per favorire la montata lattea! Mica come adesso, che i baldi giovani nascono già con l’ambrata bottiglietta in mano… Ma non siamo qui per stigmatizzare, anche se una tiratina d’orecchi al malcostume di sballarsi di birra non guasterebbe.

Comunque, dai lontani primordi, passano gli anni e la birra prende quota sempre di più nella nostra società. Diventa una bevanda aggregante per i giovani, e dove c’è mercato in crescita comincia la penetrazione degli specialisti esteri, specie quelli del centro-nord Europa che, obbiettivamente, di birra ne sanno molto di più di noi. E così l’offerta diventa mostruosa e proteiforme: birre bionde, rosse, nere, crude, cotte… fino ad arrivare perfino alle birre analcoliche, sperando di limitare i danni causati da eccessivo consumo. Ma, ovviamente, non è che queste ultime abbiano avuto molta fortuna: come dire che un bicchiere di “acquaticcio” (ve lo ricordate?) equivale a un buon bicchiere di “rosso”.

Insomma, a un certo punto, non molto tempo fa, esplode il boom della birra, tanto che arriva perfino il “fai da te”: su internet compaiono i kit del piccolo birraio, per prodursi in casa l’amata bevanda. E dal “fai da te” alla produzione artigianale, secondo la più italica delle tradizioni, il passo è breve: nascono miriadi di imprese artigiane, senza tradizione, invero, ma con tanta voglia di fare e di migliorare, tanto da diventare un fenomeno di mercato.

A questo punto (altra tradizione italica), lo Stato se ne accorge, e in men che non si dica parte una batosta di tassazioni sulla birra molto più alta di quella sul vino: sappiate che metà della bottiglia di birra che bevete se la ciuccia lo Stato, appunto, che è di fatto il vostro compagno di bevute occulto! Ma d’altra parte, il discorso delle stangate fiscali non riguarda solo la birra, lo sappiamo tutti. Perciò, anche da noi, c’è sempre più gente che si dice: visto che la birra va alla grande, perché non provare a farne un mestiere?

Detto e fatto: assistiamo al fenomeno di aziende agricole traballanti che convertono la produzione ad usum birrificio, o alla nascita di aziende (piccoline, per ora) messe su da giovani di poche speranze che tentano, così, di aggirare la disoccupazione. E c’è da dire che la qualità non viene disattesa: la birra non rappresenta più solo un fenomeno da sballo di massa, ma è diventata un settore destinato sempre più ad intenditori, facendo concorrenza all’aristocrazia del vino. Tanto che nascono Consorzi per la tutela e il controllo e nuove figure professionali: oltre all’enologo, adesso c’è anche il “birrologo”. E ciò, non è male: forza, ragazzi, dateci sotto, e se proprio non dovesse andare… beveteci su!



MATERIA PRIMA, SELEZIONE, QUALITA': IL RUOLO DEL CONSORZIO ITALIANO DI PRODUTTORI DELL'ORZO E DELLA BIRRA

Sono oltre cento i soci del COBI Consorzio Italiano di Produttori dell'Orzo e della Birra, dislocati in quasi tutte le regioni. Una cooperativa agricola nata però, nel 2003, proprio nelle Marche e che si è ritrovata intorno al 2008 di fronte alla necessità di un allargamento per una specifica problematica: il reperimento della materia prima.

“Spesso l'orzo prodotto dalle singole aziende – spiega il presidente Fabio Giangiacomi – non può essere utilizzato per ottenere un buon malto. Questo perché la qualità la conosciamo soltanto dopo il raccolto e, pur avendo adottato le migliori tecniche agronomiche come concimazioni, controllo infestanti e malattie fungine, siamo sempre condizionati dall'andamento stagionale. Quindi, producendo ogni socio più del proprio fabbisogno, riusciamo ad ottenere il miglior orzo con le caratteristiche più adatte per raggiungere un malto di ottima qualità. E per caratteristiche intendo proteine, farinoso non vitreo, calibratura, assenza di funghi e di residui chimici”.

Un concetto cardine è per voi quello della filiera agricola. “Cerchiamo di esaltare al massimo la qualità, perché vogliamo fare un prodotto diverso e vogliamo arrivare ai nostri consumatori direttamente. Il nostro è un prodotto interamente italiano che sta dentro certe regole ma, come avviene in tutti i settori, anche qui c'è chi fa delle buone birre e chi deve fare ancora strada. C'è spazio per tutti, ma serve puntare sulla qualità, proprio come è successo con i vini, perché alla fine il consumatore capisce cosa e buono e cosa no. Insomma, la qualità paga sempre. Noi abbiamo ottenuto dei prodotti che in commercio non esistono, proprio grazie alla materia prima. Ecco perché facciamo seminare ad ogni socio il doppio del proprio fabbisogno: vogliamo garantirci la quantità nel caso che un altro socio consegni un prodotto scadente e non utilizzabile”.

Le regole, dicevamo. “Per fare questa selezione abbiamo bisogno di ritirare subito al momento della raccolta il cereale prodotto e, dopo averne accertato le caratteristiche idonee, dobbiamo gestirlo in modo tale da poter garantire per almeno un anno e mezzo la germinazione e l'assenza di attacchi dai parassiti dello stoccaggio. Queste sono le regole che adottiamo per ottenere il miglior cereale possibile, a cui i soci devono attenersi. Nel regolamento della cooperativa abbiamo anche previsto che il costo del trasporto è uguale per tutti i soci, a prescindere dalla distanza, proprio per favorire la possibilità di ottenere il miglior prodotto possibile”. www.cobibirragricola.it



ITALIA, TERRA DELLE BIRRE. STORIA, RISULTATI E PROSPETTIVE DEL BIRRIFICIO CORTE MORALBE DI MONTOTTONE

Storia, risultati e prospettive del birrificio Corte Moralbe di Montottone Italia, terra delle birre di Andrea Braconi Elva Baldassarri ci tiene a precisarlo: al Corte Moralbe si fa birra agricola. Bionda, ambrata (stile inglese) e scura (stile belga). La prima, Gea, dedicata alla madre terra; la seconda, Alba, dedicata ad una nipote; la terza, Silvaner 89, pensando ad un'altra nipote. Perché qui, all'interno dell'Azienda Agricola Moretti di Montottone, ogni elemento è riconducibile alla famiglia, a partire da chi si prende cura degli oltre 11 ettari di terreno: Luigi, il marito di Elva, e Alberto, il figlio.

“Il nostro birrificio è socio del COBI ed è operativo dal 7 agosto 2013. Siamo all'interno di un'azienda agricola antecedente di circa 20 anni e siamo da sempre agricoltori, anche se abbiamo fatto altri lavori: io l'insegnante, Luigi l'autotrasportatore”. E da cosa nasce questa avventura? “Da un'idea di mio figlio Alberto, che ha fatto l'Agraria ad Ascoli e si è interessato a questo tipo di produzione. Abbiamo iniziato così, ma strada facendo abbiamo capito che non è semplice.”

Perché non è semplice? E' una questione di mercato o di altro? “Il mercato c'è, ma le difficoltà sono a livello burocratico, gli obblighi sono superiori a tutto il resto del lavoro. E' comunque un'attività difficile perché essendo la nostra una birra agricola produciamo dal chicco dell'orzo all'imbottigliamento. Qui occorre fare la birra e farla bene, saperla commercializzare e commercializzarla bene. Ed è tutto nelle mani di poche persone, che devono destreggiarsi tra settori diversi.”

Quanta birra riuscite a produrre? “Lo scorso anno abbiamo prodotto 120 quintali, ma potremmo arrivare a 500 perché il nostro impianto ce lo permetterebbe. Capisci però che siamo agli inizi e che, comunque, aumentare sarebbe un impegno enorme.”

Riguardo alla promozione, quale strategia avete scelto? “Curiamo in modo particolare la vendita diretta in azienda, ospitiamo scolaresche e gruppi di persone che vogliono visitare l’opificio e fare assaggi, convegni per divulgare la conoscenza e la cultura di questa bevanda tutta mediterranea. E abbiamo partecipato a varie manifestazioni, quali il Festival delle Birre Agricole dell'Abbadia di Fiastra, la rassegna Raci di Villa Potenza, Tipicità a Fermo, all’Agribirrio di Osimo e tante altre.”

Quindi vi rivolgete ad una clientela prevalentemente locale? “Sì, locale e regionale, attraverso la vendita in botteghe specializzate, bar e negozi di un certo livello.”

E avete intenzione di guardare anche al nazionale? “E' complicato, i costi di trasporto inciderebbero troppo. Ce l'hanno chiesto in tanti, ma la vedo dura. Con la Copagri avremmo potuto partecipare all'Expo ma ci è sembrata una cosa più grande di noi: meglio fare il passo secondo la propria gamba. Siamo legati all'attività agricola, questo deve rimanere un prodotto di nicchia e deve essere sempre una birra di qualità. Einaudi diceva che i vincoli di natura burocratica tentano sempre di mettere in ginocchio le attività, ma noi, che vogliamo essere ottimisti e che teniamo al buon nome dell'azienda, andiamo avanti convinti dell'elevata qualità dei nostri prodotti”.

Un giudizio sull'andamento del settore? “Si sente spesso dire che nascono birrifici come funghi o che si fa birra in casa; questo però non è settore che ammette improvvisazione. Si può anche fare buona birra a casa per hobby, ma per farla a certi livelli ci vogliono conoscenze, competenze e impianti di un certo livello. L’evoluzione del settore non è e non può essere una moda e chi fa birra agricola lo fa oltre a quanto sopra detto, perché produce materie prime. E dobbiamo tutti lavorare per diffondere in maniera corretta la cultura della nostra birra. Perché in Italia non abbiamo la birra: qui abbiamo le birre.” www.agrimoretti.it


DALLA TEORIA ALLA PRATICA, CERCANDO LA QUALITA'. IL BIRRIFICIO ARTIGIANALE DUEP DI MONTE URANO

Il Birrificio Artigianale DUEP di Monte Urano Dalla teoria alla pratica, cercando la qualità Iniziamo sfatando un mito: per realizzare un sogno non basta la passione. Bene lo sa Pierpaolo Pacioni che, prima di realizzare il suo di sogno, ha sgobbato parecchio sui libri. Nell'ordine: diploma di Tecnico agrario con specializzazione in Viticoltura ed Enologia, laurea in Agraria con specializzazione in Tecnologie e Biotecnologie degli Alimenti, iscrizione all'albo dei Tecnologi alimentari. E poi la pratica: una collaborazione con il Centro di Eccellenza nella Ricerca sulla Birra, a Perugia. Ma passare tutta la vita dietro una scrivania, tra analisi e controlli, non era il sogno di Pierpaolo.

Così, scaduto il contratto, se n'è tornato nella sua Monte Urano con un progetto ben chiaro in testa: produrre birra artigianale. Facile a dirsi, meno a farsi. Ma, a Pierpaolo, la caparbietà non manca e, con l'aiuto dei familiari (il fratello è agronomo, ndr), nel 2011 è nato il Birrificio Artigianale DUEP. “Ho sempre desiderato avviare un'attività nel settore alimentare – dice – e mi sono preparato per farlo al meglio. Tornato a casa, avrei potuto lavorare nell'azienda di famiglia, (che produce suole, ndr), magari rinnovandola, ma ho preferito investire in qualcosa che fosse mio”. Un'attività, il birrificio, nata grazie alla passione e alla competenza di Pierpaolo e ad un finanziamento ricevuto dalla Provincia di Fermo.

“Nel 2011 sono stato tra i vincitori del Progetto Colombo, un'iniziativa promossa dalla Provincia di Fermo per creare nuove imprese. In questo modo, ho potuto, almeno in parte, coprire le spese affrontate per l'acquisto dei macchinari. Quello della produzione di sostanze alcoliche è un settore molto tassato ed è difficile rientrare con i costi. Io sono ancora all'inizio, sto cercando di farmi conoscere, partecipo a manifestazioni ed eventi dedicati alla birra e ho una clientela di pub e pizzerie che va dalla provincia di Ancona a San Benedetto del Tronto. E' un lavoro che mi impegna completamente e per tutto l'anno. Prendendo in mano una bottiglia di birra artigianale, spesso non si capisce il lavoro che c'è dietro e che, per larga parte, ha a che fare con la burocrazia”.

E cosa c'è dietro questo lavoro? “All'inizio c'è stata un'analisi del mercato, fatta da me per capire quali prodotti avrebbero avuto maggiori possibilità di essere apprezzati e venduti. Ora ci sono tutte le fasi legate alla produzione della birra: l'acquisto delle materie prime – il malto d'orzo che finora ho comprato in parte in Italia e in parte all'estero, anche se con il tempo vorrei poter utilizzare solo quello italiano, e il luppolo che, essendo presente in Italia in scarse quantità, viene importato dall'estero –, la produzione della birra, l'imbottigliamento, l'etichettatura e la vendita. Il mio obiettivo è realizzare un prodotto artigianale che sia il più possibile italiano e che si caratterizzi per una ricetta e un gusto diversi da tutti gli altri”.


BIRRAI, BIRRA ARTIGIANALE E HOMEBREWING: AUTOPRODUZIONE, UN FENOMENO IN CRESCITA

C'è un ritorno all'autoproduzione un po' di tutto, c'è gente che a casa si fa pane, marmellate, sapone, e gente che si fa la birra. Fenomeno che nasce in Italia dopo il 1996, quando è stata legalizzata la produzione di birra per uso domestico; poi internet e lo scambio veloce di informazioni hanno fatto il resto. Marco Simoni, oggi birraio esperto, nasce come cameriere e ha una sola certezza: la birra va bevuta e, perché no, anche degustata.

"Produco birra dal 2007 – spiega – professionalmente dal 2010. Oggi è un lavoro che mi permette di vivere, ho dei distributori e la esporto negli Stati Uniti. Si tratta di un ambiente molto settorizzato, ma anche all'estero apprezzano la birra italiana".

Come nasce l'approccio alla birra all'interno della Condotta Slow Food del Fermano, tradizionalmente orientato al vino? "Tutto è nato dalla volontà dell'associazione Briuoteca di fare un corso di formazione sulla degustazione delle birre, perché il birraio domestico si chiede 'quanto è buona la mia birra, come riesco a valutarla?'. Da qui è venuta fuori l'idea di un corso di degustazione. Slow Food, nel frattempo, è stata una delle prime associazioni a livello nazionale a produrre un vero e proprio master di avvicinamento e degustazione alla birra, con l'aiuto di Carlo Cleri, responsabile della Guida Slow Food per le Marche, che ha tenuto i corsi di degustazione, e da qui il Master of Beer che si è svolto in quattro serate e si è concluso a Pedaso lo scorso Marzo".

Parliamo della Briuoteca. "Si tratta di un'associazione che raccoglie tutti i birrai domestici. Organizziamo corsi ed eventi, tra cui le Domenicotte: cotte pubbliche, ovvero una dimostrazione pratica di produzione domestica di birra. Riproduciamo tutti i processi di produzione che avvengono all'interno di un birrificio, ma in piccolo, come verrebbe fatto a casa. Adesso stiamo percorrendo anche la strada dell'autoproduzione di luppolo".

Qual è il vantaggio dell'homebrewing o birra domestica che però non può essere commercializzata? "Il vantaggio di far parte di questo tipo di circuito è quello di non essere legato ad un concetto di distribuzione. Hai dalla tua parte il fatto di poter sperimentare diversi ingredienti, diversi schemi di fermentazione che poi vanno a sviluppare dei prodotti sperimentali che molto spesso vengono adattati dai birrifici".

Cosa si può fare per valorizzare birra e territorio? "Sicuramente va fatta rete, bisogna capire che il nemico da combattere non è il birraio vicino ma l'industria della birra, soprattutto le produzioni estere perché sono multinazionali che riescono ad avere un potere contrattuale in termini di mercato che il birrificio artigianale non riesce mai a raggiungere e utilizzano materie prime che non saranno mai quelle utilizzate da un produttore artigianale o domestico. Per valorizzare vanno incentivati i produttori domestici di birra; per incentivare la birra va eliminata l'accisa, tassa di fatto inutile che non riesce nemmeno a ripagare il funzionario che dovrebbe essere preposto ai controlli. Gli enti che stanno dietro ai controlli non avrebbero ragione di esistere se non fosse per questi produttori domestici che pagano l'accisa".

Parliamo di guadagni. "Tanto per intenderci, un birraio non gira mai in suv, almeno per adesso. Perché il mercato della birra è fortemente condizionato dal prezzo industriale. Molto spesso la birra artigianale ha dei costi soprattutto strutturali molto più elevati, che vanno a far lievitare il prezzo finale del prodotto".

Questo non è in contraddizione con il fatto che la crisi abbia incrementato l'attività di autoproduzione? "Sì, ma la crisi va ad orientare i consumi verso una qualità superiore. Questo significa che se uno spende 5 euro per un calice di vino, quel calice di vino significa qualità. Per la birra è la stessa cosa, quindi magari limitano il contenuto ad una bottiglietta da 33 cl però la vogliono di qualità e questo fa da volano al discorso della birra artigianale. La birra homebrewing è questo: la spasmodica ricerca dell'eccellenza".

Prospettive future? "Si tratta di un settore che va forte sulla territorialità, nasceranno sempre più birrifici locali con birra non pastorizzata e di scadenza molto breve ma di qualità superiore. Nel momento in cui si abbasseranno i prezzi, la gente sarà orientata a consumare birra artigianale locale e non birra industriale, sorgerà il birrrificio di paese dove andare a comprare la birra".



NELLE MARCHE CRESCONO I MICROBIRRIFICI, IN 50MILA "PAZZI" PER LA BIRRA

Nelle Marche cresce la produzione di birra artigianale, con una trentina di microbirrifici sorti sul territorio che puntano a soddisfare i circa 50mila appassionati. Secondo un’analisi Coldiretti sui dati Istat, consuma birra quasi un marchigiano su due sopra gli 11 anni (46,3%), circa 600mila persone, ma con un 3,2% di appassionati (quasi 50mila) sulla cui tavola il boccale non manca mai. Un trend che ha trainato il boom dei microbirrifici, che oggi producono oltre un centinaio di tipi di "bionde", "rosse" e "scure", con la nascita di esperienze di filiera corta costruite con l’impiego dell’orzo aziendale in un contesto produttivo a ciclo chiuso garantito dallo stesso agricoltore.

Parallelamente alla birra “classica” sono sorte esperienze legate ad altri tipi di specialità del territorio, come la birra alle visciole o la birra al miele. La nostra regione è la quinta in Italia per produzione di orzo, con un raccolto che, nel 2014, è stato di 683mila quintali. Ma, se si considerano i dati nazionali, la produzione artigianale traina anche l’export Made in Italy con le spedizioni di birra italiana all’estero che sono aumentate del 13% nel corso del 2014 rispetto all’anno precedente. Oltre la metà della birra italiana esportata all’estero è diretta nel Regno Unito dove nei pub si diffonde la presenza delle produzioni artigianali nostrane.

A cura di Daniele Maiani, Andrea Braconi, Francesca Pasquali, Serena Murri

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Aprile 2015 09:52

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