Nuovi controlli alla dogana russa: ecco l’etichetta che toglie i problemi ai calzaturieri

FERMANO - Si torna a credere nella Russia, anche se gli ordini ancora stentano, e il distretto calzaturiero fermano, in primis, spera di riconquistare fette di mercato o di, quantomeno, confermare il proprio spazio. E lo farà anche la prossima settimana durante l’Obuv, la più importante fiera internazionale in Russia. “Solo che ora bisogna stare attenti, perché per esportare in Russia vengono richiesti nuovi e dettagliati documenti. In realtà è una normativa in vigore da tempo, ma da qualche mese i controlli doganali sono diventati ferrei. Il rischio che la merce non entri nel Paese è alto” spiega Enrico Ciccola, presidente dei calzaturieri di Confindustria Centro Adriatico.

Una evoluzione fiscale e doganale caratterizzata da una nuova etichettatura, rigorosamente in cirillico. È necessario richiedere una certificazione e/o una dichiarazione di conformità EAC (Eurasian Conformity): i certificati / le dichiarazioni conferiscono il diritto di applicare il logo EAC sul prodotto. In assenza del logo EAC il prodotto non può essere sdoganato e quindi commercializzato. “Il punto – prosegue Ciccola – è che i prodotti devono essere certificati da una società russa”.

Il Certificato di Conformità EAC viene richiesto dal produttore (società di diritto italiano) per mezzo di una società di diritto russo (la cosiddetta «persona di fiducia») e rilasciata a nome del produttore che ne è dunque il solo intestatario. Per ovviare ai problemi che potrebbero sorgere, Assocalzaturifici mette in campo la professionalità del Cimac (Centro italiano di materiali per applicazione calzaturiera), che va a potenziare i servizi già forniti dalle territoriali di Confindustria” sottolinea Matteo Scarparo, responsabile Business service di Assocalzaturifici, al termine dell’incontro che si è tenuto nella sala convegni dell’hotel Horizon. Per questo Cimac collabora con società di diritto russo con esperienza consolidata nei servizi all’industria della moda.

Quello che non cambia è la classica etichettatura che una scarpa deve avere sempre attaccata: le informazioni (in lingua italiana o, in alternativa, mediante i simboli) sui materiali usati per le tre parti che compongono la calzatura: tomaia, rivestimento interno della tomaia e suola interna (fodera e sottopiede), suola esterna.

“Se vogliamo guardare il lato positivo – conclude Ciccola – è che questo è un primo passo verso un riconoscimento del made in, quantomeno a livello di obbligatorietà di etichettatura. Complica il lavoro alle imprese, ma attraverso l’associazione cercheremo di rendere il tutto più agevole possibile”.

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