Cenni biografici

Di Sergio Soldani Lo scorso secolo fu caratterizzato da un periodo definito “era del vero boom economico”, ovvero gli anni Sessanta. Io ero un bambino che abitava a Roma e a Marina di Ravenna nella villa del mio amatissimo nonno materno. I miei genitori, giovani sposi di bell’aspetto decisero, una domenica di primavera, di portarmi a visitare Venezia. Ero un bambino molto timido che viveva di

sfrenate fantasie, passione per i giochi con la palla e un certo timore per gli occhi di ghiaccio di mio padre. A dire il vero ero anche molto intonato ma cantavo da solo ascoltando la radio, scatenandomi in balli improvvisati e disarticolati in coppia, costringendo le uniche due malcapitate occasionali damigelle, che erano mia nonna Lea e mia zia Gianna. Riguardo a quel viaggio lampo a Venezia,

mio padre si mise alla guida della sua Ottocentocinquanta e da Via Baldo degli Ubaldi arrivò nel capoluogo veneto. Durante il viaggio dormii quasi sempre steso, come su di un comodo lettino, sul sedile posteriore, occupando ovviamente due posti. Bisogna però aggiungere che poco prima di quello spostamento, mi ero creato un amico del cuore o fratellino immaginario che avevo battezzato: Martino!

Una volta lì, scendemmo dall’autoveicolo e cominciammo a camminare sorridenti, illuminati da un sole di metà mattina. Mi ricordo quanto rimasi suggestionato da quella città senza auto con vie strette e ponti sull’acqua... continui! Con palazzetti colorati che mi piacevano tanto che non riuscivo ben a capire se i miei genitori mi avessero condotto al centro di una fiaba reale. Pensai che ormai ero lì e me la potessi godere fino in fondo.

Certamente mi avvalsi della possibilità di a conversare a voce alta con il mio amico invisibile, domandandogli anzitutto se gli piacesse la città, se fosse stato comodo durante il viaggio e se avesse fame come me, proponendogli un panino con il formaggio, alimento che fin da piccolo mi piaceva molto più dei dolci, e che stesse sicuro che papà Benito detto Nicola l’avrebbe comperato di lì a pochi minuti. Così fu. Infatti il genitore, con la mamma e insieme a noi due, entrò in una tipica bottega alimentare e comperò quel cibo appetitoso. Mentre mangiavamo felici e sorbivamo acqua fresca, domandai a Martino se volesse tifare la Roma come me, senza dimenticare di chiedere il permesso al nonno che teneva, da uomo del nord, per il Bologna, e parlava spesso di un certo Pascutti… E insistendo gli dissi se fosse intenzionato fra un po’ di mesi ad accompagnarmi in un certo posto del quale mi avevano parlato che si chiamava... scuola!!!

Per un tratto ancora gli adulti ci spiegarono l’importanza della città dove stavamo e allora con uno sguardo feci capire a Martino che si doveva ascoltare senza parlare. Mamma e papà si comportavano come se io non dessi segno di alcuna bizzarria e mi domandarono con un sospiro di coraggio: “Dov’è?... Dov’è adesso Martino?”. Io risposi con allegria e convinzione: “Ma come non lo vedete? Martino è là che sta nuotando in acqua, guardate che bravo... Nuota ma non si bagna e quando gioca a palla non suda e non si sporca e non piange mai, nemmeno quando cade e gli esce il sangue dal ginocchio!”.

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