La filiera del libro. Dalla scrittura alla fruizione passando per la pubblicazione: tutti gli aspetti di un mondo in continua evoluzione

UN TEMPO SI COMINCIAVA CON LE ASTE... PER LEGGERE E SCRIVERE SI USA SEMPRE MENO IL SUPPORTO CARTACEO. MA E' VERA EVOLUZIONE?

Leggere e scrivere: due facce della stessa medaglia. Fino alla fine del secolo scorso, scrittura e lettura erano il regno incontrastato della carta. Sui fogli bianchi si imparava a scrivere alle elementari; sulla carta, inchiostrata dai caratteri di piombo, a leggere. I libri erano una necessità per tutti prima che un piacere, la cultura passava attraverso la lettura dei libri e la scrittura degli stessi. E tutto il processo si ripeteva uguale (tecnologia più, tecnologia meno), da tempo immemorabile. A una certa età dell’infanzia si cominciava a imparare a leggere e scrivere e poi questa abilità accompagnava tutta la vita dell’individuo. La scrittura, invero, aveva una caratteristica di individualità speciale: a parte il fatto che veicolava le idee, anche nel tratto esprimeva la personalità di chi impugnava la penna.

Poi la rivoluzione dell’era digitale: la carta, piano piano, non è più il supporto ottimale né per la scrittura né per la lettura, gli schermi sono ora i Signori custodi dei libri e di tutte le creazioni artistiche che passano attraverso la scrittura. È di poco tempo fa la notizia che in Svezia i bambini impareranno a scrivere solo in stampatello per abituarli in fretta ai caratteri delle tastiere dei computer. Finisce, in pratica, la poesia del corsivo, definitivamente. Finisce il gusto per la calligrafia, al bello e utile si sostituisce solo l’utile, l’autostrada per l’appiattimento totale. Ma anche se è una battaglia che sta diventando di retroguardia, c’è ancora una foltissima rappresentanza degli amanti del libro cartaceo, che difendono strenuamente la loro scelta e il loro modo di gustare il piacere della lettura. E quello della lettura è un mondo che si alimenta da un altro universo: quello della scrittura, appunto.

Un altro mondo che soffre per le difficoltà che incontra chi vuole cominciare a scrivere libri: i contatti con gli editori di solito sono piuttosto difficili, e più sono grossi più sono irraggiungibili alla massa degli aspiranti scrittori di successo. Nel mondo dell’editoria locale, tolte le debite eccezioni (poche invero), la situazione non è tanto diversa. Poi ci sono le biblioteche: quelle belle, grandi, preziose delle grandi città, ma anche di quelle più piccole, come Fermo ad esempio. Ma anche i piccoli centri spesso offrono delle inaspettate sorprese: sono sempre più numerosi quelli che, piano piano, si arrabattano per poter offrire un piccolo grande patrimonio a chi ancora ama il contatto delle mani e della mente con i libri. Spesso sono realtà ancora minuscole, ma di alto valore culturale, perché veicolo della diffusione di un sapere che si salverà a dispetto di eventuali (e probabili) black out informatici che ci potrebbero riportare all’età della pietra.

La situazione delle grandi biblioteche è invece in lenta evoluzione, nonostante si facciano grandi sforzi per l’adeguamento dei fondi moderni a causa della estrema scarsità di fondi: chissà perché, quando c’è da tagliare sulle spese ci si accanisce soprattutto sulla Cultura. Poco c'è da sperare in quel mecenatismo di origine rinascimentale, quando si donavano alle biblioteche della propria città grandi fondi librari. Si assiste infatti ad una gelosa cura delle biblioteche private di notevole pregio: la cultura, come un fiore avversato da un clima ostile, si chiude in se stessa, si rintana nelle pareti domestiche dei bibliofili appassionati, quelli che le pagine le vogliono toccare, accarezzare, e non leggere attraverso asettici schermi. E tra gli scrittori c’è ancora chi, a dispetto del cosiddetto progresso, piuttosto che pigiare sulla tastiera preferiscono ancora scrivere su un bel foglio di carta fatta a mano. Magari con una bella penna stilografica. Chi avrà ragione? Lo dirà il Tempo.




CERCANDO LA STORIA, MENTRE INCROCIA LA STORIA. ANGELO FERRACUTI, UN MILITANTE DEL RACCONTO DAL VERO

La sua prossima tappa sarà al Salone del Libro de Il Cairo, a fine mese, per l'ennesima presentazione de “Il costo della vita”, edito da Einaudi. Oltre cento, infatti, sono stati gli incontri in tutta la Penisola – con viaggi anche a Bruxelles e Pechino – per raccontare la tragedia del 13 marzo 1987 nei cantieri Mecnavi di Ravenna, con 13 operai morti asfissiati nelle stive di una nave.

“Sono sempre interessato a una storia che incroci la Storia, il destino sociale – spiega lo scrittore Angelo Ferracuti – e quella che può definirsi la condizione umana in una determinata epoca. Può essere un reportage narrativo, oppure una specie di finzione molto condizionata dai fatti che conosco, dalle cose che ho visto”.

Il lavoro, il movimento operaio e le distorsioni del capitalismo sono al centro di quella che hai definito la tua "seconda vita da scrittore", quella dei reportage. Una fase intensa, segnata soprattutto dall'incontro con Mario Dondero.“Mario è diventato il mio inconsapevole Maestro: senza una vera intenzione ha compiuto un deragliamento estetico, e lo scrittore che ero stato fino a un certo punto si è poi trasformato in un militante del racconto dal vero. Il lavoro è il tema di tutti i miei libri, anche quelli di finzione. C’è ancora l’epica nei lavori, il conflitto, il sudore, è vivo e corporale”.

Ci sono concetti come l'immutabilità del presente e la cancellazione della memoria che ritornano spesso nei tuoi scritti. “E’ vero, scrivo spesso di cose che mi angosciano. Viviamo in un’epoca dove sembra finito il futuro, società autoritarie finanziar-mediatiche, dove comanda una superclasse globale di ricchi che inventa storie, menzogne. Ho paura di svegliarmi una mattina in un paese dove la gente è convinta che Auschwitz non è esistita, oppure che sterminare i nomadi è giusto”. Ultima riflessione: la scrittura e soprattutto il libro sopravviveranno ad una virtualità dilagante? “Forse torneremo alle storie orali, chi lo sa. Non si può cancellare il desiderio di raccontare storie, di scriverle. Ma certo il libro è già uno strumento minoritario nella società dello Spettacolo”.

È Angelo Ferracuti è nato a Fermo nel 1960. Ha pubblicato le raccolte di racconti “Norvegia” (Transeuropa, 1993) e “Il ragazzo tigre” (Abramo, 2007), i romanzi “Nafta” (Transeuropa, 1997 e Guanda, 2000), “Attenti al cane” (Guanda, 1999), “Un poco di buono” (Rizzoli, 2002), i libri di reportage “Le risorse umane” (Feltrinelli, 2006- Premio “Sandro Onofri”), “Viaggi da Fermo” (Laterza, 2009), “Il mondo in una regione” (Ediesse, 2010), “Il costo della vita” (Einaudi, 2103, Premio Lo Straniero), “I tempi che corrono” (Alegre, 2013), la raccolta di testi teatrali “Comunista!” (Effigie, 2008), e con Mauro Cicaré la graphic novel “L’angelo nero” (Barney, 2015). Scrive per Il Manifesto e Pagina99.




LAVORARE CON LE LINGUE. L'INTENSO VIAGGIO DI STELLA SACCHINI TRA I SUONI, I COLORI E GLI ODORI DELLA SCRITTURA

Stella Sacchini di professione gioca con le parole. Più specificatamente con le lingue vive, come l’inglese, e quelle “madri” così come lei stessa le definisce, come il latino e il greco. Laureata presso l’Università di Macerata in Lettere classiche, specializzazione in Filologia bizantina, la giovane fermana ha inoltre un master in Traduzione all’Università di Pisa. Entra ed esce dal ruolo “attivo” di scrittrice (Fuori posto, edito da Coazinzola Press) e quello “invisibile” di traduttrice per Feltrinelli, Marcos y Marcos, Del Vecchio, oltre per diverse riviste di cultura e informazione. Entrando nel merito, dal tuo curriculum si evince un percorso professionale diviso principalmente tra la traduzione e la scrittura.

Quale formazione scolastica e/o extra scolastica ti ha portato a questo punto? “La strada che mi ha portato a diventare una traduttrice e poi una scrittrice è parecchio arzigogolata. È stato un viaggio, più che un tour organizzato. Fino al 2009 non avevo mai pensato di fare la traduttrice. Con le lingue avevo già un rapporto d’amore intenso e consolidato, è vero, ma si trattava di lingue un po’ particolari. Alcuni le chiamano lingue 'morte', io preferisco chiamarle lingue ‘madri’, nel senso che nei loro confronti abbiamo un debito inestinguibile. Insomma, dopo la laurea in Lettere classiche e la specializzazione in Filologia bizantina, una cosa solo (si fa per dire) sapevo: che lavorare con le lingue, maneggiarle, passare il tempo in loro compagnia, ascoltarne il suono, scoprire cosa nascondevano certe parole misteriose mi piaceva, mi piaceva da morire. Un consiglio della mamma, la migliore delle psicologhe, mi ha portato sulla retta via: il master in Traduzione dell’Università di Pisa.

Quello è stato l’inizio, o meglio, uno dei miei tanti inizi. Ho avuto la fortuna e la benedizione di avere maestri illustri, di traduzione e di vita, primi fra tutti Franca Cavagnoli e Riccardo Duranti. Con loro ho imparato il mestiere. Con loro, con i libri, con la vita, perché – non mi stancherò mai di ripeterlo – per tradurre bisogna leggere leggere leggere (in entrambe le lingue, l’originale e la tradotta), è vero, ma bisogna anche, e soprattutto, vivere. Ascoltare i nonni e le loro storie di fattori, erba medica e grespegne, prendere e perdere treni, fermarsi a bere un caffè nel baretto dei vecchi di paese, andare ai concerti, giocare a chiapparella”.

Al centro di tutto c’è dunque la traduzione, attività che quest’anno ti ha portata a ricevere il Premio Babel per la traduzione letteraria dell’opera Jane Eyre di Charlotte Brontë. “Sì, tradurre è il mio lavoro, il lavoro che amo, il lavoro della vita. Tradurre è la sicurezza. Scrivere, invece, il rischio, l’imprevisto, il pericolo sempre in agguato. Svegliarmi ogni mattina e avere, lì pronte ad aspettarmi, la pagina del libro che sto traducendo alla sinistra del computer, la pagina word, tutta bianca, e il fuoco acceso alle mie spalle mi rassicura, mi consola, mi tranquillizza. Sapere che tutte quelle parole straniere diventeranno casa, pur conservando la loro irriducibile estraneità, mi mette in pace con me stessa e con il mondo. Il 2014 è stato un anno intenso e felice per il mio lavoro. Il 2012 e il 2013 sono stati gli anni della semina. Questo, l’anno della raccolta (anche se di seminare non si deve smettere mai).

Jane Eyre è stato un incontro fortunato e irripetibile, come tutti i grandi amori lo sono. Non era un romanzo a cui ero particolarmente legata, un romanzo che credevo, come si dice in certi ambienti, ‘nelle mie corde’. E così, all’inizio, mi sono messa a tradurre come un bravo soldatino. Ma a un certo punto è successo quello che non avevo previsto: mi sono innamorata. Di chi mai avrei pensato di innamorarmi. E ho scoperto che quella scrittura non solo era ‘nelle mie corde’, ma nel mio cuore, nella mia mente, sulla mia pelle, sulla punta delle mie dita, dentro agli occhi, tra le labbra. Ce l’avevo dentro. Ce l’avevo sempre avuta. Ma non lo sapevo. A quel punto mi sono arresa e ho fatto l’unica cosa che potevo fare: amarla. Jane Eyre mi ha insegnato cos’è l’amore. Credo che venga da questo ‘l’esito felice’ della motivazione del Premio Babel. Dalla fortuna sfacciata dell’amore”.

Tradurre è ed è stato storicamente il mestiere di molti scrittori che cercavano di sbarcare il lunario, nel tuo caso cosa è venuto prima, scrivere o tradurre? “È vero. Molti scrittori sono stati anche traduttori. Ma non solo per sbarcare il lunario (ché, in fondo, con la traduzione non ci si arricchisce, anzi…). Tradurre è uno dei più formidabili esercizi di scrittura. Uno dei più frequenti esercizi nei corsi di scrittura creativa è quello di provare a scrivere il racconto o la poesia che vuoi scrivere scrivendola però come li scriverebbe un autore o un’autrice che ti piace o che vuoi provare a ‘seguire’. Poi è ovvio che non scriverai mai come scrive quello scrittore o scrittrice, ma scriverai come scrivi tu. Però con un livello di consapevolezza un pochino più alto. In traduzione invece ti ritrovi a scrivere proprio come scrive lo scrittore che devi tradurre (o, per lo meno, così dovrebbero andare le cose), per cui è come fare quello stesso esercizio in modo più intenso ed efficace.

Detto questo, non per forza chi scrive deve aver tradotto, né chi traduce finisce sempre per scrivere qualcosa di suo. Però a volte succede. Contro ogni pronostico, mi viene da aggiungere. Io, non fosse stato per Riccardo Duranti, che è stato prima il mio professore, anzi, il mio maestro, e poi il mio editore, avrei continuato a nascondermi dietro la scrittura degli altri. È stato lui, in un bel weekend di scrittura nel suo caldo nido campagnolo nella Sabina, a chiedermi di scrivere un racconto. Un racconto che un anno dopo è diventato il primo capitolo di Fuori posto, il mio romanzo”.

Dall’altro lato c’è invece la scrittura. Qual è la genesi di Fuori posto, il tuo primo romanzo? “Faccio ancora fatica, dopo un anno dalla pubblicazione, a parlare di Fuori posto. Ogni volta sono colta da uno sbalordimento e da un’incredulità che non sembrano intenzionati ad affievolirsi col tempo. ‘Ma è davvero mio?’ Questa la domanda assurda e attonita che continuo a farmi, ogni volta che penso a lui. Fuori posto nasce da una storia che è mia, senz’altro. Che poi è una storia che mi sia accaduta davvero, nella vita, è un altro discorso, perché in fondo tutte le storie che ci abitano sono nostre e noi siamo i loro legittimi proprietari, che siano vere o no.

La protagonista del romanzo, la bambina del letto in mezzo, ha una caratteristica particolare di cui va molto fiera: la sua schiena, invece di fare una i, movimenta un po’ la situazione tracciando, una curva dopo l’altra, una bella esse. Per colpa, o per merito, di questa esse, la bambina del letto in mezzo finisce nel Posto, che è dove i grandi (il signore con il righello nel taschino sul petto, il signor Tira-colli, la signorina con l’ombretto azzurro cielo) proveranno a fargliela diventare una i. La bambina del letto in mezzo ha, certo, alcune caratteristiche della bambina che fui e che sono, o forse, mi piace pensare, della bambina che avrei voluto essere. Ma contiene in sé tutte le bambine che ho incontrato nella mia vita, quelle vere e quelle dei libri. C’è anche la piccola Jane, dentro, irriverente e intelligentissima, e la donnina Dorothy, de Il mago di Oz, decisa, curiosa, temeraria. E chissà quante altre…”.

Il tuo vivere di letteratura dove pensi ti porterà? “Vivere di letteratura suona quasi un ossimoro, di questi tempi. Anche se d’istinto, e di cuore, vita e letteratura sono quanto di più vicino esista, per me. Quello che mi auguro, per il futuro, mio e di chi fa un mestiere simile al mio, è che con il nostro lavoro possiamo davvero vivere, con tutte le incombenze pratiche e le necessità quotidiane del caso. Il traduttore è un autore invisibile. La sua invisibilità è garanzia di professionalità. Questo è sacrosanto, perché la voce del traduttore non deve mai prevalere sulla voce dell’autore tradotto. Ma l’invisibilità non è un valore assoluto. Per fortuna, nei giornali, nelle trasmissioni radiofoniche, nei siti di letteratura si comincia a dare un nome a questo autore invisibile, alias traduttore.

Questa nuova ‘visibilità’ del traduttore e questo recente interesse per il suo lavoro sono segni buoni. Segni che mi fanno ben sperare. Mi è capitato, di recente, di tenere una lezione di scrittura e traduzione al Camplus Bononia per gli studenti dell’Università: parlare di traduzione è un modo più profondo e più concreto di parlare di letteratura e di lingua della letteratura. Esperienza viva e vissuta, letteratura che si tocca, si maneggia, si scompone, e non che si guarda da lontano come un’opera d’arte che si ha paura di avvicinare. La letteratura è roba concreta, roba di pancia, di sudore, di fitte al cuore, di occhi che bruciano. Questo mi insegna ogni giorno la traduzione e questo mi piacerebbe trasmettere. Nel mio futuro vedo nuovi incontri, nei libri e nel mondo di carne.

Mi piacerebbe continuare a lavorare con i classici, come ho fatto finora con la collana Universale Economica della Feltrinelli, per cui ho tradotto Jane Eyre e Il meraviglioso mago di Oz e per cui sto traducendo Tom Sawyer di Twain, e anche con la Del Vecchio, per cui invece ho tradotto Le stanze dei fantasmi, raccolta di ghost stories inedite di autori dell’età vittoriana, ma mi piacerebbe fare, ogni tanto, anche qualche incursione nel contemporaneo. Per dirla tutta, un piccolo passo nella linea del tempo l’ho appena fatto: proprio oggi ho consegnato un romanzo di Josephine Johnson, autrice americana del novecento che vinse il premio Pulitzer nel ’35, Il viaggiatore oscuro, che uscirà a inizio 2015 con Del Vecchio Editore”.




LA STORIA DELLA NOSTRA TERRA E DEL SUO POPOLO. IL LAVORO DELLA CASA EDITRICE ANDREA LIVI PER NON DISPERDERE MEMORIA E TRADIZIONI

La stanza in cui lo intervisto, nel cuore del centro storico di Fermo, è come la immaginavo: libri alle pareti, libri per terra, scatoloni pieni di libri. Anche lui è come lo immaginavo: tranquillo, viso rilassato, l'immagine di chi – fortunato – fa il lavoro che ama. Andrea Livi è un cardine del mondo culturale fermano. La sua casa editrice, nata nel 1987, è un punto di riferimento per gli appassionati di storia locale.

“Sono nato come editore di letteratura, poesia e narrativa”, mi dice. “La difficoltà a reperire 'in loco' autori da pubblicare mi ha però spinto a dedicarmi alla storia, soprattutto locale. Da quando ha iniziato la sua attività, la mia casa editrice ha pubblicato oltre quattrocento volumi, di cui alcuni ormai esauriti. Io stesso ho difficoltà a reperirli e a volte li cerco (e trovo) nei mercatini dell'usato. Questo per dire che sono io stesso un lettore, e non potrebbe essere altrimenti visto il lavoro che faccio. Leggo soprattutto libri di filosofia, saggistica e biografie. Pochissimi romanzi. Se dopo le prime pagine non riesco ad andare avanti, o se alla fine della lettura non trovo una frase che mi faccia compagnia per il giorno dopo, ho sprecato tempo e denaro. Più che lettore mi considero un 'rilettore', perché quando un libro mi piace veramente lo leggo almeno due o tre volte”.

Ampia parte delle pubblicazioni della sua casa editrice è dedicata ai libri fotografici. Come nasce e come si sviluppa un “libro per immagini”? “L'idea di pubblicare volumi fotografici è nata dalla constatazione che nei libri storico-fotografici sono ritratte sempre personalità che hanno un qualche ruolo sociale o istituzionale, mai il popolo. Io ho scelto di mostrare la gente comune nelle sue espressioni quotidiane. E per farlo ho chiesto in prestito alle famiglie le loro foto. Sono libri da guardare, meglio se insieme a chi quella vita l'ha vissuta. Le immagini raccontano storie: chi sa 'leggerle' capisce e sceglie da sé il 'contorno' di ogni immagine”.

La crisi della carta stampata, la frenesia della vita quotidiana e gli strumenti informatici sembrano allontanare sempre più il contatto della carta dalle nostre mani. “Senza demonizzare internet, indispensabile anche per il mio lavoro, il mio è un pubblico molto ristretto, del quale fanno parte pochissimi giovani. Io non potrei vivere in un luogo senza conoscerne la storia, ma la maggior parte della gente fa a meno di porsi domande sulla propria terra. Mi rendo conto che i miei libri possono essere 'difficili' da leggere e da capire, ma il grado di istruzione c'entra poco con la passione per la storia. Ad esempio, conosco alcune persone 'semplici' che amano davvero la storia; comprano i miei libri non per metterli in bella mostra in casa; li leggono, si incuriosiscono e apprendono”.

Libri di storia, soprattutto locale, per quanto interessanti, ben fatti e argomentati si rivolgono necessariamente a un pubblico di nicchia. Pensa di poter allargare la platea dei suoi lettori? “Ormai mi sono abituato a pensare che i miei libri non sono destinati al grande pubblico. Lo dimostrano anche le tirature: quasi sempre tra le cinquecento e le mille copie; in casi eccezionali si arriva a duemila. Data la mia grande passione per la vita delle gente, ho deciso di pubblicare una storia 'facile' di personaggi marchigiani. Sarà un libro che, con immagini e parole, racconterà la vita di persone appartenenti a tutti gli ambiti sociali, dagli anni '50 alla fine del '900. Penso sia un contributo utile per lasciare una traccia del passato e per avvicinare un pubblico più vasto alla propria storia recente. Inoltre, nei prossimi mesi uscirà un vocabolario del dialetto fermano. Si tratta di un lavoro che la mia casa editrice porta avanti da una dozzina di anni con lo scopo di conservare vocaboli (circa seimila, con i rimandi si arriva a oltre diecimila) che hanno fatto parte, e continuano a far parte, della vita di tutti noi”.

www.andrealivieditore.it




QUANDO L'IMMAGINE SI FA RACCONTO. ALBERO NIRO EDITORE, REALTA' GIOVANE TRA MITI E VIAGGI

Galeotto fu il Golem e un piccolo libro acquistato in quel di Praga. Tornata a casa, ad Ortezzano, Alessandra Borroni aveva le idee chiare: avrebbe aperto una casa editrice. Così è stato e, dal 2011, Albero Niro Editore pubblica libri in formato cartaceo e digitale.

“Durante un viaggio a Praga – dice la giovane editrice – rimasi affascinata dalla figura del Golem e acquistai un bellissimo libricino illustrato da un artista locale, che raccontava la sua leggenda con immagini e parole semplici ma incisive e poetiche. Da quell'esperienza nacque l'idea di creare una serie di libricini che raccontassero le nostre tradizioni, affiancando ai testi una forte identità visiva”.

Su cosa si concentra l'attività della sua casa editrice? “Finora abbiamo lavorato ad albi illustrati e libri che raccolgono tradizioni e leggende. Sono io stessa a dirigere la casa editrice e a occuparmi della parte grafica; poi ci sono collaboratori esterni che curano alcune collane, l'editing, la stampa e la distribuzione. Nell'aprile del 2011 abbiamo prodotto la prima pubblicazione, 'Sulle ali degli Angeli', un libro illustrato sulla leggenda della Santa Casa di Loreto. In questi tre anni ci siamo concentrati su tre collane: 'Divini Racconti' che raccoglie leggende illustrate; 'Esperidi' che si occupa di scritti su tradizioni e storia (sono libri che inseriamo nel settore turistico perché trattano di specifici territori rivelandone l'anima più pura) e 'Le stanze di Teresa' che raccoglie poetici albi illustrati di storie inedite”.


Editoria di settore, dunque, che si rivolge ad un pubblico mirato. Come avviene la selezione delle opere da pubblicare? “A guidare la scelta dei testi sono due mie grandi passioni: l'illustrazione e i viaggi. Gli autori e gli illustratori vengono selezionati da me insieme agli altri collaboratori, tra le tante proposte che ci arrivano. A volte ci vengono presentati progetti già definiti, altre volte siamo noi a chiedere a uno scrittore e a un illustratore, che troviamo affini, di creare un determinato progetto editoriale”.

Una realtà in crescita non può non guardare al futuro. “In questo momento, oltre a portare avanti le tre collane già attive, stiamo lavorando a due nuovi progetti: una collana che tratterà temi sociali e un'altra che si occuperà del settore olistico. Per il futuro ci saranno belle novità: da gennaio, Albero Niro sarà 'adottata' da una realtà più grande e diventerà un marchio di associazione che si occupa di cultura a trecentosessanta gradi. Quindi ci saranno nuove risorse culturali e artistiche, nuove menti e più forze. Prospettive precise non posso ancora stabilirle ma, seguendo un concetto del poeta Antonio Machado, posso solo dire che 'la strada si fa camminando'”.

http://alberoniro.it



UN PICCOLO PRESIDIO CULTURALE. LE MOLTEPLICI ATTIVITA' DELLA ZEFIRO

È stato un anno ricco di soddisfazioni per la casa editrice Zefiro, soprattutto per quanto concerne “La Gazza ladra”, una fiaba scritta in edizione bilingue italiano/arabo dal medico siriano Abdulghani Makki e illustrata da Corrado Virgili.

“Oltre alla presenza in fiere come quella de Il Cairo – spiega Carlo Pagliacci – abbiamo partecipato a rassegne importanti nell’ambito dell’illustrazione. Oltre alla bellezza del libro, mi preme ricordare che una parte del ricavato viene devoluto all’associazione Mus-e del Fermano, che si occupa di integrazione nelle scuole primarie e dell’infanzia attraverso l’arte”.

Nell'evidenziare l'importanza di un imminente restyling del sito web, Pagliacci spiega come per Zefiro l’attività editoriale abbia una valenza rilevante, ma che intorno ad essa ci sia molto di più. “I libri sono ciò che ci affascina di più e mettiamo una gran cura nel realizzarli. Diciamo che siamo un po’ meno 'legati' alla città, nel senso che proviamo anche a proporre qualcosa di diverso, non strettamente finalizzato ad una pura logica commerciale. Zefiro, sostanzialmente, sceglie cosa pubblicare. Se ci piace lo pubblichiamo, altrimenti no: è una scelta coraggiosa, che perseguiamo sin dall’inizio. Curiamo in particolare l’edizione di libri per bambini. Il nostro fiore all’occhiello? rimane 'Per amore di Nami', un racconto di Maurizio de Giovanni che abbiamo pubblicato nell’ottobre 2012. Poi spazio a libri diversi come il romanzo su Oliverotto Uffreducci di Pasquale Enrico Papiri, o il 'Perché vi dico questo' dedicato a Silvio Dionea”.

Ma Zefiro è anche eventi, GialloMare tra tutti ma anche Somaria a Ortezzano e Insolito Festival a Sant’Elpidio a Mare. E poi cene con delitto, uffici stampa e progetti diversi, con collaborazioni importanti, come ad esempio quello con L’Anello Debole di Capodarco. E alla curiosità su come possa essere definita Zefiro, la risposta è tanto esplicita quanto suggestiva: “un piccolo presidio culturale”. Fondamentale, di questi tempi.

www.ventodizefiro.it




RACCONTI INDIPENDENTI: LA SCELTA DI UNA STORICA LIBRERIA NEL CENTRO DI CIVITANOVA

I libri sanno raccontare storie e, sfogliando le loro pagine, personaggi e vicende di tempi andati, se non addirittura immaginati, prendono vita dalle parole e dalle immagini. Talvolta, però, anche le librerie hanno storie da narrare, al pari dei volumi che ospitano. È il caso della Libreria Giardini – Bottega dello Scolaro di Civitanova, aperta nel 1924 da Giuseppe Giardini nel centro della città che, all'epoca, significava essere a due passi dal mare, che lambiva il Lido Cluana. Con qualche spostamento, l'attività, passata ai figli e poi ai figli dei figli e così via, è rimasta nel tempo un punto di riferimento in zona: una libreria indipendente, non legata ad una casa editrice, con quanto ne consegue in termini di rischio economico di chi è proprietario di tutto quanto espone e non può pagare solo sul venduto, come avviene nella grande distribuzione dei marchi editoriali.

“Non è facile – confessa Helvia Giardini, titolare dell'attività – gestire una libreria indipendente. Innanzitutto, devi conoscere bene la tua clientela, i suoi gusti. Qui si crea un rapporto confidenziale con il cliente, che viene seguito e consigliato, e così la libreria diventa luogo d'incontro, di scambio, dove passare il tempo. Si possono trovare volumi illustrati che, a volte, sono pezzi da collezione molto apprezzati, penso ad esempio a quelli sulla moda e non solo. I romanzi ovviamente si vendono meno di un tempo, ma questi li puoi trovare anche nei grandi magazzini, qui invece è il legame con le persone e il territorio a fare la differenza”.

Una realtà, la Libreria Giardini, che è andata crescendo assieme alla città, nonostante un settore che vede, secondo alcuni, il libro destinato al ruolo di mero cimelio, oggetto per pochi collezionisti nostalgici. “Credo – chiude speranzosa Helvia – che il libro non scomparirà, perché a molti piace sfogliare, vedere e sentire la carta tra le dita”. Così come altri staranno leggendo questo articolo, tenendo le pagine del giornale tra le mani.




C'ERA UNA VOLTA IL LIBRO... ALLA SCOPERTA DELLA LETTURA CON LA LIBRERIA UBIK DI FERMO

Leggere un libro è come partire per un lungo viaggio: permette di esplorare mondi ignoti e di provare sensazioni sconosciute fra sospiri, pensieri ed emozioni. Nonostante ciò, la lettura nel 2014 sembra aver incontrato una fase di stallo. Osservando i dati elaborati dall'Istat e dall’Istituto di Ricerca Nielsen, relativi agli anni 2013-2014, gli italiani sembrano essere così occupati nelle faccende della quotidianità e negli svaghi digitali, da abbandonare i libri a prender polvere sui comodini vicino al letto.

“Di certo – afferma Rino Piattoni della Libreria Incontri di Fermo, oggi affiancata dal marchio Ubik – il piacere della lettura è per molti un eco lontano, molto lontano. La libreria però rimane il canale privilegiato per la scelta e l’acquisto dei libri. Il settore dedicato ai bambini è in netta crescita e si affianca a quello dei cartoni e della narrativa. A registrare un andamento positivo è anche la fascia della cosiddetta 'Generazione Y': quella cerchia di giovani che amano le letture di carattere fantasy, ricche di personaggi fantastici, come 'Twilight' e 'Hunger Games', in voga soprattutto nell'ambito cinematografico e che prima non esisteva. Per quanto riguarda la fascia adulta, l'interesse ricade sulla saggistica e sulla narrativa, a seguire ci sono le biografie e le autobiografie, mentre al margine restano i libri di storia e religioni, politica e attualità, assieme ai manuali di taglio accademico e divulgazione scientifica generale. La tradizione della lettura e dell'acquisto del libro, a Fermo, resta comunque molto forte e ad acquistare sono soprattutto le donne”.

Mentre in Italia i libri si vendono sempre meno e i lettori sono in costante diminuzione, c'è un fenomeno in lieve crescita: quello degli ebook o libri digitali, una realtà ancora poco affermata sia sul mercato internazionale che italiano. “Il libro digitale ha molte potenzialità. Permette di guadagnare spazio in casa, leggere più comodamente in mobilità, tenere traccia delle proprie letture, ingrandire o modificare i caratteri a piacimento, trovare rapidamente un punto del testo o una citazione, copiare, incollare, trasformare il testo, sottolineare, appuntare, glossare, ecc. La realtà degli ebook nel territorio fermano non può dirsi affermata, ma è in fase di sperimentazione e abbiamo notato che ad apprezzarla non sono soltanto i giovani, ma anche gli over 60”.

Crisi di lettori e crisi di libri, la proporzione è perfetta. “Il settore librario è in netto calo, nonostante il costo del cartaceo sia sceso del 20-40%. I grandi gruppi sono in negativo ad eccezione della catena Ubik che nasce come catena indipendente e rappresenta oggi l’unico vero e moderno modello aggregativo all’interno del quale la funzione del libraio, la sua tradizione, le sue esperienze vengono preservate. Ma la crisi non è l'unica colpevole: la vendita dei libri in Rete e la facile accessibilità tramite un clic a quest'ultima, per acquisire informazioni immediate, incentivano le nostre perdite e il piacere della lettura”.




BIBLIOTECHE PROMOTRICI DI LETTURA E NON SOLO. MONTERUBBIANO E PEDASO: DUE COMUNI E TANTI SERVIZI PER GRANDI E PICCINI


La Biblioteca comunale di Monterubbiano ha sede presso il Polo culturale di San Francesco e dal 2012 è in rete assieme a quelle di Torre San Patrizio e Monte Vidon Corrado. Si tratta di una microrete che aderisce al SIP (Sistema Interprovinciale Piceno) con prestito esterno fino a 30 giorni e prestiti gratuiti di testi reperibili tramite la rete in altri archivi bibliotecari. Finora sono stati oltre 450 i prestiti eseguiti, fra esterni e intersistemici, 107 gli utenti attualmente iscritti al servizio. Ne abbiamo parlato con Barbara Paccapelo, bibliotecaria nei tre comuni. “Già da quest'anno a Torre San Patrizio (ente capofila del servizio) è in atto l'iniziativa 'Nati per leggere', un progetto di lettura ad alta voce rivolto ai bambini dai sei mesi ai sei anni, che coinvolge anche genitori, pediatri ed educatori”.

Quali possono essere i vantaggi della lettura ad alta voce per bambini? "Da studi scientifici risulta che leggere ai bambini già in tenera età porta benefici sul piano dello sviluppo linguistico, cognitivo e relazionale. Inoltre, l'intervento del genitore permette all'oggetto libro di diventare strumento relazionale tra adulto e bambino".

All'interno della biblioteca di Monterubbiano c'è una sezione interamente dedicata ai ragazzi all'interno della quale si organizzano letture e laboratori per bambini. Ci sono limiti d'età per partecipare? "La biblioteca è aperta a tutti, a Monterubbiano stiamo facendo delle letture di promozione rivolte ai bambini delle elementari e a quelli della scuola dell'infanzia. Abbiamo libri a partire dalla fascia zero-due anni, fino a libri per adulti".

Quanti bambini accogliete in media durante iniziative di questo genere? "Almeno 15/20 bambini fra scuola dell'infanzia, elementari e medie. Per una cittadina, possedere luoghi come questi che organizzino in maniera continuativa appuntamenti per i più piccoli per la promozione della lettura diventa un buon esempio anche per i più grandi. Progetti come questo funzionano solo se diventano luogo d'incontro adatti alla socializzazione e all'integrazione".

A proposito di biblioteche in rete, collegarsi alla rete interbibliotecaria sarà uno dei prossimi obbiettivi della Biblioteca Interattiva Multimediale di Pedaso, inaugurata la scorsa estate. Situata nell'antico borgo, al piano terra dell'edificio dell'ex Comune, la biblioteca ha già ospitato diverse mostre e di recente ha aperto una delle sale mettendola a disposizione del pubblico come aula studio. Secondo uno studente di Medicina di 21 anni, la biblioteca è una grande risorsa: "BIMP? Un posto utile, anzi mancava a Pedaso un luogo come questo!".

Il passo successivo sarà cercare di incrementare gli accessi e allargare il bacino d'utenza. Gli universitari pedasini sono una ventina e potrebbero utilizzare la biblioteca come luogo di studio, avendo a disposizione locali nuovi e originali con elementi d'arredo realizzati con materiale di riciclo, la rete wi-fi e una postazione Internet. A breve sarà a disposizione anche il servizio di prestito libri, che arricchirà gli scaffali di ulteriori volumi, oltre a quelli già presenti inerenti al tema ambientale. Questi due esempi testimoniano che, soprattutto nei comuni con pochi abitanti, la biblioteca diventa un servizio importante da offrire ai cittadini e nel quale investire.




DONARE CULTURA, UN REGALO PER TUTTI. IMPORTANTI LASCITI PER LE BIBLIOTECHE DI CIVITANOVA E PORTO SAN GIORGIO

Sorrisi in bianco e nero, abiti da gran galà, immortalati e fissati a memoria eterna. Accanto, un altro sorriso e una chioma che esce da un cappello stile belle époque, stavolta a colori: un disegno. E poi, autografi, dediche e, spostando lo sguardo, solenni stemmi su di un prezioso arazzo. È a dir poco affascinante il colpo d'occhio che si ricava da cimeli, foto, ritratti e quant'altro donato dalla prof.ssa Livia Brillarelli alla Biblioteca Comunale “S. Zavatti” di Civitanova. In realtà, quanto recentemente presentato costituisce solo il completamento di una serie di donazioni, iniziate nel 2010 con il fondo “Enrico Cecchetti” e proseguite con il fondo “Conti”, alle cui donazioni, accanto a Brillarelli, hanno partecipato pure i Salesiani: a loro si deve, infatti, un arazzo del 1883 raffigurante gli stemmi nobiliari delle famiglie Conti e Battaglia. Ed infine, è arrivato quello che reca il suo nome, il fondo “Brillarelli”, legato al mondo della lirica, da cui provengono altri atti di donazione, iniziati negli anni '80, per la Biblioteca “Mozzi-Borgetti” di Macerata.

Ecco, quindi, che tra partiture, foto, lettere, cimeli e vari documenti presentati stavolta, c'è un'istantanea scattata proprio a Macerata, davanti allo Sferisterio: correva l'anno 1921 e la struttura apriva allora i battenti come arena lirica, grazie al mecenate Pier Alberto Conti; in scena l'Aida e, tra gli interpreti, si riconoscono un giovane Beniamino Gigli e Francisca Solari. È proprio il profilo della celebre cantante lirica ad attrarre lo sguardo per tratto e colore, nella caricatura di Enrico Gianeri. Chicca da collezionisti, così come lo schizzo di Liburio Prosperi, che ritrae Pietro Mascagni, per la rivista “Vanity Fair” (1893). E infine, un piccolo menù del 1907 proveniente da un ristorante di Pisa, città dove, quella sera, era appena andata in scena “Amica” di Mascagni e, proprio all'amica Francisca Solari, il musicista livornese fece una dedica autografa sul retro del menù. Per la serie: ogni cosa può essere cimelio, ogni oggetto diventare storia.

Cinquecento volumi, soprattutto di narrativa e saggistica, costituiscono invece il dono fatto dagli eredi dei coniugi Fernando Veneranda (storica “bandiera” della Fiorentina vincitrice della Coppa Italia e della Coppa delle Coppe nel 1961) e Laura Principi alla biblioteca civica “Pieri” di Porto San Giorgio, dove, al secondo piano sono state sistemate quattro scaffalature che accoglieranno i volumi. I ripiani sono stati donati da Davide Ceccarelli, amico della famiglia Veneranda e volto noto ai cittadini e sportivi per i suoi trascorsi nella pallacanestro locale.



A cura di Daniele Maiani, Andrea Braconi, Paolo Galletti, Francesca Pasquali, Simone Accattoli, Federica Balestrini, Serena Murri

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Aprile 2015 12:29

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