Occupazione: è difficile trovare un posto di lavoro, tanto più fisso. Analizziamo le esperienze e le possibilità nel nostro territorio per vedere la luce in fondo al tunnel

IL LAVORO NOBILITA L'UOMO... TEMPI DURI PER CHI è IN CERCA DI OCCUPAZIONE E IL "SISTEMA" NON AIUTA

La perdita o la mancanza del lavoro è uno dei traumi più gravi di cui l’uomo della nostra epoca può soffrire. Lo segue nella statistica la separazione dal coniuge e, quasi sempre, la destabilizzazione economica che ne consegue, specie per la parte più debole: segno che la pagnotta pesa nella psiche molto più dell’ineffabile armonia. Rifacendosi al famoso brocardo che “morto un papa se ne fa un altro”, la moglie, o il marito, sono fungibili ma, a quanto sembra, in questi tempi di magra il lavoro non lo è, o lo è molto molto meno. Quindi, data l’importanza dell’argomento a livello globale, tutte le istituzioni, dallo Stato in giù, se ne occupano in modo assiduo e quasi ossessivo, anche se per troppi nostri rappresentanti si tratta solo di chiacchiere di facciata: tanto “loro” il culo al caldo ce l’hanno.

Un problema dalle mille sfaccettature e dai vari gradi di gravità: tolti quelli che possono tranquillamente fregarsene del problema (leggi: un numero spropositato di dipendenti statali; rappresentanti governativi a vari livelli che predicano bene e razzolano male…) ci sono quelli che hanno il posto sempre più a rischio; quelli (e sono la maggioranza) che il lavoro non l’hanno mai neppure assaggiato perché non lo trovano (vedi il tasso di disoccupazione giovanile…); e, soprattutto, quelli che lo perdono, oltretutto a un’età in cui è ancora più difficile trovarne un altro. Ciò spesso accade perché gli stessi imprenditori (soprattutto medio-piccoli) sono strangolati da una crisi globale e da uno Stato cravattaro, ingordo, incapace e corrotto. Oppure, annusata l’aria che tira, si fanno gli affaracci loro e delocalizzano, fregandosene dei padri e madri di famiglia che restano in mezzo a una strada. A questi ultimi, e sappiamo che sono tanti, anzi troppi per una società che ama definirsi la culla della civiltà, fanno da contraltare quelli che il lavoro lo dispensano o potrebbero dispensarlo: le imprese e lo Stato imprenditore.

Anche se adesso, riguardo al tema del lavoro, pochi sono quelli che ridono, in un passato recente quella che faceva impresa è stata una categoria che si è letteralmente sganasciata; e adesso che c’è da aprire i cordoni della borsa o adottare una politica solidale con i lavoratori rinunciando a qualche privilegio, sui loro visi appare un ghignetto di dolore, perché investire per ricominciare nei nuovi mercati, segnati da meno guadagni, o diversificare la produzione a certi imprenditori non va giù proprio. Qui da noi, in particolare, si paga lo scotto di aver cavalcato ad oltranza l’onda del settore calzaturiero: finché la barca è andata e il mare era calmo, tutto bene, tutti a mastriciare; adesso che il mare è in tempesta, la barca fa acqua e rischia di colare a picco. Col risultato che, essendo davvero pochi i settori alternativi al calzaturiero in cui cercar lavoro, c’è un mare di ex “mastriciatori” passati dalla sicurezza della busta paga alla pre-precarietà della cassa integrazione e, per tanti, manco quella.

E poi, dicevamo, l’esercito dei giovani disoccupati che, dopo ricerche vane, si trovano costretti a migrare all’estero nella speranza di una vita dignitosa. Magari dopo anni di studio e sacrifici indicibili, perché una politica criminale e astuta ha fatto in modo di rendere accessibile la scuola e soprattutto l’Università solo ai figli dei ricchi, così il potere se lo tramandano di padre in figlio… Mentre i disoccupati ultraquarantenni tramandano ai loro figli solo la miseria in cui sono stati ridotti, perché per loro la speranza di salire su un altro treno equivale alla ricrescita dei capelli per un calvo. La situazione del lavoro pare quella storiella della coperta troppo corta: due vanno a letto e hanno una sola coperta, cercano di dividersela salomonicamente, ma sentiranno freddo tutti e due. Con una differenza: se uno dei due è l’imprenditore che, bene o male qualcosina da parte ce l’ha, e l’altro il lavoratore, uno dormirà male perché il freddo (alias, i mercati in calo) gli rovinerà la digestione, mentre l’altro dormirà male per i morsi della fame oltre che per il freddo.

Questo, nel migliore dei casi. Nel peggiore dei casi, l’imprenditore la coperta se la tiene tutta per sé e il lavoratore crepa. Quindi rassegniamoci: la bacchetta magica per questo problema non c’è, almeno per ora, nonostante i vari “ci sono segni di ripresa” che ci vengono ammanniti dall’alto per poi essere smentiti il giorno dopo. Oppure, ci parlano di “luce in fondo al tunnel”, ma non illudiamoci: sono i fari del treno che ci viene addosso e finirà di sfracellarci. Almeno finché a guidarlo saranno i “soliti”; o anche i “nuovi”, ma con la stessa testa dei precedenti manovratori.

E a tutti i Signori della politica, vecchi e nuovi, una preghiera: non diteci, come fece la regina di Francia al popolo che non aveva il pane: “Mangiate le brioches”. Ovvero: cari morti di fame, fatevi venire qualche idea e createvi un’attività indipendente. Benissimo, e che ci vuole?! Cari intelligentoni politici, ricordatevi però che fine ha fatto Maria Antonietta. Ma siamo in Italia e questo fa ben sperare che non ci sarà una svolta cruenta… Già: e gli Anni Settanta ve li siete scordati? Se fossi in voi, terrei conto dei corsi e ricorsi storici. Ma la politica è diventata così: ottusa, arrogante e con un senso di onnipotenza. La storiella di Maria Antonietta forse è vera e forse no, ma non sono passati troppi anni da quando un sindaco delle nostre parti cui venne detto: “Sindaco, la gente non mangia!”, di rimando rispose: “Meno aperitivi!”.



CORSISTI PER SEMPRE: VIAGGIO NEL MONDO DELLA FORMAZIONE PROFESSIONALE

Non si finisce mai di imparare, recita l'adagio. E in fondo è così. Si impara per dovere e per piacere, da piccoli e da adulti. Oggi più che mai, imparare nuove cose, per non parlare di una nuova professione, è fondamentale per entrare o tornare a far parte del mondo del lavoro. Qualcosa possiamo fare anche da soli, ma il più delle volte abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una mano, che ci insegni. Di un professionista, insomma. Nel vasto universo della formazione professionale, abbiamo scelto di ascoltare la voce di un'associazione no profit legata alla Cna (Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa).

“In questo periodo – ci dice Elisabetta Capuano, responsabile dell'area maceratese e nord-fermana di Form.Art.Marche (Associazione per la formazione dell'Artigianato delle Marche) – ci stiamo occupando soprattutto di formazione obbligatoria relativa alla cassa integrazione e alla mobilità. La legge prevede infatti che il lavoratore in cassa integrazione o in mobilità segua dei corsi gratuiti, la cui durata dipende da quella degli ammortizzatori sociali. La scelta dei corsi è soggettiva, nel senso che ogni lavoratore può decidere di frequentare quelli che preferisce, all'interno di un catalogo provinciale e di uno regionale. Esistono però profonde differenze tra come le Province di Macerata e di Fermo hanno organizzato i corsi: la prima ha erogato percorsi formativi specifici, per cui il lavoratore, dopo aver scelto e frequentato un certo corso, ha ricevuto un attestato spendibile nel mondo del lavoro; la seconda ha erogato corsi suddivisi in moduli e i lavoratori hanno potuto costruire il loro percorso formativo, acquisendo competenze senza però ottenere attestazioni”.

Anche se non aprono direttamente le porte al mondo del lavoro, questi corsi aiutano a trovare un'occupazione? “Poco. Il problema è lo scollamento tra i corsi che vengono erogati e le reali esigenze del territorio. Se un cassaintegrato cinquantenne senza esperienza nell'uso del computer frequenta un corso di informatica, è logico aspettarsi che le conoscenze che acquisirà non saranno spendibili da un punto di vista lavorativo; se, invece, un trentenne frequenta un corso da saldatore, e alla fine del corso sostiene l'esame e ottiene il patentino, allora sì. Province e Regione dovrebbero coinvolgere di più gli enti di formazione nella determinazione dei corsi da attivare, perché siamo soprattutto noi ad avere il polso della situazione”.

Negli annunci di lavoro, oggi, si fa molta attenzione all'età. Per la fascia under 30 è piuttosto elevato il ricorso all'apprendistato. “I vantaggi per i datori di lavoro sono evidenti, a partire dagli sgravi fiscali che, in certi casi, raggiungono quasi il 50%. La normativa di riferimento di recente è cambiata: mentre prima gli apprendisti erano suddivisi per categorie di lavoro e dovevano frequentare 120 ore di formazione, tra professionalizzanti e aziendali, tutte al di fuori dell'azienda, adesso il monte ore dipende dal titolo di studio degli apprendisti, la parte professionalizzante della formazione viene fatta in azienda, mentre quella trasversale fuori”.

Una parte del vostro lavoro è dedicata alla cosiddetta formazione continua. “Si tratta di un campo piuttosto articolato, di cui fanno parte i corsi finanziati con i fondi interprofessionali, a cui possono accedere gratuitamente i dipendenti delle aziende che versano lo 0,30% dello stipendio in questi fondi. Poi ci sono i corsi individuali, a cui si può accedere con risorse private o tramite voucher messi a disposizione dalle Province o dalla Regione. Esistono anche i voucher aziendali, ma a farne ricorso è un numero molto limitato di imprese. Si tratta soprattutto di un problema di informazione, visto che sono poco pubblicizzati. Spesso i fondi messi a disposizione dall'Unione Europea per questi bandi non vengono utilizzati e tornano indietro. Non possiamo permetterci di sprecare simili opportunità. E' necessaria una maggiore collaborazione tra tutte le parti in causa”.



IO CHE UNA PENSIONE L'ACCAREZZAVO GIA'. DARIO ALFIERI, 57 ANNI E UNA VITA CHE ALL'IMPROVVISO SI ROVESCIA

C'è una fase nella vita durante la quale il divano assurge a punto di arrivo, quando cioè non vedi l'ora di rilassarti dopo un'intensa giornata di lavoro. Ma quando tutto si rovescia, quel divano può arrivare a diventare un vero e proprio incubo, il punto di partenza di una quotidianità senza più direzione. Ecco, quando ciò accade è il segno, inequivocabile, che c'è un cambiamento in atto. Un cambiamento quasi sempre drammatico, spiazzante, che fa crollare punti di riferimento consolidati. E che ti spinge a muoverti su una sottile linea, senza sapere dove andrai a cadere. E' un gioco di metafore quello che Dario Alfieri utilizza per raccontarsi, arrivando persino a definirsi parte di quegli “zombie del lavoro”, tutti tra i 50 e i 60 anni, che si aggirano dentro questa società non sapendo dove sbattere la testa. Dei suoi 32 anni trascorsi dentro una tipografia ha un ricordo nitido: dalla fatica nell'imparare il mestiere allo stipendio sempre puntuale, fino al rammarico per aver dovuto attraversare un purgatorio fatto di sospensione, cassa integrazione e sussidio di disoccupazione.

“C'è stato un calo di produzione dovuto alla delocalizzazione di diverse aziende del territorio, un fenomeno che colpisce molto anche l'indotto. La tipografia per la quale lavoravo non si è mai voluta adattare ai cambiamenti e così, nel 2012, siamo arrivati al licenziamento definitivo. Eppure noi dipendenti eravamo piuttosto tranquilli ed io avevo iniziato ad accarezzare l'idea della pensione; con la normativa precedente, infatti, c'erano 35 anni di contributi e 58 anni di età. Stavo addirittura facendo le prove da pensionato, perché per me quello era un punto di arrivo meritato”. E, invece, a 57 anni Dario si è ritrovo a ricominciare. In un meccanismo fino a quel momento totalmente sconosciuto. “La parola curriculum non sapevo cosa fosse, così come corso di formazione. Sono arrivato a farne uno su come cercare lavoro. E mi è sembrata una sorta di violenza”.

In questi due anni e mezzo Dario ha dormito molto poco e nelle sue veglie forzate il cervello è sempre stato lì a rimuginare, rimuginare e rimuginare ancora: avrò fatto bene? avrò fatto male? “Alla fine mi sono ritrovato a dirmi che no!, non avevo sbagliato, che avevo sempre rispettato la legge e la mia professione, sperando di ottenere qualcosa in cambio, vale a dire quello che mi ero conquistato in tanti anni di sacrifici”.

E nella disperazione si è aggrappato ad una Stella. Con la maiuscola. “Da anni vivo solo ma sono fortunato perché ho una figlia vulcanica, determinata, che mi ha preso per mano e mi ha condotto in questo mondo totalmente nuovo, permettendomi di raggiungere qualche piccolo risultato. Mi ha spinto a partecipare ad un bando per tirocini per over 45, con la possibilità di entrare per 6 mesi in un'azienda a 25 ore settimanali. A marzo, perciò, terminerà la mia esperienza da Burger Hill, un'azienda giovane di Porto San Giorgio, fatta da giovani. Io sono una sorta di nonno all'interno, ma mai mi hanno fatto sentire un marziano. Sono stato accolto benissimo e non ho fatto altro che ricambiare la loro generosità, impegnandomi anche nei lavori più umili. Vedremo cosa accadrà nelle prossime settimane, voglio essere fiducioso, pur consapevole della complessità del momento. Perché tutto questo mi aiuta a sentirmi ancora vivo”.



LA CULTURA (AP)PAGA? ASPIRAZIONI E DIFFICOLTA' DI UN GIOVANE LAUREATO CHE VORREBBE LAVORARE NEL TURISMO

Le università italiane si collocano ai piedi delle classifiche internazionali. Nonostante ciò, le ultime rilevazioni dell’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) offrono un bagliore di luce. Sembra infatti che i nostri laureati abbiano un tasso di occupazione di dieci punti superiore a quello dei diplomati. La laurea consente dunque di trovare lavoro, in Europa, ma non in Italia. E' davvero questa la realtà dei giovani laureati? Il fermano Daniele Casarola, laurea triennale in Scienze sociologiche conseguita a Bologna nel 2010 e specializzazione nel 2012 a Macerata in Progettazione e Gestione dei Sistemi Turistici, ha risposto ad alcune nostre domande.

“Sia durante che dopo gli studi – ha detto – ho svolto diversi lavori nel settore del turismo, come promotore del territorio in varie piazze italiane per il Sistema Turistico Locale Marca Fermana, come addetto incoming in un'associazione di agenzie viaggi, come addetto alla reception in un Hotel 4* di Porto San Giorgio e come responsabile alle informazioni e a l'accoglienza turistica del territorio. Purtroppo il momento storico, politico, economico e sociale che stiamo vivendo non permette di trovare facilmente lavoro, o meglio, il lavoro per il quale una persona ha studiato. Se lo si trova è quasi sempre un lavoro occasionale, stagionale o comunque di breve durata. Per quanto riguarda il mio settore, il turismo, credo che l'Italia in generale, e in particolare le Marche e il Fermano, potrebbero e dovrebbero vivere di turismo e cultura, ma purtroppo siamo ancora molto indietro”.

Perché? “Vuoi per una visione 'ristretta' di chi opera in questo settore, vuoi per la politica che sembra dimenticarsi di come il turismo possa essere un motore di sviluppo economico in grado di produrre guadagni elevati. Ciò non vale solo per le attività che vivono di turismo in modo diretto, ma anche per tutte quelle che ne ricavano ricchezza in modo indiretto. Proprio per questo, la politica ha un compito fondamentale: sviluppare strategie turistiche di lungo periodo che permettano di aumentare i benefici, riducendo al minimo gli impatti negativi causati da un turismo senza pianificazione”.

L’Italia, con il Messico, il Portogallo, la Spagna e la Turchia, è tra i Paesi Ocse con la più alta percentuale di persone con qualifiche basse, sia tra gli adulti che tra i giovani. Se è vero che nel nostro Paese la quota di ragazzi privi di istruzione secondaria di secondo grado è al di sotto del 30%, è anche vero che, con Grecia, Spagna e Turchia, deteniamo il primato di “Neet” (Not in education, employment, or training), giovani tra i 25 e i 29 anni che non lavorano né studiano. “Non ho mai voluto credere al fatto che un giovane debba per forza fuggire all'estero per poter inseguire i propri sogni o per trovare un lavoro inerente ai suoi studi. Purtroppo nel tempo ho dovuto ricredermi e, provando più volte ad avviare delle attività in proprio con alcuni amici, mi sono scontrato con la dura realtà: un Paese che è ostaggio della burocrazia, degli alti costi e di tempi lunghi, di troppe leggi che cambiano in peggio, di politici che si riempiono la bocca di belle parole, ma che poi nella realtà non fanno nulla per cambiare le cose. Nonostante tutte le delusioni che molte volte mi hanno portato a dire 'ma chi me lo fa fare di ostinarmi a cercare di fare qualcosa qui?' alla fine la speranza, l'amore per il mio territorio e per la mia bellissima nazione mi hanno sempre restituito la forza di continuare a cercare di realizzare il mio obiettivo, che è quello di lavorare nel settore che mi appassiona e di farlo nella mia terra”.

Come prospetti il tuo futuro in ambito lavorativo? “Spero di riuscire ad avviare l'attività che ho in mente da tempo e di riuscire a farlo nel posto che amo, il territorio fermano. Adoro viaggiare, andare alla scoperta di altri luoghi, culture, popoli, tradizioni, cucine locali e ogni tanto mi organizzo e parto, ma dopo un po' sento sempre il richiamo della mia terra d'origine, del posto in cui sono nato e in cui voglio vivere e lavorare”.



BIGLIETTO DI SOLA ANDATA PER L'AUSTRALIA. DA PEDASO A SIDNEY: LA STORIA DI UN GIOVANE CHE HA TROVATO LAVORO DALL'ALTRA PARTE DEL MONDO

Si dice lavoro, si legge espatrio, tanto che in Italia sta diventando la regola. Come per Giorgio Gasparri, ventinovenne pedasino partito per l'Australia nell'ottobre 2013, che ora lavora a Sydney. Lo rintracciamo via rete e scopriamo che, fusi orari permettendo, ha voglia di raccontarsi e di raccontarci quella che era iniziata come un'avventura. "Inizialmente eravamo in tre – spiega – io ero l'unico che non sarebbe dovuto partire perché avevo un lavoro". E invece è l'unico ad essere rimasto. Com'è stato il primo impatto con una nazione così lontana e così diversa dall'Italia?

“All'inizio il problema maggiore è stata la lingua. Se avessi parlato un inglese decente, e non solo scolastico, avrei trovato lavoro il giorno dopo essere arrivato a Sydney, ma non avevo una proprietà di linguaggio tale da affrontare un qualsiasi colloquio di lavoro. Se tornassi indietro farei un corso di inglese full-immersion prima di partire. Finché sei nel tuo paese pensi: 'ma sì, che ci vuole, ...non sarà difficile', ma quando sei qui ti senti fuori luogo anche per le piccole cose".

Che lavoro fai adesso? "Lavoro in un ristorante italiano di proprietà di un inglese. Lo staff è quasi tutto italiano. Faccio il cameriere, io e una mia collega gestiamo tutto il ristorante che ha un centinaio di posti. Mi ritengo fortunato: Sydney è costosa, se non lavori diventa un problema viverci, ma i salari sono rapportati al costo della vita e vengono pagati settimanalmente".

Quanti lavori hai cambiato e da quanto tempo sei in questo ristorante? "Ho lavorato in quattro ristoranti diversi, ma non sono mai stato licenziato. Me ne andavo perché ho sempre trovato un'occupazione migliore. In questo ristorante lavoro da metà agosto. Al momento vengo pagato a ore, perciò più lavoro meglio è. Per ora ho uno 'Student Visa' (il visto per gli studenti), ma quando avrò uno 'Sponsor Visa' (il visto della durata di quattro anni) potrà avere un salario fisso mensile che comprenderà malattia e un mese di ferie pagato".

Quali sono le maggiori differenze con l'Italia dal punto di vista lavorativo? "C'è molta concorrenza in qualsiasi ambito, ma il principio è: il lavoro prima agli australiani poi agli altri e, se non sei in regola con ogni cosa, il governo ti rispedisce a casa immediatamente. Per rimanere devi avere un permesso Visa approvato dal governo australiano e un'assicurazione medica che qui è totalmente privata".

Qual è il carattere distintivo dell'Australia? "Quello multietnico. Essendo una colonia inglese i veri australiani non esistono. Secondariamente sono abituati a gente in cerca di fortuna proveniente da tutte le parti del mondo. C'è gente che arriva da tutte le parti del mondo. L'Australia è la prima meta di destinazione per chi proviene da Asia, Europa, America Latina e dai paesi in crisi economica. I casi di razzismo sono rari i e l'immigrazione è controllata e gestita nel migliore dei modi: se hai un visto regolare bene, altrimenti ti rispediscono a casa con il primo volo".

Come vivi la condizione di straniero in terra straniera? "Non è piacevole sentirsi immigrato: un australiano viene pagato di più, paga meno scuola e sanità, ha sconti sui trasporti pubblici. Però c'è di buono che in Australia la mentalità è aperta e un'opportunità la danno a chiunque".

Pensi di tornare in Italia o di stabilirti a Sydney? "Mi mancano la famiglia, gli amici e l'Italia, ma adesso non è un buon momento per tornare. Non faccio programmi a lungo termine, credo di restare qui per i prossimi tre anni". Tre anni che, dal punto di vista di molti italiani, richiedono già un programma a lungo termine.



LE TRE "I" DI UNIMC: INTERNAZIONALIZZAZIONE, INNOVAZIONE, INCONTRO. L'UNIVERSITà DI MACERATA TRA NOVITA' E CONFERME

Alcuni storici ne individuano la fondazione nel lontano 1290 ed è la più antica delle Marche. Il riferimento è all'Università di Macerata che, con le sue mura antiche, ha iniziato un processo di rinnovamento. Una delle punte di diamante sono sicuramente i rapporti sempre più stretti con la Cina, anche per la presenza, dal 2011, in città, dell'Istituto Confucio, unico in regione. Da Villa Cola, sede dello stesso, sono partite importanti collaborazioni come quella con la Bejing Normal University. Oltre a offrire corsi di cinese a Macerata, gli studenti hanno la possibilità sia di effettuare dei viaggi, brevi o semestrali, per studiare la lingua sul posto, o di vincere vere e proprie borse di studio messe a disposizione. Sono tanti anche i cinesi, e non solo, a venire a Macerata.

“Per ciò riguarda l'accoglienza degli studenti Erasmus, organizziamo degli incontri in cui in cui i locali, in partenza, hanno modo di confrontarsi con i ragazzi in arrivo”, sottolinea Alessio Cavicchi, coordinatore Erasmus per il dipartimento di Scienze della formazione, beni culturali e turismo. “In molti – continua – scelgono di diventare Erasmus Buddy, ovvero delle vere e proprie guide in città e nell'ateneo per i ragazzi stranieri, per perfezionare la lingua, spesso nell'attesa di fare la stessa esperienza al contrario”.

“Macerata – spiega Cavicchi – è scelta dagli studenti stranieri anche per la possibilità di ottenere il doppio titolo di studio. Nel mio ambito, posso dire di aver notato un particolare impegno da parte degli studenti che vengono da Kiev (l'Ateneo ha attivato nel 2013 una doppia laurea magistrale in 'Progettazione e gestione dei sistemi turistici', nata da un accordo con l'Università Taras Shevchenko n.d.r.). Non la vedono come una vacanza, bensì come un lasciapassare per il loro futuro lavorativo. Riguardo alla possibilità di partire con l' 'Erasmus Plus', ora lo studente potrà trascorrere fino a un anno e mezzo all'estero. Per lo stage all'estero c'è l' 'Erasmus Plus traineeship', mentre per i 'Leonardo da Vinci' vengono stipulati degli accordi con enti o altre realtà”.

Tirocini extracurriculari possono essere effettuati anche in Italia. L'Università di Macerata ha monitorato il grado di soddisfazione dei tutor aziendali, a fine attività, attraverso la piattaforma “Lymesurvey”, relativamente all'anno accademico 2013-2014. L'80% di questi risulta soddisfatto rispetto alle aspettative iniziali, mentre, interrogati sulle conoscenze del laureato, il 60% le definisce buone o ottime, sottolineando la disponibilità dello stesso a trasmetterle in azienda. Inoltre, UniMc mette a disposizione delle aziende i curriculum vitae dei laureati e laureandi degli ultimi 12 mesi, interessati a essere visibili ai potenziali datori di lavoro; mentre le aziende hanno la possibilità di incontrare i laureati anche durante l'annuale “Career day”. Una particolare attenzione è dedicata ai laureati disabili, gestendo la domanda/offerta in collaborazione con l'agenzia milanese “Jobmetoo”. A loro, ma non solo, sono dedicati anche diversi “martedì del placement del 2015” che si svolgeranno presso l'Infopoint di via Don Minzoni 2.

In merito, è possibile scrivere a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o chiamare lo 0733.2586003. Per conoscere nel dettaglio i bandi internazionali attivi, si consiglia di visitare il sito del Centro Rapporti Internazionali: www2.unimc.it/cri.



DISOCCUPAZIONE: QUANDO L'ES E L'IDEALE DELL'IO LITIGANO, L'IO CI VA DI MEZZO. LO PISCOLOGO TULLIO TRAINI CI SPIEGA COSA ACCADE ALLA NOSTRA MENTE QUANDO NON LAVORIAMO

Cosa succede nella mente di chi ha perso il lavoro o di chi, nonostante tanti sforzi, non riesce a trovarlo? Abbiamo avuto una simpatica conversazione con il dott. Tullio Traini, psicologo di Fermo, che con parole semplici e chiare ci ha illuminato su quello che accade nella nostra psiche quando si vive lo stress della mancanza o della perdita del lavoro.

La situazione è questa, ci spiega: dobbiamo immaginare la psiche degli uomini come una sorta di isola e il mare che la circonda è l’Es, cioè tutto ciò che attiene al soddisfacimento dei nostri bisogni primari. L’Es, in pratica, “vuole” e basta, e si pone poche domande: lo potremmo paragonare a un bambino capriccioso. Poi, sulla terraferma, c’è l’Io, che sarebbe il nostro essere, con le sue esigenze e i limiti di ogni uomo. L’Io investe i propri ideali, le proprie aspirazioni sull’ “Ideale dell’Io” che sta in cima alla vetta dell’unica montagna dell’isola e che racchiude in sé aspirazioni elevate e aspettative della vita dell’Io. Quest'ultimo, di solito, in una condizione normale, è il grande mediatore tra le istanze dell’Es (voglio e subito) e i freni dell’ “Ideale dell’Io”.

Ma, quando il lavoro sparisce, succede il conflitto, in certi casi anche abbastanza violento: l’Es imperterrito continua le sue richieste, non si può fermare; l’Io non può soddisfarle per mancanza oggettiva di possibilità, e l’Ideale dell’Io se la prende con l’Io in maniera anche aggressiva, rimproverandogli l’inadeguatezza della gestione della vita rispetto agli ideali in lui depositati. Risultato, in certi casi, una catastrofe: frustrazione dopo frustrazione, l’Io si arrende, bersagliato da sopra e da sotto, e smette di combattere. Un esempio significativo sono le centinaia e centinaia di plurilaureati americani che si sono arresi e adesso vivono in mezzo alla strada dormendo sui cartoni: non lottano più. Ma anche se nella vecchia Europa il fenomeno non ha raggiunto questi vertici, i meccanismi mentali rimangono sempre gli stessi.

Simile il meccanismo per i giovani che non riescono a trovare lavoro, anche se in questo caso pesa di più la censura dell’ “Ideale dell’Io” aggressivo che imputa all’ “Io” la incapacità di raggiungere la meta prefissata.

Infine, nella incapacità di trovare lavoro c’è un caso ulteriore, non legato a fatti oggettivi, ovvero la mancanza oggettiva di lavoro: c’è la disoccupazione come sintomo di disagio. Sono quei giovani che, per un vissuto familiare sofferto (ad esempio un padre eccessivamente severo o una madre estremamente possessiva), non hanno sviluppato adeguate capacità relazionali tali da interfacciarsi correttamente col mondo esterno e che quindi trovano estremamente difficile porsi in gioco da soli alla ricerca dell’agognato posto, ovvero si arrendono senza neanche provarci: ma questa è patologia.



L'IDENTIK DEI NUOVI OCCUPATI. INDAGINE DI UNIONCAMERE E MINISTERO DEL LAVORO

E' ancora la vecchia cara conoscenza il modo migliore per trovare lavoro. A confermarlo i dati dell’indagine Excelsior di Unioncamere e del Ministero del Lavoro, secondo la quale oltre la metà degli imprenditori marchigiani (54,4%), lo scorso anno, ha assunto conoscenti o comunque persone i cui curriculum erano già presenti nelle banche dati interne all'azienda (26,7%). Il 9,4% delle imprese ha assunto sulla base delle segnalazioni di conoscenti e fornitori. Solo il 2,9% degli imprenditori marchigiani ha dichiarato di utilizzare i Centri per l’Impiego per la selezione del personale, mentre il 2,2% ha sostenuto di rivolgersi alle società interinali.

Nel complesso, nel 2014, a trovare lavoro sono stati in 15.990. Ad effettuare assunzioni è stato il 13,5% delle aziende, con punte del 40,1% nelle società di public utilities, del 27,1% nei servizi finanziari e assicurativi, del 28,9% fra le imprese innovatrici e del 24,2% fra le imprese esportatrici. A fare da contraltare a questi dati ci sono i 23.160 dipendenti usciti dal mercato del lavoro, per un saldo negativo di 7.170. Sono state le imprese anconetane quella che hanno perso il maggior numero di occupati (2.550), seguite da Pesaro Urbino (-1.730), Macerata (-1.430), Ascoli Piceno (-810) e Fermo (-660). Come nel resto d'Italia, nelle Marche non decolla l’occupazione giovanile: solo il 27% dei nuovi occupati nelle imprese della regione ha meno di 29 anni e la percentuale scende al 5,3 per gli under 24. Non va meglio per i laureati le cui assunzioni sono scese al 7,5%, mentre i diplomati arrivano al 39,2%. Ad aumentare sono invece le assunzioni di lavoratori senza formazione specifica (38,1%), mentre calano quelli con qualifica professionale (15,2%).

Nella loro ricerca di personale, le aziende marchigiane continuano a preferire i candidati dotati di esperienza di tipo professionale (22,3%) o nello stesso settore (33,2%). Un dato positivo arriva dalle assunzioni femminili cresciute fino al 20,2% contro una media nazionale del 16,8%. Il 55,8% degli imprenditori marchigiani pensa che il genere sia ininfluente e ritiene ugualmente adatti ai posti di lavoro da ricoprire sia gli uomini che le donne. Quali sono dunque le professioni più richieste? Al primo posto di sono i camerieri (1.980), seguiti da commessi (1.340), addetti alle pulizie (1.070), baristi (740), cuochi (720), operai calzaturieri (490), contabili (370), autisti (330), facchini (230), muratori (220). Solo il 16,2% dei nuovi contratti è a tempo indeterminato e il 26,9% di questi è part time. Nel 55,5% dei casi le imprese si sono rivolte a lavoratori con una precedente esperienza, l’8,9% ha avuto difficoltà a reperire le professionalità richieste e l’11% si è rivolto a personale immigrato.



QUANNO CE SCIMO VENNUTI L'ANIMA. PASSANO GLI ANNI E CAMBIA LA MORALE DEL LAVORO: DI CHI E' LA COLPA?

Ogghj non ciaio voja de ride, e mango vojatri, me sa. Perché ogghj l’argomentu ad’è seriu, e ce riguarda tutti: comme d’è che ce scimo ridotti cuscì? De chi d’è la colpa de la situazio’ che stémo vivènne addè? Oddìo, non è che ce vòle a èsse scienziati pe’ risponne: la colpa ad’è de la pulitica, dell’industria, de le vanche e de tutti ‘lli morammazzati che s’è fatti e se fa li cazzi so’ a la faccia de lu pòru cittadinu. E scémo d’accordo. Ma la colpa vera, quella che ha messo in moto lu meccanismu, de chi d’è? Bè, forse ve parerà strano, ma la colpa ad’è tutta de lu “vumme economicu”. Scì, scì, proprio quillu dell’Anni Sessanta, co’ lu progressu, l’industrializzazio’, li Caroselli de la televisio’ che, come un diàulu tentatore, te facéa paré indispensabili cose de cui fino allora eri fatto tranquillamente a meno: “Compra, compra, compra… Non ciai li sordi? Tranquillu: paghi a rate!”. E jo’, tutti a comprà: la mmachinetta, lu frigu, la lavatrice…

E fino a qui, potéa passà. Lu fattu d’è che piano piano, come un velenu, li manovratori de lu vumme cià convinto che era indispensabile pure lo superfluo: e l’industria sguazzava e ciavéa visognu de mano d’opera. E allora ha cominciato a cantà le sirene de le fabbriche: “Che càulu continui a sputà sangue a fa lu contadì, l’artigianu…? Vénne a lavorà a la catena de montaggiu, a mastricià… Orariu fissu, stipendiu sicuru, ferie pagate… E te potrai permette pure de mannà fìjetu all’Università…”. E cuscì, piano piano, è cambiata la vocazio’ de la jende, de li territori…

Pijémo lu nostru, per un presembiu: tutti paesetti do’ (leàti li nobbili più o meno decaduti, li libberi professionisti e l’impiegati) tutti quill’atri facéa l’artigiani o li contadì. Vita dura, scimo d’accordo, ce statìa poco da sguazzà, ma alla fine de la fiera tutti magnava. Vabbu miu era impiegatu su la Commune. Mamma mia facea la sarta, pe’ nojatri cinque fiji e pe’ lu vicinatu, e comme essa ce ne statìa tante atre che rettoppava la robba de li poretti, ma facéa pure li vistiti de li signori. Pe’ ‘che esigenza più sofistica, ce statìa “le Signorine”, du’ sorelle che jo’ pe’ lu Corsu facéa le modiste, cioè li cappelli o l’acconciature co’ le velette. Davanti casa, ce statìa Peppu lu cazolà, e de laoru ce n’avéa parecchiu a rettoppà li vusci de le sòle e li tacchi conzumati de le scarpe, perché allora la robba se vuttava solo quanno era ridotta a “ecce homo”. In cima a lu viculu ce statìa lu fornu, ma mica solo pe’ lo pa’: ce sse portava a còce lo magnà, l’arrosti, li ciammellotti…, tutto quello che dentro a lu fornu de la cucina economica non ce ‘bboccava. Sotto casa, manco facéa jornu che cominciava lu smartellà de Girbè, lu fabbru ferrà: era issu che ce “stagnava” le cazzarole de rame o ce le rettoppava. Poco più jo’, a la fine de la discesa, ce statìa lu falegname.

Questo, su lu quartiere miu, ma era cuscì pure in tutti quill’atri. Po’, ‘ppena fòri le mura, cominciava la cambagna, perché prima de lu vumme ‘ncora non era ‘rriata la speculazio’ edilizia o la calata servaggia de li geometri, quilli che ha rovinato tutti li paesi co’ ‘lli progettucci orrendi de case, casette e casermo’. Allora la cambagna ce l’avei sotto casa, pina de quelle belle case coloniche do’ viveva famije patriarcali de contadì: li mezzadri, quilli che lavorava la terra, ‘llevava le vestie e po’ facéa a mezzo co’ li patro’. Ripeto: vita dura, ma ce sse ‘ccontentava, e soprattutto ognunu rmanéa fedele a la vocazio’ sua, le li patri, dell’antenati…

Certo, per carità, non è che se dovéa rmané all’età de la pietra, lu progressu è ‘na cosa vòna e justa ma... Ma lu progressu ad’è ‘na vrutta vestia e ‘gna sapella manegghià: e se ci sta chi in nome de lu progressu e de li vantaggi che te promette te chiede in cambio de vénneje l’anima, allora scì frecatu. Perché senza l’anima non ciai più identità, e senza identità un populu diventa solo ‘na ‘acca da mugne fino a che ‘nci sta più latte: e allora quilli che ha ‘pprofittato de la situazio’, che t’ha frecato l’anima, addè che non je servi più te sbatte all’inferno. E da lòco non se rtorna. Mejo che ce svejemo prima, non ve pare? Jenpijémoce l’anima.


A cura di Daniele Maiani, Francesca Pasquali, Andrea Braconi, Federica Balestrini, Serena Murri, Silvia Ilari, Loredana Tomassini

Ultima modifica il Mercoledì, 08 Aprile 2015 10:00

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