Come natura crea: “La buona terra dà solo buoni frutti”, recitava uno spot televisivo. E tante sono risorse del nostro territorio ricco e generoso, poco tutelate e poco sfruttate. Stiamo andando “contro natura”?

MACCHE' NATURA MATRIGNA: SOLO FIGLI INGRATI. PECULIARITA' ED ECCELLENZE DA SALVARE, PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI

Basta lagne. Basta analizzare le realtà, economiche e non, del nostro territorio sempre in chiave pessimistica, del tipo: il calzaturiero va male, il turismo langue o tutt’al più è solo un “mordi e fuggi”, il territorio e i nostri fascinosi borghi a causa di scelte sciagurate sono divorati dal cemento, la politica è preda di incapaci avidi e disonesti e così via. Basta, ci siamo stufati. Per una volta vogliamo girare la medaglia e vedere se l’altro suo lato è più bello, se offre qualche spunto di consolazione e di speranza. Insomma, se volessimo cambiare l’andazzo negativo, avremmo qualche risorsa su cui puntare? La risposta è: cavolo, se le abbiamo! Perché, nonostante tutto, viviamo in un paradiso che, seppur violato, massacrato, depredato, abbrutito, può ancora essere salvato e salvarci. Basta volerlo e crederci, pensare positivo.

Ma da dove ricominciare? Ad esempio, dal territorio stesso, inteso proprio come terra che dà frutti e che eroicamente ancora offre peculiarità infinite di prodotti che potrebbero, e possono, rappresentare nicchie di mercato caratterizzanti e redditizie. Perché, inutile negarlo: il marchigiano forte e gentile ha l’anima contadina e le vesti dell’imprenditore in altri settori sono travestimenti che gli vanno stretti, anche se ci sono validi esempi da non cestinare. Allora, perché non ricominciare dalla terra? La terra non ti tradisce mai se tu non la tradisci, e in ogni stagione è pronta a darti i suoi tesori, a patto di piantarla di seminare cemento e pannelli solari.

Le stagioni, dicevamo: citando il “giovane favoloso” di Recanati, anche “la presente e viva”, ovvero l’autunno, sappiamo bene quanto sia ricca di frutti. Perché anche se (continuiamo a citare) “la nebbia agli irti colli” ancora non vuole salire, la stagione è arrivata, e non si dimostra certo meno bella e generosa delle altre: colori, profumi, frutti, atmosfere evocatrici di sensazioni profonde, quelle che ti sono rimaste impresse nell’animo fin da quando eri bambino. Un tripudio: la terra, quasi fosse un saluto prima del silenzio dell’inverno, ci regala i suoi tesori stupendi, dolci frutti come l’uva da saziarti l’anima chicco a chicco o da mettere a “ribollir nei tini”; oppure, su, nei monti azzurri, farinose castagne da cuocere al fuoco, a riscaldarti le mani e il cuore. Perché la terra è Madre, e sa di cosa hai bisogno, in ogni stagione. Ma sono tutte cose che abbiamo dimenticato, i ritmi naturali delle stagioni e dei suoi frutti sono stati spazzati via dalla tracotanza asettica e insapore degli scaffali dei supermercati, dove ogni stagione è contemporaneamente e innaturalmente presente tutto l’anno. E non ci facciamo più caso, ci sembra naturale ciò che di naturale non ha più nulla. Inutili nostalgie, si sa, il mondo va avanti.

Ma è davvero un bene? Ci sarà un motivo se un tempo la natura aveva i suoi ritmi e dunque anche la vita degli uomini. Era questo che dava senso e qualità alla vita, anche in termini di salute, perché andare contro natura fa male, al corpo e all’anima. Questo era il periodo in cui si cominciava a nutrirsi diversamente, per prepararsi al freddo. In campagna, e non nei salumifici industriali, si uccideva il maiale, del quale tutto veniva utilizzato, perché l’inverno era lungo e freddo e servivano scorte di cibo che desse anche calore. Sulla tavola cominciavano a comparire i bolliti, i brodi fumanti, all’insalata si sostituivano le erbe cotte, si respirava il profumo delle carni alla brace… D’accordo, indietro non si torna, ma prima che sia troppo tardi salviamo almeno le nostre peculiarità alimentari sopravvissute, quelle che potrebbero riportare un po’ d’ossigeno all’economia del territorio. Insomma, le cosiddette nostre “tipicità”.

E in quanto a questo, l’autunno non scherza: le castagne di Smerillo e Montefalcone, le mele rosse delle nostre valli, le erbe trovate della campagna, la carne di maiale e di cinghiale dei nostri monti, i funghi, i tartufi, le quasi estinte trote Fario di Amandola... E che dire del nostro olio? Altro che quello a “offerta speciale” degli ipermercati, misteriosi miscugli di non ben identificati oli “provenienti dall’area della Comunità Europea”, come recita l’etichetta. E il vino fatto con l’uva dei nostri vigneti? E il nostro vino cotto? Altro che passito di Pantelleria. Insomma, se non riusciamo a capire che il cibo è anch’esso la nostra cultura, che viviamo in uno dei posti più belli e ricchi di risorse naturali, e che è ora di piantarsela di rovinare tutto per giochi di potere e meschini interessi, allora non meritiamo tanta fortuna. E se la natura si ribella fa bene: reagisce solo all’ingratitudine e all’idiozia di chi non ha saputo rispettarla e far fruttare i suoi doni. Nel senso: va a far del bene agli asini… (Daniele Maiani)





IL MIGLIOR AMBASCIATORE DELLE MARCHE NEL MONDO. TASTING MARCHE: QUANDO L'E-COMMERCE E' VERA PASSIONE

Si definiscono un team tutto al femminile, che condivide valori e passioni. Una tra tutte: la propria regione. E non nascondono affatto un ambizioso obiettivo: portare il buono delle Marche sulle tavole di tutto il mondo. Dietro Tasting Marche e un'attività legata all'e-commerce di prodotti alimentari del territorio, ci sono Erica, Sara, Susanna e, da qualche mese, anche una seconda Sara: quattro donne, di fasce di età diverse; studentesse, madri, mogli, professioniste, sportive, amanti della natura, brave cuoche, dedite al lavoro ma soprattutto appassionate.

“La vera entità che è dentro Tasting Marche è proprio una passione vera e genuina, un vero fuoco che ci anima ogni giorno (e che spesso non ci fa dormire la notte) per costruire questa nuova realtà, un’energia che si rinnova continuamente per fronteggiare tutte le difficoltà e gli ostacoli che l’avvio di un’impresa in Italia comporta. Perché ci crediamo davvero che il buono della nostra terra possa essere il miglior ambasciatore delle Marche nel mondo”. Avete scritto: “Vogliamo essere un punto di riferimento per tutti gli appassionati di cibo buono e di qualità”.

Cosa vi spinge in questa direzione? “Il cibo ha un linguaggio universale, semplice, diretto e di un’efficacia sorprendente. Vogliamo essere un punto di riferimento per tutti gli appassionati perché noi stesse, per prime, ne abbiamo sentito la necessità. Io personalmente - afferma Erica Lorenzini - mi sono occupata della selezione dei prodotti, che tra l’altro sarà continua, ho viaggiato in lungo e in largo per la mia regione (in 10 mesi 30.000 km, non male vero?) per scovare storie, aziende, veri e propri tesori enogastronomici ma soprattutto persone, quelle vere, genuine, autentiche, che ti arricchiscono ogni volta, perché ti raccontano di un amore per quello che fanno, che ti sorprende per la sua immensità. Ecco, noi tutto questo lo vogliamo rendere disponibile per chi è in grado davvero di appassionarsi di fronte ad un patrimonio unico, che deve essere raccontato, conosciuto e apprezzato dalle nuove generazioni, da chi vive lontano e ha nostalgia della sua terra e da chi, italiano o straniero, non la conosce ancora”.

Newsletter, social network, tasting experiences: dal virtuale al reale, sono molteplici le formule che utilizzate per promuovere la vostra attività. “Anche dal punto di vista della promozione abbiamo cercato di creare quella combinazione tra tradizione e innovazione che ci guida fin dai primi passi. E quindi newsletter settimanali, con informazioni, aneddoti e consigli, social network gestiti sia in lingua italiana che in lingua inglese, campagne di advertising su Google focalizzate su alcuni importanti mercati della comunità europea, come Olanda e Regno Unito. E a questo uniamo formule off line, che avvicinano, uniscono, fidelizzano. Come le Tasting Experiences vissute insieme a noi (la colazione all’alba più suggestiva, sulla spiaggia delle due sorelle, con i nostri succhi di frutta, le nostre confetture e i nostri biscotti, o l’aperitivo più cool sulla piazza del Foro Annonario di Senigallia, con i nostri insaccati, i nostri formaggi e dell’ottimo Verdicchio) e, perché no, la collaborazione ad eventi di Social Eating, che impazzano sulla rete, ma creano vere e proprie occasioni di socializzazione reale”.

Quale riscontro avete percepito nell'incontrare i responsabili di aziende e strutture ricettive del territorio marchigiano? “A parte un’iniziale diffidenza, che è tipica della nostra gente, ma che è facilmente superabile con un approccio semplice e sincero, abbiamo intercettato un’esigenza comune: quella di migliorare il livello di servizio per i visitatori, soprattutto stranieri, per farli tornare e far sì che il loro passaparola sia uno strumento concreto per accrescere i flussi turistici. Spesso però la singola struttura, pur ingegnandosi e mettendo a disposizione un’accoglienza familiare e generosa, non riesce a soddisfare tutte le richieste, come quella di poter portare con sé, a casa, il ricordo gastronomico di un viaggio nelle Marche. A volte i produttori sono lontani da dove si sta trascorrendo la propria vacanza, poco conosciuti e non sempre dispongono di un vero e proprio punto vendita. Tasting Marche mette a disposizione tutti i prodotti del suo store, a condizioni speciali per gli ospiti della struttura, grazie ad un coupon dedicato. L’acquirente può scegliere se farselo consegnare presso l’hotel o il B&B dove sta trascorrendo la sua vacanza o farselo spedire, in modo da ritrovare il profumo delle Marche non appena rientrerà a casa. E così magari potrà deliziare subito i propri amici con una cena a base di ciauscolo, pecorino e tagliolini al tartufo, non male vero?”. (Andrea Braconi)

www.tastingmarche.com





RADICATI NELLA TERRA, PER RINNOVARE. LA BATTAGLIA DI DON FRANCO MONTERUBBIANESI PER UN'AGRICOLTURA SEMPRE PIU' SOCIALE

Testardo e coerente con le proprie idee, prima ha messo intorno ad un tavolo agricoltori e coltivatori; poi le Amministrazioni coinvolte nel progetto “Futuro in comune: accolgo, condivido, cresco”, vale a dire Montegiorgio, Falerone, Servigliano, Santa Vittoria in Matenano, Grottazzolina, Smerillo, Amandola e Sant’Elpidio a Mare. Perché per uno che ha sempre lottato contro l'emarginazione, l'intenzione di smettere non arriva mai. Nonostante l'età. Questo è Don Franco Monterubbianesi, fondatore della Comunità di Capodarco e presidente dell'associazione AINRaM Marche. E questo il suo racconto di due intense giornate vissute a Servigliano, tra proposte per una “cultura possibile” verso un nuovo welfare, radicato nella terra e nelle sue infinite potenzialità. Partiamo dalla serata di venerdì 11 ottobre.

“Erano presenti undici esperienze di agricoltura, da quella biologica a quella più incentrata su novità come la coltivazione della canapa o dello zafferano. Qualcuno di loro aveva già fatto esperienza di agricoltura sociale, accogliendo persone in difficoltà. Noi abbiamo proposto un rinnovamento dell'agricoltura, un aspetto sul quale possono prepararsi i giovani, e ci siamo dati come obiettivo quello di aiutare soprattutto gli studenti dell'Agrario di Montegiorgio. Va proposta loro questa possibilità dell'agricoltura sociale, anche per recuperare i valori di accoglienza che c'erano nel passato. Ed è un bisogno che hanno le famiglie dei disabili; un bisogno che si articola sia con il 'dopo di noi' ma soprattutto con il 'durante noi'. Si tratta di ridare maggiore dignità di vita e di lavoro possibile ai disabili, ma bisogna preparare questi processi per tempo”.

Quindi, possiamo parlare di un esito positivo? “Certamente. Si è parlato di come questa agricoltura sociale si sta sviluppando nelle Marche, partendo dalle cooperative. Soprattutto nel nord della regione stanno prendendo maggiormente piede queste realtà e, al contempo, in Italia i Forum regionali stanno crescendo. In quella sede ho fatto un resoconto di un mio articolo, uscito sul Resto del Carlino, che accompagnava quel discorso sulla dialettica legata all'Agraria, che con il Presidente Cesetti abbiamo ripreso nelle ultime settimane. L'obiettivo è quello di un distretto sociale sostenuto da questi agricoltori, che oggi offrono massima collaborazione chiedendo solo di essere accompagnati da operatori qualificati. Perché va coinvolto anche l'aspetto sanitario per uscire dall'assistenzialismo che, purtroppo, oggi impera”.

Arriviamo al pomeriggio successivo, a quel momento di confronto con gli otto Comuni alla presenza del professor Roberto Mancini dell’Università di Macerata. “Si è detto che la nuova politica deve nascere dal basso, dalla cittadinanza attiva e dal coinvolgimento degli enti locali come forza di animazione del territorio. Perché se si parla di una società che valorizza la realtà locale per un futuro sociale più dignitoso, occorre che l'ente locale sia capace di creare una nuova cultura dando forza alle categorie deboli, che devono diventare protagoniste. E' solo così che la società cambia. E per far questo serve che ci sia un coordinamento tra tutti. Oggi c'è un terzo settore, più o meno frastagliato, che anima la stessa società. E le prospettive non sono solo quelle dell'agricoltura: qui si è parlato anche di turismo per portare avanti un'altra economia, che non parta però da valori consumistici. E' necessario valorizzare le forme che vengono dal basso perché sono le stesse persone emarginate che possono reagire per uscire da questa passività. Una passività che caratterizza anche la stessa gestione dei servizi sociali. Certo, va sempre rimarcato l'aspetto educativo e da qui l'impegno sulle scuole e per le scuole. Puntiamo al riscatto sociale dei deboli che si uniscono ai deboli di oggi, che sono i giovani. Ed è cruciale, torno a ripeterlo, la forza propulsiva degli Enti locali”.

Don Franco, resti sempre ottimista? “Sì, c'è una grande speranza. Noi auspichiamo che il progetto presentato in Regione parta, che i giovani si propongano, che i Comuni siano protagonisti. Con le nostre associazioni giovanili, coinvolte all'interno di Palazzo Monti, cercheremo di creare le condizioni affinché si materializzi questo futuro in comune. E' una cultura possibile. E ne sono sempre più convinto”. (Andrea Braconi)





IL RITORNO NEI CAMPI PARTE DALLA SCUOLA. L'ISTITUTO AGRARIO DI MONTEGIORGIO TRA TEORIA E PRATICA

Negli ultimi mesi si è parlato soprattutto della sua collocazione, ma l'Istituto Agrario di Montegiorgio (sede distaccata dell'Itis Montani di Fermo) è una scuola da non sottovalutare. Nata quattro anni fa, conta oggi ottanta iscritti (24 gli immatricolati quest'anno), più maschi che femmine, provenienti soprattutto dalla Media Valtenna, con qualche presenza anche da Monte Urano e Porto Sant'Elpidio. Produzioni vegetali, produzione animali, genio rurale, economia, estimo, oltre a matematica, inglese, italiano e storia, sono le materie che, dopo un biennio comune a tutti gli indirizzi, caratterizzano il percorso di studi attivo a Montegiorgio, incentrato sulle diverse fasi che, dalla produzione, portano alla realizzazione del prodotto finito. Spesso la scuola italiana è accusata di essere troppo teorica e poco pratica, e di rendere perciò difficile il passaggio dei ragazzi dai libri al lavoro, soprattutto manuale.

Un problema che l'Agrario sembra non avere. Qui, infatti la pratica è una parte fondamentale del percorso didattico. “Il nostro laboratorio è il campo”, ci dice la prof.ssa Lorella Isidori, che insegna Produzioni vegetali, Economia ed Estimo e Genio rurale. “Qui a scuola abbiamo piccoli appezzamenti di terreno dove far esercitare i ragazzi. Per le attività più complesse, come ad esempio la potatura, ci 'appoggiamo' alle aziende del territorio”.

Un rapporto, questo, di fondamentale importanza per il futuro lavorativo degli studenti, che, secondo la prof.ssa Isidori, dovrebbe essere reso ancora più stretto. “Quest'anno – spiega – per la prima volta da quando è stata istituita la scuola, i ragazzi del quarto sperimenteranno l'alternanza scuola-lavoro. A febbraio, per tre settimane, faranno uno stage in diverse aziende della zona. Per loro sarà un'occasione per fare pratica e per mettere in luce capacità e conoscenze”.

Al ritorno nei campi, dimostrato negli ultimi anni in tutta Italia dal boom di iscrizioni agli istituti agrari e alle facoltà di agraria, corrisponde una reale richiesta di lavoro? “Ad oggi, quello rurale è un settore che offre ampie opportunità occupazionali. Il bisogno delle imprese di essere sempre più innovative e competitive e il fatto di dover produrre rispettando determinati requisiti di qualità, gusto e sicurezza, rendono indispensabile la presenza in azienda di queste figure professionali”. (Francesca Pasquali)





RISCOPRIRE LE TRADIZIONI ATTRAVERSO LE SEMENTI. DA UNA QUALITA' DI GRANO QUASI ESTINTA, AI SEMI DI POMODORO CHE ESISTONO SOLO SE CONTINUI A PIANTARLI

Due nicchie del mercato, due casi di riscoperta che passano per nuove generazioni mantenendo vive tradizioni familiari in un rapporto con il territorio che non smette mai di generare sorprese. La qualità di grano Jervicella è stata scoperta a Monte Giberto da Giuseppe Jervicella durante i primi del '900 e si è subito diffusa nelle campagne fermane affermandosi come grano primario fino agli anni '60. Col passare degli anni, questa qualità di grano si è quasi estinta poiché, pur mantenendo il pieno delle sue qualità nutrizionali (ricchezza di fibre, proteine, basso apporto di zuccheri e carboidrati, tanto da essere consigliato anche nelle diete ipocaloriche) presentava alcuni problemi al momento del raccolto a causa del suo fusto sottile che si adagia alle prime intemperie rendendo non solo difficile la raccolta, ma avendo una resa di gran lunga inferiore rispetto alle aspettative (al massimo 15/20 quintali per ettaro contro i 50/70 del grano normale).

Non tutti si sono dati per vinti, però. Dino Rosio ha continuato, privilegiando la notevole qualità di questo tipo di frumento, sulla scia della tradizione della mia famiglia che ne produceva (anche se in piccole quantità) già da diversi anni. Fornaio nel Panificio D'Alesio, che gestisce assieme alla moglie, ha provato a fare il pane col grano Jervicella e ha capito che non solo ne valeva la pena, ma che era in grado di soddisfare una nicchia di mercato. "Nella zona e in tutte le Marche siamo pochissimi”, dice Rosio. “Io abbatto i costi perché faccio tutto da solo: lo pulisco, lo porto a macinare, rigorosamente a pietra per non surriscaldare la farina. E' una filiera cortissima la mia. Se dovessi acquistare questo tipo di farina da un terzista, il costo sarebbe troppo elevato per poi rivenderlo".

Il pane – lavorato artigianalmente a mano con un processo di lievitazione naturale, posto su tavole di legno con un panno di lino, cotto con forno a vapore rispettando tutti i passaggi artigianali per far sì che fragranza e sapore restino immutati nel tempo – viene poi distribuito in 22 punti vendita (nella zona di Monte Giberto e dintorni). L'Azienda Agricola Mercuri Francesca si trova sulla Valdaso ed è nota per la sua storica produzione di pesche. Durante la ricerca di varietà antiche è però avvenuta un'altra importante scoperta, quella di piantine di pomodori provenienti da Chiaravalle, scomparse dalle nostre zone in quanto nessuno le ha più piantate.

"All'inizio – Umberto Vespasiani, figlio della proprietaria – le persone erano scettiche, tanto che per farglieli provare dovevamo regalarli perché visti i colori e le forme insoliti nessuno li voleva, credevano fossero OGM". Invece si tratta di pomodori originali e non ibridi (come quelli che troviamo nei supermercati, per intenderci).

"Nel corso degli anni – continua Vespasiani – abbiamo incentivato la vendita diretta a chilometro zero e li abbiamo proposti a chi veniva qui per prendere la frutta. Adesso, chi li ha assaggiati viene appositamente per i pomodori". Circa 50 le varietà, tra le quali: Yellow Pear, Orange Banana, Banana Leggs, Omar Libanese, Rosa di Berna, Cherokee Purple (coltivato dagli indiani d'America), Mirabella. Quelli gialli, ad esempio hanno una bassissima acidità e sono adatti per chi soffre di problemi di stomaco. Preservando queste varietà sono riusciti a colmare un vuoto di anni e ad ottenere dei semi che, una volta ripiantati, permettono di riprodurre la stessa pianta originale. Come intendete impostare la produzione in futuro? "Incentiveremo la produzione di questi pomodori, accanto alla nostra consueta produzione di pesche, perché abbiamo riscontrato che, anche piantandone molti, la richiesta è in aumento". (Serena Murri)




STORIA DI UN RITORNO ALLA TERRA. PANORAMICA DI COLDIRETTI SU CHI "VIVE IN CAMPAGNA" (PRODUTTORI E CONSUMATORI)

Marchi italiani per oli prodotti in Spagna o in altre parti d'Europa. Prosciutto cotto senza traccia di carne di maiale. Castagne che arrivano da oltre frontiera. Sappiamo davvero da dove viene quello che mettiamo sulle nostre tavole? In realtà, anche volendo, spesso non possiamo saperlo, perché in Italia non c'è l'obbligo di indicare la provenienza di molti alimenti.

“Ogni prodotto – dice Paolo Mazzoni, presidente di Coldiretti Ascoli Fermo – dovrebbe essere accompagnato da un'etichetta chiara e dall'indicazione della provenienza, come già avviene per certi alimenti: alcuni tipi di carne (non i derivati della carne di maiale), il latte fresco (non quello a lunga conservazione) e, da qualche mese, l'olio. Come Coldiretti, da anni, portiamo avanti questa battaglia”.

Andando alla ricerca di un prodotto di qualità spesso ci si imbatte in sigle come Igp, Doc e Docg. “Ogni marchio segue un suo disciplinare, a garanzia del prodotto e a tutela del consumatore. L'Igp (Indicazione geografica protetta) è un marchio regionale che indica che l'alimento è stato prodotto con materie prime provenienti da una certa regione. La Doc (Denominazione di origine controllata) dà un'indicazione geografica più ristretta, di zona. La Docg (Denominazione di origine controllata e garantita) è per alimenti di eccellenza, prodotti in quantità limitate e accompagnati dal sigillo del Ministero delle politiche agricole. Ogni regione, inoltre, si è dotata di un proprio ente certificatore che nelle Marche è Valoritalia. Ovviamente, più il livello del marchio è elevato, più i controlli sono serrati. A vigilare sulle procedure c'è l'Ispettorato centrale repressione frodi che fa capo al Ministero delle politiche agricole. Per prodotti che non seguono regole così ferree è stato creato il marchio QM (Qualità Marche), che viene rilasciato a quegli agricoltori che producono rispettando determinate criteri, come nel caso delle pesche della Valdaso”.

Negli ultimi anni si è assistito ad un vero e proprio ritorno alla terra. Per restare? “Di solito si ritorna dopo essere fuggiti. La fuga dalle nostre campagne c'è stata perché l'agricoltura di trent'anni fa era molto diversa da quella di oggi. Allora la campagna era sinonimo di fatica e le famiglie spingevano i figli a studiare per assicurarsi un futuro migliore. La crisi economica ha favorito il ritorno in campagna. A differenza dei loro genitori, però, i giovani imprenditori agricoli devono imparare a produrre il prodotto finito, non limitandosi a coltivare materia prima da vendere. Le opportunità ci sono e il mercato è in crescita, anche se non è quello italiano”.

Si può vivere oggi di agricoltura? “La nuova Politica agricola comunitaria ha stabilito che, fino al 2020, gli agricoltori riceveranno 300 euro all'anno per ogni ettaro di terreno che coltivano. Non è una grossa cifra, ma, per un'azienda agricola, avere un reddito fisso è importante, soprattutto nel caso di annate poco fruttuose. Il clima infatti è molto cambiato negli ultimi anni e basta un'improvvisa ondata di caldo o di freddo per vanificare il lavoro di mesi e compromettere i guadagni. Oltre alle difficoltà legate al clima, oggi agricoltori e allevatori si trovano ad affrontare anche il problema degli animali selvatici, soprattutto cinghiali e lupi. E' vero che vengono risarciti per i danni subiti, ma si tratta di cifre che arrivano in ritardo e soprattutto non coprono l'effettiva perdita”.

Sono 6.400 aziende agricole attive nella provincia di Fermo. A causa della crisi, il numero di agricoltori si è ridotto del 37% rispetto a dieci anni fa, con più di un'azienda su tre che è stata costretta a chiudere. Nello stesso periodo, la superficie agricola coltivata è diminuita però solo del 6%, il che significa che la crisi ha portato ad una riorganizzazione del sistema imprenditoriale e che ad uscire dal mercato sono state le aziende più piccole. A giugno 2014, gli occupati nelle campagne marchigiane sono aumentati del 19% rispetto all’anno precedente. Il trend occupazionale positivo sostiene la scelta di quei ragazzi che in numero sempre maggiore si iscrivono alle scuole di agraria. Per l’anno scolastico da poco iniziato gli iscritti agli istituti di agraria nella nostra regione sono passati da 495 a 611 (+23%), mentre agli indirizzi professionali agricoli sono diventati 186 da 173, con una crescita del 7%. Passo in avanti anche per quanto riguarda gli indirizzi enogastronomici e alberghieri, con un aumento dell’8% delle iscrizioni (da 1.623 a 1.753). (Francesca Pasquali)

www.coldiretti.it




PIANIFICARE BENE PER VIVERE MEGLIO, E PIU' SICURI. L'ORDINE DEI DOTTORI AGRONOMI E FORESTALI DI ASCOLI E FERMO SULLA TUTELA DEL SUOLO

Sono figure chiave nell'ambito della pianificazione del territorio e della tutela del suolo e perciò interlocutori ideali per comprendere meglio un settore complesso e articolato come quello agricolo. Con il loro lavoro, i Dottori Agronomi e i Dottori Forestali maturano conoscenze approfondite che è necessario tenere in stressa considerazione. Ne abbiamo parlato con il presidente dell'Ordine delle Province di Ascoli e Fermo, Fabio Sansonetti.

Partiamo dallo stato del comparto agricolo. “Anche il comparto agricolo ha risentito, anche se in misura minore, della congiuntura economica sfavorevole. Da un lato c’è stata una contrazione dei prezzi a seguito del calo dei consumi e dall’altro le condizioni climatiche sfavorevoli delle ultime due annate agricole hanno determinato una riduzione delle quantità prodotte e una minore qualità del prodotto finale. Una forte spinta propositiva per il rilancio delle imprese agricole potrà venire con l’attuazione del nuovo Piano di Sviluppo Rurale delle Marche per il periodo 2014-2020, dove la figura del Dottore Agronomo e Dottore Forestale dovrà essere centrale nella consulenza e nella pianificazione degli investimenti”.

La vostra attività è interconnessa a questioni prioritarie come la pianificazione territoriale e la tutela del suolo. “Le tematiche relative alla pianificazione territoriale e alla tutela del suolo sono correlate e spesso complementari nello svolgimento della nostra attività professionale. La pianificazione territoriale è una disciplina che richiede il coinvolgimento di una pluralità di figure, in quanto, la validità del risultato dipende dall'interrelazione dei diversi contributi specialistici. Il Dottore Agronomo e il Dottore Forestale è una delle figure più qualificate a partecipare alle attività di pianificazione, apportando il proprio contributo in qualità di conoscitore della struttura, delle dinamiche e delle modalità di controllo e di gestione del territorio rurale, boschivo e 'naturale' più in generale”.

Un elemento costante di discussione è proprio la cura dei terreni, soprattutto in riferimento all'incremento di eventi alluvionali. “Nella gestione del territorio è necessario passare ad una politica preventiva che si attua attraverso strumenti pianificatori che abbiano come criterio guida la gestione sostenibile del territorio. Occorre riaprire il dibattito e l’interesse sui problemi connessi alla difesa e conservazione del suolo anche attraverso mirati interventi nelle aree a maggior rischio. In questo contesto, le attività agro-forestali possono incidere positivamente sul presidio del territorio e sulla prevenzione dei fenomeni di dissesto. Questo permetterebbe anche di redigere manuali di 'buone pratiche' in agricoltura come i Regolamenti di pulizia rurale che, ad oggi, molti Enti non hanno ancora adottato. Molti dissesti che coinvolgono le rete stradali provinciali e comunali, infatti, dipendono proprio dalla mancanza delle buone pratiche agricole. Bisogna riconoscere l’importanza della divulgazione di pratiche di protezione e di gestione sostenibile, indicando forme e iniziative di contrasto all’abbandono delle zone 'marginali' di montagna”.

Quali cambiamenti sono in atto per quanto concerne il vostro Ordine professionale? “Il nostro Ordine professionale si trova in un momento importante di cambiamento. Con la riforma delle Professioni, si è dato avvio al procedimento di fusione degli Ordini Provinciali dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali delle Province di Ascoli Piceno e Fermo, Macerata, Ancona, Pesaro e Urbino nell’Ordine Regionale dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali delle Marche. Con tale fusione si vogliono realizzare significative economie di scala per la realizzazione di servizi e attività istituzionali a favore degli iscritti, nonché indubbi benefici alla categoria. Ad oggi l’iter è prossimo alla conclusione e, ad inizio del 2015, ci saranno le elezione per eleggere il nuovo Consiglio Regionale”. (Andrea Braconi)

Ultima modifica il Giovedì, 09 Aprile 2015 18:05

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