Il caso "Terminal" sbarca a Roma

ROMA - “Oggi, ragazzi, ascolteremo un caso molto interessante di rigenerazione urbana che arriva da Fermo, nelle Marche”. Con queste parole la docente Lia Fassari dell’Università Sapienza di Roma ha aperto, lo scorso 19 aprile, la lezione rivolta agli specializzandi di Sociologia delle culture e dei territori. L’ateneo romano, nell’ambito di un ciclo di incontri sul riuso di strutture pubbliche inutilizzate, ha invitato l’associazione Terminal Art Project di Fermo a raccontare come è nato e come si è sviluppato il loro progetto, sposato dall’Amministrazione comunale, che nel 2013 ha portato alla riapertura del terminal dei maxi parcheggi, ridando vita a quello spazio, dopo un decennio di abbandono, attraverso eventi di arte contemporanea.

A incontrare gli studenti, insieme al direttore artistico Daniele Cudini e ad alcuni membri dell’associazione culturale fermana, anche il vicesindaco di Fermo Francesco Trasatti, sostenitore del progetto fin dalla prima ora, all’epoca nelle vesti di assessore alla Cultura.

Nelle aule della Sapienza l’esperienza fermana è arrivata grazie all’interessamento di Tommaso Dal Bosco, dirigente dell'Area sviluppo urbano e territoriale dell’IFel-Anci, Istituto per la Finanza e l’economia locale. “Ho scelto l’esperienza di Fermo - ha spiegto Dal Bosco - perché ha caratteristiche estreme ed esemplari. Mi ricorda molto il caso dell'ex manifattura tabacchi di Marsiglia, un mammut inutilizzato che, dopo l’intervento di alcuni artisti, è stato trasformato in luogo dedicato all’arte con atelier, laboratori e spazi espositivi”.

Molte le domande degli studenti, interessati e spesso perplessi di fronte a certe dinamiche. Come mai, hanno chiesto, dopo la sperimentazione di una nuova identità per la struttura, il processo si è interrotto? Perché, dopo un lungo periodo di chiusura e l’emergere di criticità nella progettazione strutturale, i lavori sono stati ripresi?

“A loro - dice Daniele Cudini - ho voluto far capire innanzitutto che la nostra è stata una reazione civile, contrariata e forte, di fronte a una struttura costruita con un ingente investimento di denaro pubblico e rimasta chiusa per oltre dieci anni. Noi lavoriamo nel campo dell’arte contemporanea e il nostro progetto proponeva di fare del terminal uno spazio espositivo con questa identità, mantenendo la natura multifunzionale come previsto dal piano del Comune, quindi con bar, punto informativo, area di sosta per la mobilità cittadina. In due edizioni, portando all’interno del terminal anche dibattiti con architetti, economisti ed altre esperienze di successo sul tema del recupero urbano, abbiamo cercato di stabilire un rapporto con l’Amministrazione per una progettualità condivisa".

"Ci premeva anche - continua - far riflettere sulle grosse problematiche della struttura che è una spugna di acqua, essendo stata costruita in un costone della città dove anticamente c’erano orti romani, appunto perché vi defluiva molta acqua. Nonostante l’evidenza di queste criticità, si è scelto di portare comunque avanti la costruzione degli ascensori all’interno, nel punto più vulnerabile, intriso di infiltrazioni che adesso sono come una cascata. Ora i lavori sono fermi ancora una volta per quelli che vengono detti errori progettuali: io la chiamo demenza progettuale, e il terminal rischia di ritornare ad essere il mausoleo delle Amministrazioni cadute”.

“L’iter per la risalita meccanica, ormai avviato - la spiegazione data da Trasatti agli studenti - va portato a termine, ottemperando certamente a quei controlli che anche Cudini evidenzia rispetto alla situazione delle infiltrazioni di acqua. Una volta chiusi i lavori riapriremo la questione della gestione dello spazio, perché da questo punto di vista si è all’anno zero. Dopo avremo due ascensori all’interno, quindi cosa ne sarà del terminal lo vedremo. Si ripartirà con una progettazione sempre nell’ottica di farne una porta della città. Vanno trovati i fondi per una struttura che sia sostenibile e che contempli all’interno arte contemporanea, forme aggregative e funzionalità di accesso alla città in una forma moderna, europea”.

In conclusione la parola torna a Dal Bosco: “In Italia, davanti a una struttura in degrado, siamo abituati a dire che se ne deve occupare l’Amministrazione comunale. L’Amministrazione, dal canto suo, dice che se ne occuperà appena avrà i fondi e avrà espletato la burocrazia. Nel frattempo tutto rimane stagnante. Quello che è avvenuto a Fermo con il terminal è significativo: una struttura pubblica dalla storia complicata, nata con premesse errate di valutazione sulla reale necessità e sostenibilità, ad un certo punto si modifica perché intervengono attori sociali nuovi, cittadini che innescano un processo partecipativo spontaneo molto forte, al punto da riportare l’attenzione su quel bene comune stimolando anche l’ente pubblico a intervenire”.

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