FERMANO - Nuovo appuntamento con "Historia Firmana", rubrica sulla storia di Fermo a cura del Prof. Pier Luigi Cavalieri.
Dopo la fine dell’Impero romano d’Occidente (476 d.C.) si succedettero in Italia i regni romano-barbarici di Odoacre e di Teodorico, finché l’imperatore d’Oriente Giustiniano non decise di riprendere il controllo della Penisola dando inizio alla lunga e rovinosa guerra greco-gotica (535- 553) la quale, secondo Procopio di Cesarea, ridusse il Piceno a “un deserto”. La popolazione della provincia adriatica fu decimata non solo dagli eserciti che si affrontavano, ma anche da una carestia e da una terribile epidemia di peste che imperversarono durante il lungo conflitto. La popolazione di Fermo non scampò alle conseguenze della guerra, dal momento che nell’anno 538 l’intero esercito bizantino si accampò nelle sue vicinanze per preparare l’attacco alle città fedeli ai Goti, e appena sei anni dopo gli stessi Goti ripresero il controllo della città episcopale.
Alla fine i Bizantini prevalsero, ma la pace durò soltanto quattordici anni, perché nel 567 i Longobardi iniziarono la loro conquista di parte della Penisola. Presto essi costituirono un ducato a Spoleto e muovendo da quella città penetrarono nel Piceno attraverso la Via Salaria per poi risalire verso nord, raggiungendo Fermo intorno all’anno 580, anche se recenti studi tendono a postdatare la vera e propria conquista della città a un momento successivo all’espugnazione di Camerino da parte di Ariulfo, secondo duca di Spoleto, avvenuta nel 598.
Proprio agli inizi dell’invasione longobarda (anno 580) sono legati i primi nomi certi di vescovi di Fermo: quelli di Fabio e Passivo. All’avvicinarsi degli invasori il prudente vescovo Fabio inviò il tesoro d’argento della Chiesa fermana, presumibilmente via mare, al diacono Sereno di Ancona, città rimasta sotto il controllo dei Bizantini, perché lo custodisse temporaneamente. Questa misura precauzionale era più che giustificata: infatti, appena arrivati, i Longobardi (che di solito si insediavano su alture in prossimità dei centri romani per attaccarli e compiervi razzie) rapirono un’intera famiglia fermana, che doveva essere ricca e influente, composta dal chierico Passivo con la consorte di cui ignoriamo il nome e i due figli Demetriano e Valeriano, per chiederne il riscatto. Il vescovo Fabio fu costretto a pagare la somma richiesta e lo stesso Passivo sarebbe poi diventato a sua volta presule. Conosciamo queste vicende da due lettere di papa Gregorio datate 598, anno in cui il duca Ariulfo permise al pontefice di riprendere contatto con talune diocesi. Una delle due missive di Gregorio è indirizzata a Sereno, ormai vescovo di Ancona, e gli chiede perché non voglia restituire a Passivo il tesoro da lui ricevuto da Fabio. Il tono di un’altra lettera di papa Gregorio a Passivo ci informa che tra i due intercorrevano rapporti molto stretti, quasi familiari.
Le missive di Gregorio ci fanno conoscere anche l’origine del culto di San Sabino a Fermo, la quale potrebbe attestare l’avvenuta incorporazione della città nel ducato longobardo di Spoleto. Sempre nel 598 il chierico Valeriano (forse il figlio di Passivo), notaio della Chiesa fermana, aveva costruito a proprie spese un oratorio “nel fondo Vissiano” (in cima all’altura della Montagnola), dedicato al santo martire Savino o Sabino e aveva chiesto al papa delle reliquie del martire da collocare al suo interno. Le reliquie gli sarebbero state inviate dal vescovo Crisanto di Spoleto, città da cui aveva origine il culto del santo (ritenuto egli stesso vescovo della città umbra), che sarebbe diventato anche uno dei protettori di Fermo. I sacri resti di San Sabino sarebbero stati successivamente traslati nel Duomo, dove ancora si trovano.
Le lettere di papa Gregorio testimoniano che Fermo, diversamente da parecchi altri centri del Piceno, scomparsi in seguito alle devastazioni della guerra greco-gotica, era sopravvissuta come realtà urbana, benché in forma ridotta, e che il suo vescovo era autorevole in tutto il Piceno.