Da Kharkiv a Fermo: la nuova vita di una famiglia ucraina

Katarina e Yuliia Kalcheva

FERMANO - Capitale della cultura ucraina, sede di centri ingegneristici d’eccellenza: tutto questo era Kharkiv prima della guerra. Tra le città più vicine al confine russo, già a fine febbraio era stata teatro di bombardamenti. Quelle stesse bombe hanno svegliato, nel cuore della notte, Katarina Kalcheva e la sua famiglia. “Abbiamo subito cercato in Internet cosa fosse successo, ma non riuscivamo a trovare nulla”, spiega Katarina, 15 anni, ricordando quei primi frenetici momenti. Il rumore che l’ha fatta sobbalzare dal letto quel 24 febbraio era quello delle bombe cadute sul vicino aeroporto.

Attimi di terrore: non c’è tempo da perdere, troppo rischioso restare in una casa non lontana da obiettivi strategici. La famiglia Kalcheva decide di spostarsi a casa dei nonni ma nel frattempo le voci di un ingresso dei Russi in città si fanno sempre più insistenti. Katarina, insieme a sua madre Yuliia e suo padre Bogdan partono, cercando di convincere la coppia di anziani a seguirli. Invano. L’amore per la propria terra, per la loro casa, i ricordi di un’esistenza intera li spingono a restare. Così, ore dopo quel risveglio improvviso, la ragazza e i suoi genitori riescono ad attraversare la frontiera. “Lungo il percorso, abbiamo incrociato le carcasse dei carri armati” ricorda Yuliia. “Al confine italiano tanti erano i giornalisti in attesa durante quelle prime concitate fasi della guerra”, racconta Katarina.

Il modo in cui questa famiglia è arrivata nelle Marche, a Lido Tre Archi per la precisione, è una bella storia di solidarietà. Dopo un primo passaggio in Ungheria “dove non erano disponibili come in Romania” sottolinea Yuliia, i tre entrano in questo secondo Paese. Qui, avvertita da conoscenti che si occupano di accoglienza, trovano Ionela, in Romania per motivi di lavoro. Inizialmente le viene chiesta disponibilità appena per una notte. “Non ci conoscevamo prima” dice Ionela, col fare di chi ha trovato dei nuovi amici, nonostante il momento difficile in cui questi rapporti sono nati. Dalla Romania Yuliia e suo marito cercano di andare in Canada, perché lì la piccola Katarina avrebbe potuto avere cure adatte ad un suo problema di salute. La realtà, però, è più complicata del previsto. Quando chiedono informazioni, si rendono conto che andare in Canada è per loro impossibile. Lasciando tutto dall’oggi al domani, la famiglia ha infatti con sé appena 1000 euro. Tra l’altro non accettati da nessuna banca. Katarina scoppia in lacrime; 15 anni appena, in pochissimo tempo si è lasciata alle spalle tutto quello che fino a quel momento era stato il suo mondo. Come lei, i suoi ex compagni di classe: alcuni sono in Polonia, altri in Germania, uno fa il volontario per gli aiuti umanitari in Ucraina.

Ionela, che risiede nel Fermano da tempo insieme al compagno Alfredo, offre loro ospitalità in un appartamento libero che quest’ultimo possiede a Lido Tre Archi. A raccontarcelo è proprio lei, mentre guarda con tenerezza Katarina e le sorride. Inizia così il viaggio verso l’Italia: qui la famiglia prova a ricominciare.

Forte di un’esperienza alla guida di un’azienda produttrice di infissi per finestre con 15 dipendenti, Bogdan trova presto lavoro a tempo indeterminato presso una ditta di Porto Sant’Elpidio. Anche Katarina tenta di ricostruire la sua normalità, iscrivendosi al secondo anno dell'indirizzo linguistico del liceo “Temistocle Calzecchi Onesti” di Fermo. In classe trova degli amici e si sente subito accolta. “Vorrei restare in Italia”, confida. Sua madre Yuliia, 37enne, che ora non lavora, dopo la guerra preferirebbe rientrare in Ucraina dove insegnava Informatica.

Le chiedo se avessero mai avuto il sentore che la guerra potesse tragicamente bussare alla loro casa. “No – risponde -, dove abitavamo noi persone di lingua ucraina e russofoni vivevano in pace”. Nella narrazione della guerra, al centro dei pensieri un posto ce l’hanno i combattenti del battaglione Azov, da poco in mano russa dopo la resa nell’Acciaieria Azovstal. Per alcuni sono nazisti, per altri dei coraggiosi difensori della patria. Katarina ha degli amici nella martoriata Mariupol’: “Per loro sono degli eroi, difensori della città”. Alcuni le hanno raccontato attraverso quel filo rosso che è il telefono, che non hanno mangiato per giorni, nascosti, impossibilitati a uscire. E gli aiuti umanitari?Non sempre riescono ad arrivare” dice. Si ferma per un po’, sembra indugiare: “Mi hanno detto che i Russi sono entrati in un bus pieno di teenager (minorenni n.d.r.). Hanno preso una donna: l’hanno violentata” e poi: “Il medico che l’ha curata ha cercato ovunque negli ospedali vicini uno psicologo, perché lì non c’era”. “Non c’era lo psicologo” ripete più volte Katarina, a sottolineare come in guerra non ci siano solo ferite fisiche, ma anche e soprattutto quelle dell’anima che è più difficile curare.

Silvia Ilari

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