8 Marzo, il lungo percorso delle donne marchigiane tra battaglie e vittorie. Le parole di Meri Marziali

MARCHE - Le donne del 2020 sono ancora in cammino nel percorso di emancipazione femminile ancora incompleto. Negli anni sono state molte le leggi che hanno cercato di cambiare in meglio non solo la loro vita, ma la società nel suo complesso e nonostante ciò le stesse si sono dovute confrontare troppo spesso sul terreno della disuguaglianza.

“Quando parliamo di pari opportunità parliamo della possibilità di esercitare i diritti previsti nella nostra Costituzione - ha spiegato Meri Marziali, Presidente della Commissione Pari Opportunità della Regione Marche -. Per fare alcuni esempi pensiamo al tasso di occupazione femminile ancora molto basso rispetto agli obiettivi europei e rispetto ad altri Paesi del nostro continente. L’Italia è ferma al 52.5% penultimi in Europa contro una media europea del 62,4%, dopo di noi solo la Grecia 48%. La crisi che abbiamo attraversato ha sì ridotto il divario con il tasso di occupazione maschile ma solo perché i settori maggiormente compiti sono stati quelli dove la manodopera impiegata è soprattutto maschile. Non è una bella consolazione stare meglio perché gli altri (gli uomini) stanno peggio! Ad oggi l’Italia si trova al secondo posto in Europa per divario occupazionale uomo-donna, con 19,8 punti percentuali che separano il dato maschile da quello femminile. Per non parlare di altri due aspetti: differenze retributive e maternità. Una volta avuto accesso al mercato del lavoro, le donne percepiscono in media una retribuzione inferiore, sia per la prevalenza di tipologie contrattuali a orario limitato che per la conseguente impossibilità di ricoprire ruoli apicali nel contesto aziendale. Un divario salariale medio per le lavoratici italiane del 20,7%. Se spostiamo lo sguardo sul settore della libera professione, nel contesto di un incessante calo delle retribuzioni, il reddito medio di una professionista non va oltre il 56% di quello dei colleghi uomini.

La maternità rappresenta un fattore critico per la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, in un contesto in cui la fecondità scende e si innalza l’età della donna al primo parto. Sono le donne, ancora, a subire maggiormente le conseguenze lavorative di una nuova nascita. Ogni anno sono oltre 24mila le italiane che lasciano il lavoro per le difficoltà di conciliarlo con la famiglia. Le donne che non lo lasciano lamentano l’enorme difficoltà di conciliare i tempi di vita. Il tasso di occupazione femminile continua a variare al mutare del ruolo in famiglia ed è più alto per le donne single e più basso per le donne in coppia con figli. Ho parlato di cifre ma occorre sempre ricordare che dietro ai numeri e alle statistiche ci sono storie, fatte di difficoltà e di speranze, di desiderio di maternità ma anche di rinuncia a esprimersi nel lavoro. Non potremo definirci un Paese civile sino a quando la maternità non sarà ancora percepita come un valore sociale. A questo si aggiunge l’innegabile difficoltà di gestire la vita lavorativa e il carico di lavoro, sbilanciato sulle donne rispetto agli uomini.

Le misure di conciliazione collegate solo alle donne in un contesto come quello italiano che scoraggia le assunzioni femminili, vanno dunque accompagnate da provvedimenti che favoriscono la condivisione della cura dei figli con i padri. Dove c’è scritto parentale molti datori di lavoro leggono materno e dunque promuoviamo il sostegno alla condivisione della genitorialità. Va anche detto che tale asimmetria all’interno delle coppie è leggermente diminuita nell’arco degli anni. Fortunatamente le differenze generazionali segnano una generale maggiore apertura dei giovani nei confronti di ruoli di genere più paritari sia nel contesto familiare sia in quello pubblico. Ciò conferma un’evoluzione culturale e un timido superamento della suddivisione degli stessi. Condividere la genitorialità e quindi la paternità vuol dire per l'uomo non solo aiutare la propria compagna ma vivere appieno la sua paternità. Per sostenere tutte queste misure che interessano la vita delle donne e della società nel suo complesso dobbiamo promuovere convintamente la partecipazione delle donne alla vita pubblico istituzionale e politica. Spesso le donne che nel corso della storia hanno ricoperto ruoli di potere, nelle case come nella società, sono rimaste invisibili”.

Quali le iniziative volte a contrastare le azioni di violenza di genere nella Regione Marche? “I dati del Rapporto annuale sulla violenza di genere ci dicono ogni anno che tale fenomeno è in progressiva emersione anche nella nostra regione. Il dato complessivo del 2018 è di 534 donne che hanno fatto accesso e richiesta di aiuto ai CAV. Un aumento che evidenzia un incremento del 30.6% rispetto al 2017 (409 donne). Le ragioni di questo importante scostamento possono essere interpretate in due accezioni una prima evidentemente più negativa ossia è la costatazione che questo fenomeno ha molti tratti di sommerso, proprio perché è una violenza domestica, ci sono relazioni affettive e quindi la denuncia è veramente difficile. E dunque questi dati rappresentano l’emersione di un fenomeno reale ma ancora tristemente sommerso. Questo aspetto si collega ad un’interpretazione nettamente più positiva dei dati ovvero che l’incremento delle richieste di aiuto non è correlato ad un aumento dei fatti violenti e conseguentemente delle donne vittime ma ad un importante lavoro di rete svolto in questi anni dalla Regione Marche, dall’Assessorato alle P.O. e da tutte le realtà direttamente ed indirettamente sono coinvolte sulla tematica. Un lavoro che ha permesso una maggiore visibilità dei CAV, la sottoscrizione dei protocolli di rete regionali e provinciali, la formazione sul territorio degli operatori della rete antiviolenza non ultimi i numerosi incontri pubblici che negli anni si sono moltiplicati su tale tematica soprattutto tra i giovani nelle scuole che hanno prodotto una maggiore consapevolezza delle nuove generazioni e nelle donne nel chiedere aiuto. La donna vittima di violenza è così riuscita a trasformare il proprio bisogno silente in domanda espressa”.

Quali le conquiste della donna nella nostra regione e quelle ancora in atto? “L’approvazione da parte del consiglio regionale della legge sulla doppia preferenza è stato un tassello veramente importante non solo per un adeguamento normativo, ma per sostenere la partecipazione delle donne alla vita politico istituzionale – ha concluso dicendola Marziali-. Da quella partecipazione scaturiranno politiche che possono fare la differenza: istituzioni, forze sociali ed economiche devono unire le loro forze per costruire un Paese a misura di donne”. Le battaglie ancora in cammino sono quelle che riguardano la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Le donne, anche nella nostra regione, continuano a fare i conti con un lavoro che non c’è, o è un lavoro instabile, precario o comunque di bassa qualità che si accetta per mancanza di alternative. Lavori con orari sempre più ridotti, anche a poche ore la settimana, con part time troppo spesso involontari che rendono parziali anche paghe e diritti. Part time involontari che poi si tradurranno in minori contributi e in pensioni veramente misere. La maternità, altra battaglia in cammino: troppe lavoratrici madri lasciano il lavoro alla nascita di un figlio: l’anno scorso nelle Marche sono state 866. Dunque ogni 12 bambini che nascono c’è almeno una lavoratrice che lascia un lavoro stabile, spesso costretta a una scelta obbligata per le difficoltà che incontra sul lavoro o per la mancanza di una rete adeguata di servizi accessibili e sostenibili economicamente. Si parla tanto di conciliazione tra tempi di vita e lavoro, spesso lo si fa in modo retorico e declinandolo solo al femminile, finendo per riportare le donne a casa ad accudire figli e genitori anziani. Inoltre, in questi anni, abbiamo assistito al proliferare di bonus di ogni genere: bonus bebè, bonus nido, bonus mamme, ovvero politiche di monetizzazione dei bisogni che hanno finito per sottrarre risorse necessarie a garantire un sistema adeguato di welfare. In tal senso occorre riaffermare due priorità: la cultura della condivisione delle responsabilità familiari tra uomini e donne e garantire una rete adeguata e strutturata di servizi, da quelli per l’infanzia a quelli per anziani e non autosufficienti”.

di Federica Balestrini

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