“La didattica a distanza non è scuola, basta classi pollaio” Per il futuro servono più investimenti e un'inversione di tendenza

FERMANO - Dentro questa emergenza ci stiamo rendendo conto di come una società non riesca più a tenersi insieme quando vengono a mancare alcuni pilastri. Tra questi, oltre alla sanità, c'è senza ombra di dubbio la scuola, come evidenziato da Lorenzo Fioramonti, docente universitario ed ex ministro dell'Istruzione che ha preso parte al Webinar organizzato da Sinistra Italiana.

“Abbiamo un sistema scolastico che ha dimostrato tanti punti di forza ma anche una grande fragilità - ha affermato - ed è fondamentale che questa tragedia ci porti ad un approccio diverso”.

Nell'introdurre i lavori, Giuseppe Buondonno, segretario regionale di Sinistra Italiana e membro della direzione nazionale del partito, ha spiegato come sia da studente ieri che da insegnante oggi abbia sempre vissuto in prima persona la discussione sui cambiamenti relativi alla scuola. E come tra questi cambiamenti rientri forzatamente la didattica a distanza. “Credo che nessuna persona di buon senso possa pensare che quella sia la scuola o un modello sostitutivo fuori dall'emergenza. La scuola è fatta di umanità presente, di relazioni profonde, complesse. Non solo idee ma anche sfumature, è una scuola dei corpi e non soltanto attraverso lo schermo. Anche sul piano dei contenuti credo che questa modalità, indispensabile in questo momento, rischi però di determinare l'esasperazione di processi di semplificazione”.

Altro elemento di discussione, da sempre, è la presenza delle diversità, anche a livello familiare. “Gli ultimi, i più deboli vivono una difficoltà maggiore” ha sottolineato Buondonno.

C'è però l'altro lato della medaglia. “Per milioni di ragazzi, adolescenti e bambini chiusi in casa cosa sarebbero stati questi due mesi senza questo tipo di esperienza? Gli adulti hanno provato in qualche modo ad essere vicini ai ragazzi e si deve raccogliere quello che questa esperienza ci insegna, anche aspetti negativi come il ritardo nelle infrastrutture tecnologiche”.

Per questo sarà cruciale non dover ricominciare da capo. “Non si approfondiscano le disuguaglianze e non si crei una sorta di sospensione dell'articolo 3 della Costituzione. Qui è emersa la centralità civile e democratica della scuola, senza la quale non c'è comunità e non c'è un legame sociale. Da questa vicenda si deve uscire con molta forza e determinazione, con un ribaltamento della logica dei tagli e della riduzione del personale ma, al contrario, con più investimenti e riqualificazione”.

E la politica, che dovrà stabilire le direttive legate al rientro in classe (“Che tutti attendono con ansia, ma che deve avvenire in condizioni di sicurezza e con un salto di qualità”), avrà anche l'obbligo di rimettere la scuola al centro di tutto, invertendo la rotta. A dirlo è proprio Fioramonti, che ha ribadito come non sia più sostenibile tollerare le cosiddette classi pollaio. “Negli ultimi 20 anni la scuola è stata ridotta come se fosse l'anagrafe della formazione. Si è accorpato, ridotto e chiuso scuole nelle aree interne impoverendo quelle comunità. Occorre tornare verso il passato, con una scuola legata al territorio, ma che sia una scuola altamente formativa con le competenze messe a sistema. Occorre anche moltiplicare i luoghi dell'apprendimento, a partire da alcune scuole chiuse o locali in aree urbane. E la didattica a distanza, a quel punto, si fonderà con la didattica di presenza”.

Scuola, è stato ricordato, che dovrà avere uno sguardo ancora più determinato nei confronti dei ragazzi con disabilità, non dimenticando mai i bisogni sociali.

“È importante immaginare anche una ripresa della scuola in relazione con le altre agenzie educative, pretendo di farlo con gli altri - ha detto l'editrice Elvira Zaccagnino -. La scuola si salva e salva la comunità se fa le cose con la comunità. E in queste settimane abbiamo scoperto tutti che la scuola è necessaria e fondamentale”.

Di grande interesse anche l'intervento di Marco Rossi Doria del Forum Diseguaglianze e Diversità, che si è soffermato anche sul conflitto culturale tra i docenti. “Una parte di loro è entrata nelle case ed è stata vicina ai genitori, unificando come mai prima la scuola con la casa. Da sempre c'è un contenzioso terrificante tra scuola e famiglia, ma qui c'è stata cooperazione, con una parte degli insegnanti, che ha affrontato persino i device e i collegamenti, instaurando una profonda relazione con i ragazzi”.

Ma ci sono stati anche insegnanti che, secondo Bagni, non sono riusciti ad uscire dal loop insegno-controllo, io faccio la lezione e tu mi ascolti bene. “Non sono riusciti a pensare che questo vissuto poteva essere narrato da questi ragazzi, dando nuovo vigore all'apprendimento ma anche fare un salto di qualità da un punto di vista cognitivo. Non ci sono riusciti e continuano a chiedere i giudizi, sono indispettiti dal fatto che i loro colleghi chiedono ai ragazzi di autovalutarsi. Questa è una divergenza che viene fuori potente, ma che deve essere utilizzata fino in fondo. Il conflitto democraticamente va affrontato e i pionieri della scuola attiva hanno la loro occasione”.

C'è anche la questione degli studenti di origine straniera: a fronte di 8 milioni di ragazzi italiani, c'è meno di 1 milione di non italiani, con più di 150 nazioni presenti nelle nostre scuole da moltissimi anni. “È tempo di rilanciare lo Ius Soli e lo Ius Culturae, i ragazzi hanno diritto di scegliere di essere italiani” ha evidenziato Rossi Doria.

Ma forse, ha affermato Giuseppe Bagni, presidente del CIDI (Centro di Iniziativa Democratica degli Insegnanti), la parte che stiamo vivendo è quella più facile. “Io sono preoccupatissimo per quello che dovremo vivere. Che facciamo adesso? Ricominciamo come prima? - si è chiesto -. Dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione questo modello precedente, anche con il Ministero. Quando torneremo in classe ricordiamoci che quello che i ragazzi hanno vissuto fa scuola, è un'esperienza di vita che deve innescare un'esperienza di scuola e che non si può ripartire dall'ultima pagina di testo che abbiamo trattato. Ripensiamo invece tutto, investendo sugli insegnanti e capire cosa e come insegnare”.

Fortemente impegnato in queste settimane è Peppe De Cristofaro, sottosegretario all'Istruzione, che ha manifestato la sua condivisione per i temi affrontati. “È stato colto il punto vero della discussione - ha detto rivolgendosi agli altri relatori -. Siamo quasi ad un bivio e dobbiamo ragionare su come il Coronavirus abbia squarciato il velo, rendendo note cose che diciamo da anni e che oggi sono un terreno di discussione generale che riguarda una parte grande di questo Paese. La difficoltà non è stata solo il tablet, la povertà educativa c'era già ma è clamorosamente emersa. Penso che dobbiamo immaginare che il rientro a scuola non sarà solo un rientro fisico: non possiamo rientrare come quando siamo usciti a febbraio nel nord Italia e a inizio marzo nel resto del Paese, ma siamo nella condizioni di aprire un dibattito pubblico”.

Andrea Braconi

Ultima modifica il Lunedì, 27 Aprile 2020 19:31

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