di Andrea Braconi
“Comunicazioni del Direttore di Area Vasta sullo stato del piano di emergenza”. È l'oggetto di una conferenza stampa, rigorosamente on line, che Licio Livini ha voluto tenere per aggiornare la cittadinanza. Una modalità inconsueta, fatta di “barriere virtuali” rispetto a quel confronto aperto che il direttore ha sempre preferito. Ma in piena emergenza, anzi, in “emergenza massima” come ha rimarcato lo stesso Livini, è fondamentale puntualizzare i diversi aspetti attorno ai quali si poggia l'azione dell'azienda sanitaria del Fermano.
“Ora più che mai serve parlare di unità, collaborazione e solidarietà, appellandosi anche alla stampa - ha spiegato nella sua introduzione -. Le dichiarazioni spettacolari non servono, tolgono quella tranquillità che è importante anche per chi deve decidere”.
Nulla, in queste settimane, è stato omesso. “Abbiamo fatto del nostro meglio, sicuramente in qualche percorso qualcosa poteva essere governato meglio, ma il fenomeno è imprevedibile e pieno di sorprese. A volte pensi di avere un ambiente pulito, ma quando meno te lo aspetti lo trovi diverso. E così siamo partiti con la brutta esperienza nel reparto di Medicina: casualmente abbiamo trovato qualcosa che non andava e da lì c'è stata la diffusione. Alcuni operatori e pazienti hanno contratto la malattia, facendo accusare numeri importanti all'interno dei reparti. Siamo stati sfortunati, ma abbiamo cercato di recuperare questa leggerezza e oggi ci sentiamo tranquilli, lavorando senza sosta”.
E per Livini comincia a prendere corpo un ospedale riorganizzato, come stabilito dall'unità di crisi della stessa Area Vasta 4.
LE FASI DELL'EMERGENZA
Perché chi doveva decidere, lo ha fatto. Sin dall'inizio. E mettendolo per iscritto. “La nostra unità di crisi aveva elaborato e condiviso subito un documento, descrivendo le fasi e le azioni da portare avanti nella prima fase dell'emergenza grave, prevedendo anche un momento più critico definito emergenza severa, fino ad arrivare ad oggi nella fase dell'emergenza massima”.
Una riflessione, quella di Livini, incentrata ovviamente sull'attività del Murri e si è dispiegata nei dettagli, fondamentali per comprendere il contesto nel quale Direzione ed operatori sono costretti a muoversi.
Per la cosiddetta emergenza grave è stata prevista la separazione tra spazi puliti e spazi sporchi, facendo convivere un ospedale che non poteva essere completamente dedicato al Covid con servizi che dovevano continuare a lavorare. “Questo ci ha permesso di avere 87 posti letto dedicati” ha sottolineato Livini.
Il gradino successivo, vale a dire l'emergenza severa, ha visto la messa a disposizione di altri 36 posti letto disponibili, accorpando tutti il dipartimento chirurgico e liberando un reparto intero.
Infine la “massima”, cioè l'oggi. “Sono state messe insieme le aree cosiddette nobili, come Utic e Cardiologia, e si potrebbe prevedere anche di utilizzare le sale operatorie. Alla fine tutto questo potrebbe comportare 143 posti letto e se la situazione si dovesse aggravare ancora di più. Ma ad oggi ne occupiamo 68 e riusciamo a gestire il tutto”.
I NUMERI TRA TERRITORIO E MURRI
Ovviamente, il documento è stato aggiornato con ulteriori azioni di supporto. Nel territorio, infatti, c'è un numero di pazienti che Livini ha definito significativo. “Abbiamo 579 persone vigilate a domicilio, di queste 101 pazienti sintomatici e 165 positivi. Situazioni che, naturalmente, vanno monitorate giorno per giorno. Sono stati attivati percorsi con medici di Medicina generale e servizi per visite e tamponi a domicilio”.
Ma sono i numeri del Murri, forse, a dare il quadro di un contesto drammatico. Alla serata di martedì 24 marzo, infatti, erano 68 i ricoverati e 24 le persone decedute. Otto i pazienti dimessi nelle ultime 72 ore, 802 i tamponi fatti in 10 giorni, dai quali sono emersi 210 casi di positività. “All'inizio Fermo ricoverava dando supporto ad altre aree, ma oggi siamo nella fase nella quale i pazienti sono dei nostri paesi. Ricoveri che vengono fatti in Intensiva e Subintensiva, Malattie infettive, l'Area medica Covid 1 e la Covid 2 che è in fase di avvio”.
Inoltre, davanti al Pronto Soccorso con il supporto della Protezione Civile sono state allestite 3 tende all'interno delle quali verranno realizzate attività di valutazione dei pazienti, concentrando il discorso dei tamponi. “Stiamo anche vedendo procedure che ci permetterebbero di avere tempi più rapidi. Per aver un tampone più veloce abbiamo contattato alcune ditte: parliamo di 15-20 minuti, che comunque rispetto alle 4 ore necessarie oggi cambierebbero di molto la situazione, velocizzando il percorso della persona”.
La Direzione è pronta anche per far partire il servizio di Drive Through, cioè il fare tamponi in auto per pazienti che vengono convocati e che fanno parte di quel gruppo di 579 vigilati a domicilio.
LA SICUREZZA DEGLI OPERATORI SANITARI
Altro punto da attenzionare è quello della sicurezza degli operatori, dopo che qualche percorso “non perfetto” ha creato dei casi di contatto. Sono 43, infatti, sanitari in quarantena, di cui 11 medici, 20 infermieri, poi tecnici, operatori socio sanitari e 3 medici di Medicina generale. “Qualcuno dice che siamo partiti in ritardo e magari su alcuni aspetti può anche avere ragione – ha ammesso il direttore - ma che l'emergenza fosse di questa dimensione nessuno poteva prevederlo”.
L'organizzazione, ha sottolineato, è stata spesso riorientata perché sono subentrate variabili tali che hanno spinto e spingono ancora a rivedere qualche percorso. “Ma credo che nonostante tutto abbiamo fatto e stiamo facendo un grandissimo lavoro. Siamo in linea come le indicazioni ministeriali, della Regione e dell'Asur Marche” ha tenuto a precisare.
I TAMPONI
C'è poi la questione tamponi, sulla quale l'Area Vasta 4 ha, secondo Livini, sicuramente forzato la mano. “Le indicazioni erano altre, andavano fatte agli operatori sintomatici e non agli asintomatici. Noi, invece, abbiamo scelto di farli a tutti, in primis a quelli che lavorano nelle aree critiche. E questo nonostante le difficoltà per il reperimento di tamponi, reagenti e quello che serve per avere risposte dai laboratori”.
Perché gli ostacoli, in questa fase critica, sono stati e restano molteplici. “Abbiamo difficoltà anche nel reperire dispositivi di protezione individuali e ventilatori. Certo, non è solo un discorso di Fermo, ma dobbiamo fare un utilizzo intelligente di ciò che abbiamo a disposizione”.
IL PERSONALE CHE MANCA
L'Area Vasta 4 ha verificato tutte le graduatorie possibili per ottenere più personale, ma il fatto che si vada a lavorare in reparti difficili sta frenando diversi candidati. “Abbiamo preso infermieri firmando 6 contratti, più 4 medici. Abbiamo un elenco per altri 15 infermieri possibili, ma un minimo di formazione preferiamo farla. E così quando c'è da firmare il contratto diversi ci ripensano e non accettano”.
Con i numeri attuali la struttura ancora regge, ma se dovesse aumentare l'esigenza di posti letto allora sì che crescerebbe il fabbisogno di personale. “Ho fatto richiesta alla Protezione Civile per avere 10 medici, 5 anestesisti rianimatori, 2 infettivologi e 10 infermieri. Utilizziamo tutti i canali possibili, ma il personale deve essere qualificato e pronto per lavorare in area critica. Abbiamo medici specializzandi non ancora formati e preparati, li prendiamo comunque facendoli lavorare in situazioni più controllate e meno pesanti, cercando anche da loro l'aiuto che è possibile dare”.
Intanto, chi sta già in prima linea continua a spendersi fino all'ultima goccia di sudore. “Si vive con molta preoccupazione, il timore c'è, ce l'ha l'operatore ma ce l'abbiamo tutti: il primo sa che non può sprecare ed è difficile lavorare con un forte coinvolgimento emotivo, non avendo neanche tutto ciò che serve a disposizione”.
LE STRUTTURE PERIFERICHE
Di proposte su come - e soprattutto dove - gestire la situazione ne arrivano tante, fin troppe, ha affermato Livini senza nascondere la propria contrarietà e giocando su una metafora di stampo calcistico. “Tutti vorrebbero fare l'allenatore e io cedo volentieri la panchina. È facile farlo quando si vince, ma quando si lotta per non retrocedere è peggio”.
Perché le tante reclamate strutture periferiche sono già classificate ma, come ha confermato lo stesso direttore, non sono pronte ed attrezzate per un ricovero di tipo ospedaliero. “Non ha senso correre questi rischi solo per il gusto di dire 'gli diamo il letto': senza un'assistenza di livello non è questa la scelta che va fatta”.
Ci sarebbe anche la struttura di Campofilone, di proprietà di un privato accredito che l'ha messa a disposizione a seguito di un accordo con la Regione. “Sono posti letto che possono essere definiti post critici, cioè per una persona che oramai è in fase di guarigione ma che non è ancora pronta per tornare a casa”.
NO ALLA “DEPORTAZIONE” DI PAZIENTI ASINTOMATICI
E a proposito di rivendicazioni, era emersa negli ultimi giorni anche l'idea di isolare i pazienti asintomatici per evitare una maggiore diffusione del virus. “Mi sembra un'azione da relegare in un contesto brutto, vissuto nel passato – ha immediatamente precisato Livini -. Ma il paziente che sta a casa resta a casa: se è solo rimale isolato lì, se è insieme ad altri componenti della famiglia e lo ha trasmesso loro rimangono tutti confinati lì. Cosa cambia se li mettiamo in una struttura? Lo ha detto anche il presidente del Consiglio: restiamo a casa. Noi non li deportiamo. E poi a fare cosa, in una situazione già così difficile?”.
L'ASPETTO (E IL PESO) PSICOLOGICO
Il supporto psicologico, specie per chi non può avere accanto i propri familiari, è un aspetto sempre più determinante. “Il Gores ha un gruppo di operatori di supporto per l'aspetto psicologico e di sostegno, grazie ad operatori esperti. Qui non abbiamo implementato un percorso di assistenza, lo facciamo con i nostri servizi che utilizzavamo prima di questa fase e che sono altrettanto efficienti. Lo facciamo con tutte le precauzioni possibili, cercando di non esporci troppo per evitare il contagio”.
LA GRANDE SOLIDARIETÀ
Un'occasione, la conferenza stampa, per ringraziare la tanta gente che ha dimostrato di tenere al Murri e ai suoi sanitari. Ma su cosa serva realmente oggi Livini ha le idee molto chiare. “Parlerei di qualcosa che velocizzi le procedure, se il benefattore fa prima a reperire l'attrezzatura è molto meglio che avere soldi a disposizione. I percorsi della Pubblica Amministrazione sono più lunghi e ci sono anche i ritardi preoccupanti da parte delle ditte che consegnano dispositivi, respiratori e anche letti. Qui abbiamo anche buone capacità organizzative e se avessimo avuto tutto davanti sarebbe andato tutto bene. Invece lottiamo perché non arrivano i tamponi, i ventilatori a volte non sono quelli che servono, aspettiamo troppo per i letti. E poi ci sono difficoltà legate al mercato, dove qualcuno si inserisce pensando di fare l'affare del secolo con costi fuori listino. Ma tutto questo non va bene”.
QUALE FUTURO
“Voglio pensare che questa settimana possa essere decisiva e farci capire qualcosa - ha concluso Livini - o la situazione diventerà veramente tragica. Perché se non bastasse più dovremmo pensare a qualcosa di straordinario come risposta, ma mi resta difficile immaginarlo. La Regione si è mossa, sta pensando di fare un servizio centralizzato con diversi posti letto. Ne prendo atto – ha rimarcato facendo denotare forti perplessità sulla scelta -. Poi ognuno guarda al proprio territorio, cercando di dare il massimo nel proprio ambito. Io mi concentro sui nostri problemi, cercando di rispondere alla nostra gente”.