Emanuela Rossi, dai cineforum a Villa Vitali ai Nastri d’Argento. La regista: “Qui c’è fermento. Un film a Fermo? Lo farei, ma occorre investire”

FERMO - Se il capoluogo le ha dato i natali, sono i cineforum a Villa Vitali che hanno segnato la sua nascita come regista. O meglio, la sua voglia di diventarlo che negli anni si sarebbe fatta strada in lei, sempre più prepotentemente. Il suo nome è Emanuela Rossi e quest’anno, con la sua opera prima “Buio”, si è affermata ai “Nastri d’Argento”, vincendo il premio Siae 2020 per la sceneggiatura.

Del film, che vede tra le protagoniste Denise Tantucci, la Nina di “Braccialetti Rossi 2”, la fermana è anche regista. Nonostante una lettura superficiale possa far pensare a della semplice fantascienza, “Buio” si rivela, all’occhio di uno spettatore più attento, una rappresentazione del patriarcato nelle sue forme più estreme. Arrivata a Bologna per frequentare il “Dams” e studiare la storia della settima arte, dopo una parentesi a Parigi, Emanuela Rossi approda a Milano dove lavora per varie testate giornalistiche come “Grazia” , “Marie Claire”, “Casa Vogue”. A 35 anni la svolta, molla tutto per andare a Roma e tentare la strada del cinema, desiderio mai sopito.

“Una volta sul posto ho iniziato a lavorare come sceneggiatrice, ma poi ho capito che non era ciò che volevo: mi piaceva stare con gli attori, non restare in casa chiusa a lavorare. Così, a 39 anni mi sono iscritta alla scuola di Francesca Sapio, la “Duse International”. Da una parte è stato difficile, perché dopo essere stata una professionista, diventi un po’ rigido e perché ho dovuto ricominciare da zero, ma dall’altra Francesca mi ha incoraggiato, mi ha aiutato a sciogliermi, ho capito che tutto si può fare, in tutto si può migliorare” racconta.

Poi sono arrivate le prime soddisfazioni.

“Sì, ho realizzato tre corti. Il primo è arrivato ai “Nastri d’Argento” e ai “David di Donatello”. Si chiama “Il bambino di Carla”. In quel momento ho avuto la certezza che fosse la mia strada. Mi sono detta: “Ok posso farlo”. In seguito c’è stata la serie tv “Non uccidere” con Miriam Leone, per cui ho curato la regia delle esterne. È stata un’ottima scuola, ogni giorno si lavorava per 10 ore circa, ho capito davvero cosa voleva dire fare la regista. Da quest’esperienza nasce il contatto con la “Film Commission Torino Piemonte” che mi ha permesso di realizzare il film”.

“Buio” il suo film è stato definito ‘profetico’ non volendo, perché realizzato prima del lockdown, con le protagoniste recluse in casa.

“In realtà c’è volontà. Certo, non potevo immaginare quello che sarebbe successo con il Covid-19, ma il timore di una vita così c’era, con un padre che percorre un tunnel di decontaminazione per rientrare in casa, con la figlia che indossa la mascherina prima di prendergli i vestiti”.

Girerebbe un film a Fermo?

“Io ci sono, però bisogna sostenerlo un progetto del genere, fare un film costa. Il Piemonte e la Puglia per esempio hanno investito. Qui c’è un po’ difficoltà, dal lato dei progetti cinematografici. Quella di unire più realtà insieme potrebbe essere una buona idea. Recentemente, sono stata a Fermo alla “Sala degli Artisti” per presentare “Buio” e ho notato che c’è un fermento artistico. Si tratta di un movimento interessante, forse anche perché l’assessore Trasatti in questi anni ci ha creduto. Ho incontrato diverse persone che mi sono piaciute come Rebecca Liberati, Cesare Catà, Simona Ripari. Ho poi visto a Monsampietro Morico lo spettacolo ‘La favola Orfeo ed Euridice’ ambientata all’aperto nei campi e l’ho apprezzato molto."

Cosa c’è di Fermo in lei e nel suo lavoro?

"La bellezza. Fermo è un posto elegante. Essere nati qui vuol dire essere un po’ “fuori dal centro”, ma ti dà quella giusta distanza, tipica di un provinciale. Insomma, ti fa essere distaccato, “altrove”. Può sembrare un disagio, perché fai maggior fatica ad affermarti in questo settore rispetto a chi conosce i meccanismi ed è nato in una famiglia di cinema, devi imparare le dinamiche, ma può essere anche un vantaggio. Inoltre, alla presentazione alla “Sala degli Artisti” è venuto Vito Lauri che organizzava i cineforum a Villa Vitali, è stato davvero bello, è stato come chiudere un cerchio. Quei film erano come delle bombe atomiche nel mio cervello durante le domeniche fredde nella villa. Ricordo ‘Solaris’ di Tarkovskij , un film di fantascienza fatto con due soldi, ma che però ti faceva entrare nel mondo del regista. Credo mi abbia un po’ influenzato per “Buio”. Come diceva Fassbinder: ‘I film liberano la testa’ , tornavo a casa dopo i cineforum ero diversa, i film mi avevano cambiato. Il bello del cinema è che ti fa entrare nell’interiorità di chi realizza il tutto, anche di persone che probabilmente non conoscerai mai".

Silvia Ilari

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