Guerra, violenza, egoismi: un altro mondo è possibile. Le parole dell'Arcivescovo di Fermo Rocco Pennacchio

FERMANO - L’Arcivescovo di Fermo Rocco Pennacchio, eminente personalità religiosa del nostro territorio, risponde alle domande del Corriere News sull’attuale periodo che il mondo sta vivendo, sul bisogno di pace, su come le religioni si inseriscono in questo contesto.

Eccellenza, innanzitutto le chiedo una breve riflessione sul Natale cristiano, sul suo significato più vero e sui rischi che la società attuale corre di perdere di vista lo spirito religioso di questa importante festività.

Il Natale dice l’originalità della religione cristiana, perché afferma l’incarnazione del Figlio di Dio, la condivisione dell’esperienza umana, il compromettersi di Dio con la nostra vita. Nessun’altra religione arriva ad affermare questa verità.

La seconda domanda riguarda la stretta attualità associando il Natale al concetto fondamentale di pace. Stiamo vivendo un periodo difficile: il genere umano, dopo molti decenni, sembra ripiombare nell’incubo di una guerra di proporzioni mondiali, la “terza guerra mondiali a pezzi” la definisce Papa Francesco. Come si può parlare di pace in un contesto dove l’umanità appare essere inghiottita in una spirale di odio, di egoismo e di violenza?

Il coro gli angeli che apparve ai pastori cantava “Pace agli uomini amati dal Signore”, riferendosi alla pace che, attraverso la nascita di Gesù, si era ormai instaurata tra Dio e gli uomini da Lui amati; un’umanità riconciliata, che avrebbe conosciuto l’amore di Dio attraverso la croce del suo Figlio. Celebrando ogni anno il Natale, si ravviva nel nostro cuore realmente questo mistero, col desiderio che questa pace ricevuta da Dio, a cascata cambi i rapporti tra gli uomini. La Chiesa, da duemila anni, annuncia questo ma la storia dell’umanità dice che quando prevale l’orgoglio e la volontà di potenza si scatenano le guerre, l’odio, la violenza. Il Natale non genera automaticamente la pace che annuncia; essa passa attraverso la libertà individuale che, spesso, purtroppo, volge al male, come vediamo anche in questi giorni in cui i femminicidi sembrano non aver fine.

Quali possono essere le “buone azioni” che le persone, partendo dal nostro territorio, possono mettere in atto per favorire l’incontro e la pacifica convivenza?

Uno slogan dell’ACR (Azione Cattolica dei Ragazzi) di tanti anni fa diceva “La pace si può, comincio io”. Il segreto è qui: non scoraggiarci se sembra che il mondo va a rotoli ma cominciare a chiederci: Dove posso cominciare io a seminare la pace? Qualche sera fa, in una trasmissione televisiva, fu invitata la madre di una bambina che aveva 11 anni quando, quarant’anni fa, fu uccisa dalla camorra mentre era in auto col papà magistrato, rimasto ferito nell’agguato. Questa donna, oggi, dice che la sua vita si è salvata perché ha imparato a non odiare e a perdonare. Abbiamo tanto da imparare da questa eroica testimonianza. Senza sacrifici personali la pace non si può costruire.

In ultimo, che ruolo gioca la religione, spesso presa a pretesto per azioni inumane, nella diffusione dei valori della pace?

In alcune religioni persistono tuttora forme di fondamentalismo violento dal quale anche noi cristiani, in passato, non siamo stati immuni. Queste distorsioni della religione nascono dalla pretesa di dover imporre a tutti i costi la verità in cui si crede. Il fondamentalismo, tuttavia, è residuale e la stragande maggioranza dei credenti vuol vivere in pace, avendo la possibilità di professare il proprio credo liberamente. La fede cristiana, che nasce dalla Croce di Cristo, un gesto di amore e di perdono, dev’essere sempre in prima linea – e lo è – nel promuovere la riconciliazione, opere di mediazione, gesti concreti di pace. La sfida, ancora una volta, è sul piano personale di ogni cristiano, che dovrebbe testimoniare con più convinzione questi valori nella sua vita quotidiana.

Alessandro Sabbatini

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