"Continuiamo a diffondere la memoria". Carlo Bronzi, presidente A.N.P.I., parla del 25 aprile

FERMANO - Una storia lunga più di 70 anni: è quella dell’A.N.P.I di Fermo, che al suo interno contiene tante altre storie, personali o di gruppo. “Abbiamo un archivio, per raccontare quanto ci è stato detto di prima mano, ci sono anche delle nostre pubblicazioni. Abbiamo raccolto diverse testimonianze e le abbiamo messe nero su bianco: sono e saranno sicuramente utili dal lato storico, ma soprattutto per le nuove generazioni. Lavoriamo molto nell’opera di conservazione e diffusione della memoria, anche con gli istituti scolastici” afferma Carlo Bronzi, presidente dell’A.N.P.I. fermana.

Qual è il vostro legame con le scuole? “Recentemente abbiamo portato il figlio di uno dei Fratelli Cervi nelle scuole medie e al Liceo Artistico. Inoltre, spesso nelle scuole parliamo della Resistenza locale, dei fatti avvenuti nel nostro territorio ed è successo che alcuni scoprissero cose che riguardavano la loro famiglia, come un nonno partigiano, sul momento. Allora c’era una mentalità diversa, non ci si metteva in mostra, si pensava fosse proprio dovere fare ciò che hanno fatto. È successo anche a me, non ho scoperto subito i dettagli della storia di mio padre, anch’egli partigiano. Inoltre, c’era ritrosia a parlarne perché sono fatti che hanno spaccato anche le piccole comunità, che pesano ancora oggi nei rapporti tra le persone nonostante siano accaduti 70 anni fa”.

Come nacque la Resistenza partigiana a Fermo? “Nacque da Leone Bernardi, un fermano che cominciò a organizzare questi gruppi che poi, pian piano, si rifugiarono sulle montagne. Uno dei primi gruppi d’Italia si formò ad Ascoli Piceno il 10 settembre del 1943, presso il Colle San Marco. Tant’è vero che ad Ascoli Piceno è andata la Medaglia d’oro della Resistenza. Da quell’esempio nacquero gruppi nel Fermano e nel Maceratese, come il Battaglione Batà, che si scontrò con i tedeschi a Montemonaco. In quell’occasione, morirono 14 partigiani e 2 civili. Questi ultimi furono uccisi perché uno dei due era armato perché guardiacaccia e con lui fu ucciso suo figlio di 16 anni. Un altro giovane che morì in quell’occasione fu Enrico Bellesi, fermano di 17 anni, che era a guardia di due prigionieri tedeschi. I partigiani inizialmente non lo volevano con loro, per la giovane età, ma lui insistette. Tanti di loro erano di Fermo e di Porto San Giorgio”.

Quando fu liberata Fermo dall’occupazione nazista? “La città fu liberata dopo 8 mesi di Resistenza, il 20 giugno del ‘44. Dal settembre del ‘43 i partigiani si occuparono soprattutto di sabotare le vie di comunicazione e di dare aiuto alla popolazione. Popolazione che ha avuto un ruolo attivo, soprattutto nella Valle del Tenna, salvando più di 3000 soldati alleati fuggiti dai campi di prigionia di Servigliano, Monte Urano e dell’ex Conceria di Fermo. Se li sono messi in casa, li hanno protetti per mesi e aiutati a fuggire poi con le barche dei nostri pescatori in Abruzzo. Esisteva una rete nelle nostre campagne, che gli inglesi chiamavano ‘linea del topo’, perché dovevano spostarsi da un casolare all’altro di notte. In seguito, venivano raccolti a Villa Salvatori e da lì venivano trasportati in Abruzzo per l’appunto, dove c’erano già gli alleati. Tra queste famiglie di pescatori, per esempio, c’era la Famiglia Campofiloni di Marina Palmense. Diverse di queste esperienze sono raccolte in libri di ex prigionieri come James KIllby”.

Furono salvati anche Ebrei? “Sì, delle famiglie rastrellate in zona trovarono in parte rifugio a Santa Vittoria in Matenano e anche qui a Fermo nel convento dei Frati Francescani dove Don Galli li nascose”.

Come vedono i partigiani più anziani, i contrasti della società di oggi, come quelli riguardanti l’immigrazione? “Loro dicono di aver accolto in casa persone che non conoscevano neanche la nostra lingua (si riferisce ai soldati alleati n.d.r.) e quindi, per loro, sono difficili da comprendere alcuni atteggiamenti”.

Come ricorderete quest’anno il 25 aprile? “Oltre al consueto appuntamento con le Istituzioni a Fermo nel mattino, la sera si terrà un concerto tenuto dal gruppo di Daniele di Bonaventura al Teatro Comunale di Porto San Giorgio. Lo spettacolo di chiama “Garofani rossi” ed è stato già portato a Berlino e Parigi e ripropone le musiche riarrangiate della Resistenza, non sono italiana, ma di tutto il mondo”.

Silvia Ilari

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