Uno 'Tsunami' di plasma per combattere lo tsumani Covid: a Fermo parte la sperimentazione sul siero iperimmune

FERMANO - Il nome dello studio, se messo in parallelo alla situazione vissuta a livello sanitario, è quanto mai emblematico: Tsunami, derivante dal più articolato “Transfusion of convalescent plasma for the treatment of severe pneumonia due to Sars.CoV2”. Un'attività di carattere sperimentale e multicentrica, coordinata dall'azienda ospedaliero-universitaria di Pisa e dal professor Francesco Menichetti, che vede nell'Area Vasta 4 di Fermo uno dei tre fulcri a livello regionale insieme a Pesaro e Ancona. L'obiettivo, come rimarcato in occasione di una videoconferenza, è valutare l'efficacia della somministrazione di plasma iperimmune con donatori guariti da Covid-19.

IL PUNTO DELLA DIREZIONE

Prima di lasciare spazio ai tre primari coinvolti, il direttore Licio Livini ha voluto rimarcare come quella attuale sia una fase di progressivo ottimismo, supportata dai numeri. “Siamo in un periodo di calma apparente, che però ci serve per riflettere e prendere lezione da quello che abbiamo vissuto da due mesi a questa parte”.

Tre, secondo Livini, i quadri abbastanza definiti. “Il primo è la necessità di dover conoscere la nostra popolazione, facendo test alla maggior parte delle persone, vale a dire tamponi e sierologici”.

L'altro aspetto è il rafforzamento del territorio. “È dove si combatte la malattia. Oltre alla Medicina generale ed alle Unità Speciali di Continuità Assistenziale, c'è il discorso prevenzione con gli isolamenti domiciliari. Tutto serve per contenere il fenomeno e su questo fronte abbiamo lavorato bene, anche se c'è ancora molto da fare”.

Terzo focus è quello riguardante la parte ospedaliera, l'ultimo baluardo di difesa dove “attraverso i vari servizi riusciamo a mettere una pezza forte all'evento”. “Lì si fa assistenza, si sperimentano i farmaci e si fanno cure importanti. Qualcuno dice che l'ospedale non si doveva sporcare. Io sono invece convinto che l'ospedale è un servizio che sta a disposizione della comunità e deve essere utilizzato quando serve, anche quando sappiamo che si può sporcare. Sapevamo che poteva succedere e che potevamo accogliere pazienti pesanti da un punto di vista clinico, che potevano contagiarsi i nostri operatori come è avvenuto in tutte le Marche e in tutto il mondo. Ad oggi, però, possiamo dire che questa Area Vasta ha posto tantissima attenzione sulla sicurezza dei lavoratori, con numeri molto rassicuranti. Voglio dire due volte grazie agli operatori che hanno messo l'anima e si sono contagiati. Qui facciamo sanità, facciamo assistenza, facciamo clinica e siamo pronti anche a queste evenienze”.

Infine, un aggiornamento sui numeri: alla serata di domenica 17 maggio sono 11 i ricoverati, di cui 2 in rianimazione, mentre Rsa e Inrca ospitano rispettivamente 78 e 23 persone. In isolamento domiciliare restano 172 soggetti, di cui 70 asintomatici, mentre sono 21 gli operatori sanitari in quarantena. E in totale, fuori dal Murri, sono state finora controllate 2.193 persone.

LA TECNICA DEL SIERO IPERIMMUNE

Il primo specialista a prendere la parola sulla sperimentazione del plasma è stato Giorgio Amadio, responsabile di Malattie Infettive all'interno del nosocomio fermano, che ha subito posto l'attenzione sulla precocità. “Ci siamo trovati di fronte ad una patologia sulla quale non abbiamo terapie riconosciute efficaci. Allo sviluppo di anticorpi si può arrivare naturalmente, con induzione attraverso un vaccino oppure inoculando degli anticorpi già fatti e quindi con un'immunità artificiale passiva”.

Anticorpi specifici, ha spiegato, che vengono presi da soggetti che hanno superato la malattia. “Sono già stati fatti studi e sperimentazioni in soggetti già in fase avanzata di malattia e intubati. Questa volta parliamo invece di un siero iperimmune (tecnica che utilizziamo da tantissimo tempo, quindi non una novità e che oggi applichiamo per le immunoglobuline verso epatiti e morbillo) da dare prima per non farli arrivare ad un ricorso della terapia intensiva, che è quello che ha messo in crisi il sistema nelle scorse settimane”.

La carica virale del Covid-19, infatti, si manifesta nella prima settimana, ma gli anticorpi vengono prodotti dopo 10-14 giorni e in quel lasso di tempo la malattia può fare ciò che vuole. “L'obiettivo dello studio non è solo di impedire di andare in rianimazione, ma anche valutare mortalità a 30 giorni, durata più breve del ricovero e se elimina più o meno rapidamente il virus”.

ARRUOLAMENTO E SOMMINISTRAZIONE

Il progetto prevede l'individuazione nello stesso territorio sia di un centro clinico che di un centro trasfusionale di riferimento. E a rispondere dell'attività di quest'ultimo è la dottoressa Giuseppina Siracusa. “L'altro braccio del protocollo siamo noi e abbiamo costruito due gruppi: uno di pazienti convalescenti segnalati dal dottor Amadio come ipotetici donatori e un altro gruppo di donatori periodici, anche loro ammalati e convalescenti”.

Già scremati i soggetti che sicuramente non potranno donare per motivi di età o per patologie concomitanti, da oggi si possono iniziare a prenotare le visite per l'arruolamento. “Prima verifichiamo se ci sono i requisiti per l'ammissione alla donazione, poi c'è la visita ed il sottoporsi ad esami e prelievi per capire se si può donare o meno. Fondamentale è avere un valore superiore a 160 di anticorpi neutralizzanti, altrimenti faremo donazioni inutili”.

Tutti i servizi trasfusionali della Regione, ha spiegato, fanno la prima selezione per poi inviare a Virologia di Torrette un campione per il dosaggio degli anticorpi neutralizzanti. “A questo punto il Trasfusionale prenota presso il polo reclutamento che comprende Pesaro, Ancona e Fermo. Il prodotto viene separato in 3 sub unità inattivate congelate e tenute a disposizione del clinico che verificherà la possibilità di somministrare o meno questo plasma o andare in altre sedi. Tutto serve per garantire la massima sicurezza del paziente e quando quest'ultimo prende la prima sub unità le altre due devono essere dedicate esclusivamente a lui”.

Un'attività che potrebbe portare alla realizzazione di una sorta di banca del plasma congelato, creando così una scorta per il rischio di ripresa dell'epidemia. “I nostri donatori periodici potranno anche essere deviati sulla donazione tradizionale, cosa che non si potrà fare invece per il paziente”.

IL DOSAGGIO DEGLI ANTICORPI

Salvatore Licitra è invece a capo dell'Unità Operativa Complessa di Patologia Clinica, il primo della catena che dovrà selezionare i possibili donatori da arruolare. “Il nostro laboratorio è sempre a disposizione per tutti e ci adopereremo per fare i test. Siamo già attivi con due strumentazioni per il dosaggio IgG. Siamo anche pronti da 15 giorni per il dosaggio degli anticorpi e abbiamo una certa esperienza, garantita anche dai circa 8.000 tamponi effettuati in questi due mesi”.

Mesi in cui l'attività normale è diminuita sensibilmente, come tutto il resto del settore sanitario, con una contemporanea impennata di quella inerente il Covid-19. “La maggior parte del personale è stata dedicata ad esecuzione di tamponi ed attività connesse. Adesso la speranza è che tutto si affievolisca, ma in questo momento non sembra essere quella la strada. Faremo tamponi a chi dovrà entrare in ospedali per interventi o indagini strumentali. Ma quello che mi fa stare più tranquillo è che ci siamo organizzati meglio, la fornitura dei materiali avviene con più regolarità e continueremo a dare questo servizio al massimo delle nostre potenzialità. In queste settimane abbiamo lavorato tutti in maniera indescrivibile, nonostante problematiche enormi; anche la sierologia va abbastanza bene e siamo in grado di sopperire alle carenze”.

IL TARGET

La fascia di età di chi potrà donare il plasma va dai 18 ai 60 anni, con i donatori periodici che possono raggiungere anche i 65 anni. “Abbiamo circa 20 persone contagiate che erano donatori che andremo a recuperare – ha spiegato Sicuracusa -. I casi potrebbero esserci a Ancona o Pesaro e la rete prevede di trasferire anche il plasma di Fermo”.

Sul fronte ospedaliero invece, come riferito da Amadio, al momento non ci sono pazienti che potrebbero beneficiare del trattamento.

“La terapia è efficace se la trasfusione avviene all'inizio della malattia - ha aggiunto Livini - e in questo momento non abbiamo pazienti di questo tipo. Il raccolto però viene conservato per diversi mesi, quindi non viene perso anche se non ci sono i riceventi”.

LE CONTROINDICAZIONI

Dopo una riflessione sulla possibilità da parte dell'Avis di fare test sierologici a tutti i donatori indipendentemente dal contagio (“É una cosa diversa rispetto al protocollo di cui stiamo discutendo e parlando con il presidente regionale mi è stato detto che c'è la volontà da parte dell'associazione di capire meglio come andare avanti e se questi test siano effettivamente vantaggiosi o meno”), la dottoressa Siracusa ha spiegato come il rischio per il ricevente del plasma sia quello di una trasfusione normale, con sintomi facilmente gestibili. “Ogni trasfusione può dare una reazione al ricevente e il plasma Covid non è differente dal plasma industriale che utilizziamo. Aggiungo, infine, che non si tratta di una terapia domiciliare”.

Anche Amadio ha parlato di poche controindicazioni e di una procedura consolidata. “Dobbiamo capire se funziona in questo caso, quindi se lo faccio ad alcuni ad altri no ci riesco, se lo faccio a tutti no”.

LA FORZA DEL VIRUS

Uno dei temi più dibattuti negli ultimi giorni riguardante l'ipotetica mutazione del virus. “Non abbiamo risposte certe dai virologi, non posso darle io – ha tenuto a precisare Amadio -. Al momento non ci sono studi che ci dicono che il virus è meno virulento e potente. Abbiamo adottato misure di contenimento, mettiamo mascherine e guanti, ci laviamo spesso le mani e questo sembra funzionare. Certamente, mentre prima eravamo tutti isolati, adesso uscendo potremmo imbatterci in nuovi casi ma potremmo avere un quadro più chiaro soltanto più avanti”.

I TEST RAPIDI

A manifestare una certa perplessità sui cosiddetti fast test è Licitra. “È fiorita una marea di ditte che hanno messo su questi test, noi li abbiamo provati, fatto confronti con tamponi e sierologia classica e posso affermare che non sempre corrispondono. Da medico di laboratorio preferisco la sierologia classica e ritengo che questa attività debba essere fatta da personale qualificato: non si tratta di un semplice buchetto sul dito e comunque in un caso positivo dobbiamo andare a fare il tampone perché è quello è il test che leva ogni dubbio”. Una presa di posizione sostenuta anche da Amadio. “I test sierologici vanno considerati complementari al tampone, che è l'unico esame che ci conferma il contagio”.

IL NODO PERSONALE PER IL COVID HOSPITAL

Intanto, sempre a proposito di personale, si resta in attesa di indicazioni più chiare per il personale che potrà essere impiegato all'interno del Covid Hospital di Civitanova Marche. Indicazioni che, ha sottolineato Livini, devono arrivare dagli organi superiori. “Al momento c'è solo un avviso su base volontaria che ha fatto l'Asur Marche, con un orario aggiuntivo che non creando problemi ai servizi sarebbe per noi la soluzione ottimale. Abbiamo un elenco di medici, infermieri e tecnici di radiologia, ma aspettiamo che quanto prima qualcuno deputato a governare questo percorso ci dia indicazioni più chiare”.

Andrea Braconi

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