Salute mentale, il Coronavirus cambia la cura: “Telefonate quotidiane, i pazienti vogliono sapere che ci siamo”

FERMANO - Quando raggiungo telefonicamente Mara Palmieri, ha appena chiuso l'ennesima conversazione con uno dei 2.500 pazienti in carico al Dipartimento di Salute Mentale dell'Area Vasta 4 che dirige. “Noi non siamo in prima linea, ma credo che il nostro contributo sia molto importante” precisa.

Cosa fa il vostro Dipartimento in condizioni normali? “Abbiamo un'area ospedaliera con un reparto, situato all'interno dell'ospedale, per il ricovero di situazioni urgenti, oltre che fare consulenze per i vari reparti e per il Pronto Soccorso. Poi c'è un'area territoriale che fa visite ambulatoriali, con la presa in carico dei pazienti da parte di equipe multiprofessionali. Questo comporta il visitare il paziente in base alla propria necessità: una volta alla settimana, una volta ogni 15 giorni, oppure mensilmente. Abbiamo visite programmate e, oltre alle visite mediche specialistiche, parliamo anche di interventi riabilitativi sul territorio da parte di educatori professionali, con una valutazione anche degli assistenti sociali per quanto riguarda i bisogni nell'ottica dell'integrazione socio sanitaria e con la rete territoriale, intendendo con questa Comuni, Ambiti Territoriali, con cui siamo sempre in stretto collegamento.”

Ci sono poi i centri diurni e molto di più. “Abbiamo anche due centri diurni, uno a Petritoli e uno a Porto Sant'Elpidio, una struttura residenziale in Via Zeppilli guidata dalla dottoressa Colarizi, due comunità alloggio in cogestione con il Comune di Fermo, un gruppo appartamento autogestito dai pazienti e un gruppo appartamento sanitario situato a Porto Sant'Elpidio. Un altro appartamento sociale è in attesa di essere aperto a Montegranaro, un progetto fermatosi con la situazione che si è venuta a creare. Abbiamo anche una consulenza presso la comunità protetta San Girolamo, dove inviamo i nostri pazienti.”

Cosa è accaduto dall'11 marzo, dal momento cioè dell'entrata in vigore dell'ordinanza del presidente del Consiglio? “Ha comportato immediatamente a noi del Dsm di riorganizzarci per trovare una modalità di cura importante, ma diversa da quella alla quale siamo abituati. Non potendo vedere i pazienti con una regolarità e sapendo che questa situazione può comportare problematiche in pazienti che partono da una fragilità di base elevata rispetto ad altri, con livelli di ansia alti ed altro ancora, la nostra preoccupazione è stata quella di riorganizzarci per evitare che andassero in crisi, continuando a dare un supporto a loro e alle famiglie.”

E come lo avete praticato questo supporto? “Da subito ci siamo attivati con visite telefoniche: quotidianamente i professionisti a tutti i livelli (infermiere, educatore, assistente sociale, medico) telefonano ai pazienti sul territorio e fanno, anzi, facciamo tutti dei colloqui. Così riusciamo a percepire come stanno e vediamo che questa cosa ci sta portando dei buoni risultati: stiamo gestendo bene l'emergenza e le situazioni più gravi con piccoli scompensi.”

Qual è il vostro obiettivo? “Che i nostri pazienti non vadano in Pronto Soccorso. Per questo cerchiamo di lavorare molto sul territorio attraverso telefonate quotidiane.”

E sta funzionando? “Al momento sì e sta funzionando perché il Dipartimento ha sempre lavorato sulla presa in carico effettiva dei pazienti. Questo significa stabilire una relazione con gli operatori e di conseguenza una relazione degli operatori con il paziente e con le famiglie. È un supporto valido perché c'è una relazione, appunto, costruita nel tempo. Abbiamo anche un buon rapporto con l'associazione dei familiari, Psiche2000, con cui quasi costantemente ci sentiamo per sentire il loro punto di vista, capire se e come correggere il nostro intervento.”

Per quanto riguarda le urgenze? “Le stiamo comunque facendo, come la somministrazione dei farmaci, qualche visita domiciliare per pazienti conosciuti e che in situazione di emergenza continuiamo a fare, così come le visite urgenti presso il Centro di Salute Mentale. Siamo sempre a disposizione dell'utenza, non ci stiamo tirando indietro.”

E la dottoressa Mara Palmieri come vive tutta questa situazione? “La mia responsabilità è di tutelare il paziente e gli operatori, trovando una modalità di lavoro e comunicazione che sia il più efficace possibile per l'utenza. In questa fase di paura generalizzata, noi operatori abbiamo anche un'attenzione verso tutta la popolazione che risente molto delle ansie del momento. Quello che cerco di fare come Dsm è di dare anche una risposta alla cittadinanza. È importante comunicare tra tutti.”

Come Dipartimento fate parte del Gores Marche. “Questo significa infatti fare un servizio di supporto psicologico alla cittadinanza, operatori sanitari, forze dell'ordine ed altri soggetti. Quello che rileviamo è che comunque l'ansia e la paura, questo vivere così limitante ed in solitudine, scatenano in ciascuno di noi preoccupazione, irritabilità, anche insonnia costante, cioè tutti sintomi di un post traumatico che necessita di essere sostenuto per evitare situazioni peggiori.”

Lei cosa consiglia di specifico al cittadino? “Intanto, da un punto di vista clinico è necessario parlare delle proprie paure, comunicare anche telefonicamente con i propri cari, cercare di avere un colloquio che permette di abbassare il livello di ansia. E se ci sono dei sintomi tipo un'ansia che comincia ad essere troppo elevata, un insonnia troppo marcata che poi si ripercuote anche durante il giorno, occorre farlo presente e senza vergognarsi al medico di base, oppure contattare noi professionisti della salute mentale per un colloquio psicologico, per valutare un minimo di terapia blanda d'aiuto per un superamento di questa fase. Insieme, naturalmente, ad altri consigli che abbiamo già dato: impiegare il tempo cercando di mettere in atto i propri interessi, limitare l'uso della televisione con notizie che terrorizzano, cercare di spostare l'attenzione su attività piacevoli che possono in qualche modo distogliere il pensiero.”

È sicuramente prematuro parlarne, ma questa emergenza ha fatto emergere qualcosa, un elemento, una modalità o altro che potrebbe in futuro aiutarvi a migliorare il servizio? “Quello che vediamo è che i nostri pazienti hanno bisogno di sapere che noi ci siamo. E questa modalità di confronto che abbiamo sperimentato è un qualcosa che può essere utilizzato. Penso ai pazienti che sono a domicilio e che non hanno attività riabilitative specifiche come i centri diurni: questo a distanza potrebbe essere un modo di dare possibilità di fare attività riabilitative importanti, ai fini di un miglioramento della sintomatologia e di un miglioramento della qualità della vita. Le attività sono fondamentali, i centri diurni adesso devono continuare anche a distanza le attività riabilitative, sono fondamentali per un miglioramento dei sintomi.”

Le lascio una riflessione finale. “In questo momento vedo l'unione degli operatori, il fare un corpo unico per far fronte a questa emergenza. Tutti ci siamo uniti per combattere questo problema, per cercare di fronteggiare il Covid-19 e per fare in modo che, comunque, i pazienti stiano il meglio possibile.”

Andrea Braconi

Ultima modifica il Lunedì, 06 Aprile 2020 17:25

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