Sanzioni alla Russia, aziende in sofferenza. L’economista: “problemi già dal 2003”

FERMANO - Dallo scorso 24 febbraio, giorno in cui l’esercito russo ha invaso l’Ucraina, in Italia sono cambiati i palinsesti televisivi, i titoli dei giornali, le discussioni. Tutto ruota intorno al conflitto. Tra i tanti argomenti correlati, è impossibile non osservare l’andamento dell’economia, visto il legame che le aziende nostrane hanno con il Paese di Putin.

Ne abbiamo parlato con Marco Marcatili, in forze come economista e responsabile dello sviluppo nella bolognese “Nomisma”, ma monturanese doc. Nonostante viva da tempo fuori regione, continua a curare progetti sul territorio e a studiare il Fermano. Le sanzioni adottate nei confronti della Russia, sono diventate la spina nel fianco di molti imprenditori.

Marcatili, a suo parere qual è settore più a rischio nelle Marche, alla luce dei recenti fatti? “Nella nostra regione i problemi sono iniziati nel 2003, da quando la Cina è entrata nel commercio mondiale; la pandemia e l’attuale situazione della Russia sono eventi secondari. Non esistono settori che vanno bene o male, ma imprese che vanno bene o male. Se osserviamo le Marche di 30 anni fa e quelle di oggi le aziende restano focalizzate su settori a basso valore aggiunto, come la calzatura, gli elettrodomestici e le costruzioni. Anche in Emilia Romagna sono gli stessi, come il biomedicale, il packaging, i motori con la Motor Valley. La differenza sta nel valore aggiunto, ovvero nel più alto tasso di innovazione. Pensiamo al calzaturiero: 20 anni fa era uno dei tre distretti d’Italia, oggi sono molte di più le aree concorrenti come Campania e Toscana. Sottolineo che, in merito alla Russia, nel 2021 pesava sul PIL nazionale per l’1,5% pari a 22 miliardi di euro. Per l’Italia in sé, le problematiche sono legate più a trovare forniture di gas e petrolio. Se guardiamo le Marche, l’incidenza aumenta al 20%. parlando di esportazioni, per un totale di 230 miliardi di euro. Anche settori come tessile, meccanico, chimico, ne risentono. Se guardiamo il Fermano, in particolare, vediamo che l’esposizione è a più di 40 milioni di euro. Qui in mezzo trovi imprese che hanno il 90% della produzione che finisce in Russia e le loro di difficoltà sono ancor più esasperate dal blocco dello swift”.

Lei ha nominato l’ambito calzaturiero. Diversi imprenditori sono in difficoltà, ha consigli? “La Russia è sempre stata instabile, può mandare su il fatturato velocemente, come farlo scendere velocemente. È necessario studiare e capire come rivolgersi a mercati come Cina e Stati Uniti e non sottovalutare l'e-commerce. Per un’azienda piccola, come ce ne sono molte, quest’obiettivo può comportare spese gravose, per questo è importante fare sistema. Sostenibilità e tecnologia sono ciò su cui puntare. Le nuove generazioni vogliono scarpe comode, di materiale riciclato. I tempi del commercio sono veloci e l’imprenditore deve esserlo altrettanto”.

Alcuni tra i calzaturieri auspicano ristori economici… “Al momento è il vice ministro dell'Economia e Finanze Laura Castelli ad escludere questa ipotesi, sostenendo che piuttosto è meglio pensare di convertire la produzione, adattandola ai gusti di nuovi mercati. La Russia ci metterà un po’ a rimettersi in piedi e con essa i buyer”.

Ricevere pagamenti in rubli: parliamo di cartastraccia? “Chiaramente sì. Questi sono quelli che si chiamano rischi geopolitici del mercato. Ci si può tutelare assicurandosi”.

Al di là dell’aspetto morale, conviene chiudere un’azienda delocalizzata in Russia? “Queste sono scelte imprenditoriali. Di certo è che delocalizzare, da 10 anni a questa parte, non conviene più. Chi fa questa scelta solo per il costo del lavoro, poi si fa male. Si devono guardare anche altri aspetti in prospettiva come design, rete commerciale, prodotto”.

Silvia Ilari

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