FERMANO - Quanto è importante il settore del cappello per la cultura e l’economia del nostro territorio? Molto, più di quanto immaginiamo. Dal punto di vista culturale, nei territori dell’interno fermano-maceratese, è una tradizione che si può toccare con mano; dal punto di vista economico basti pensare che l’intero distretto ospita più del 50% delle imprese del settore a livello nazionale: circa 85, con 1350 addetti al loro interno. Sono dati del primo semestre di quest’anno: rosei, se venissero lasciati così. Invece evidenziano una forte crisi, poiché nello stesso periodo del 2023 le imprese del cappello erano 123, e 150 prima della pandemia (fonte Federazione Italiana Industriali dei Tessili vari e del Cappello su dati Istat).
“È una crisi che ha investito l’intero comparto della moda dal secondo semestre dello scorso anno – spiega Ferruccio Vecchi di Confartigianato Fermo –, un calo che si è protratto per tutto quest’anno e che pare debba continuare. Infatti molte imprese hanno dovuto chiudere i battenti e c’è stato un grande ricorso alla cassa integrazione”.
Le cause non sono un arcano: la crisi internazionale, data dai conflitti russo-ucraino e in Medio Oriente, ha rallentato le esportazioni, che comunque sembrano reggere con un +1,4% rispetto al primo semestre 2023; il vero problema è rappresentato dal mercato interno dove l’inflazione, l’aumento dei costi per energia, materie prime e alimenti ha condotto ad un calo degli ordinativi anche del 30% per alcuni marchi, e ha portato anche ad una riduzione delle importazioni del 9,9%. “La possibilità di spesa di consumatori e famiglie si è ridotta – afferma lo stesso Vecchi – perché si è impegnati a coprire maggiori costi per settore energetico e alimentare. Sappiamo che fare la spesa oggi costa più di qualche anno fa, e a fronte di questa carenza da parte delle tasche dei consumatori, le prime cose che si tagliano sono i beni che fanno riferimento al nostro settore”.
Tra le cause va annotata anche la fine della cosiddetta “onda lunga”: il boom di ordini e consumi riscontrato con la fine della pandemia e delle sue misure restrittive; una cometa durata quasi due anni – 2021 e inizio 2022 – destinata ad esaurirsi e a far scontrare le imprese – quelle sopravvissute al Covid – con nuovi e vecchi problemi. Uno di questi riguarda la manodopera specializzata, con un occhio alle giovani leve: “Questo prima del Covid era un problema serio: non trovavamo maestranze da impiegare per sostituire chi andava in pensione. Ora è sentito meno a causa della crisi, ma sono sicuro che superato questo momento il problema si ripresenterà. I ragazzi si avvicinano malvolentieri al lavoro artigiano: le maggiori – comunque poche – assunzioni sono legate a manodopera extracomunitaria, perché gli italiani questi lavori non vogliono farli, nonostante le condizioni di lavoro non siano più quelle di 50 anni fa. Quello che possiamo fare in questo senso è continuare a coltivare i contatti con scuole e famiglie, per veicolare il messaggio che l’artigianato è un ambito altamente professionale e parte fondamentale del tessuto economico del nostro territorio”. Anche qui le cause del fenomeno potrebbero non essere così complesse da enunciare: le aziende hanno poche risorse, e ciò porta a poche assunzioni, e quelle poche con salari mediamente bassi, che in pochi accettano; il tutto unito, come dalle parole di Ferruccio Vecchi, ad uno stigma che ancora vige su questo tipo di mestieri.
Ma tornando alla situazione economica del settore, dato che il problema generale persiste da più di un anno, cosa è stato fatto dalle istituzioni per porvi rimedio? “Molto poco, tranne il ricorso alla cassa integrazione per le aziende con meno di 15 dipendenti, consumata quasi da tutte, e per cui adesso c’è stata un’ulteriore concessione di 8 settimane. Associazioni come Confartigianato e il CNA avevano richiesto altre misure, come la sospensione del rimborso dei mutui, del pagamento di alcune tasse, o proroghe per la restituzione dei Crediti d'Imposta, ma non sono state accolte. La mia impressione è che il tutto rimarrà lettera morta, ciò non farà altro che impoverire il nostro territorio”.
Danilo Monterubbianesi