Il fermano Andrea Santopaolo e il carbone dello Zambia, l'oro nero degli ultimi della terra

di Andrea Braconi

Andrea Santopaolo, 25enne fermano amante della fotografia sociale ed ambientale, con una laurea in ingegneria energetica, è partito per la prima volta per lo Zambia 4 anni fa, per sviluppare il suo progetto di tesi triennale, dove ha investigato e testato varie tecnologie per efficentare i metodi di cottura locali.

“Specialmente in Africa Sub-Sahariana - spiega l'autore del reportage fotografico 'L'oro nero degli ultimi', che sarà visitabile fino al 24 ottobre nello SpazioBetti di Fermo (dal lunedì al venerdì con orario 18-20) - i metodi di cottura tradizionali, hanno una scarsa efficienza di combustione e un elevata produzione di inquinanti indoor. Come riportato dall'OMS, l'utilizzo di combustibili solidi in sistemi di cottura poco efficienti è causa di quasi 3 milioni di morti premature l'anno”.

Per quale motivo ha voluto raccontare questo spaccato?

“Sono tornato in Zambia a Marzo 2019 per continuare il mio lavoro con l'ONG, Amani, che sviluppa progetti di accoglienza residenziale ed educativa per bambini di strada in Kenya e Zambia.

Qui il lavoro è diventato multidisciplinare, non solo tecnologie per efficentare i sistemi di cottura ma anche lo sviluppo di piani di fattibilità per creare realtà produttive in un ottica di impresa sociale. Vari son stati i progetti su cui mi son focalizzato, forse il più interessante è stato la possibilità di creare un sistema di produzione sostenibile del carbone di legna. Mi son quindi avvicinato a questo mondo dei carbonai diventando io stesso un carbonaio. Poi la mia curiosità antropologica del tema si è unita alla mia passione per la fotografia. Un giorno uscendo di casa vidi la prima carbonaia fumante, mi avvicinai ed iniziai a familiarizzare con le persone che vi lavoravano. In quel momento son corso a prendere la macchina fotografica e ho iniziato a scattare.”

Cosa ti ha colpito di questa dimensione?

“Quello della produzione e consumo del carbone di legna è senza dubbio un tema poco trattato se non in chiave accademica o di cooperazione internazionale. Nella realtà, e sopratutto in zone del sud del mondo, il carbone di legna è un oggetto che si tocca con mano, lo si vede ai lati della strada, è utilizzato così come noi utilizziamo il gas per cucinare ed è anche una delle principali fonti di profitto per chi vive nelle aree rurali. Soltanto a Lusaka, capitale dello Zambia, l'86% della popolazione, quasi 1 milione e mezzo di persone lo utilizza e contribuisce allo 3% del PIL del paese. Questo lavoro è quindi di ricerca e di investigazione di economie nascoste, agli occhi di noi europei, ed informali, ma allo stesso tempo di analisi del rischio ambientale che questa economia può generare, quale la deforestazione di vaste aree di foreste vergini.”

Cosa rappresenta per te questo lavoro, quali emozioni, quali ricordi genera?

“E' stato un lavoro di ricerca-azione durato più di 6 mesi. Da un lato passavo giornate intere fotografando e imparando dai carbonai zambiani le loro tecniche per produrre carbone, dall'altro cercavo di efficentare i loro metodi per ottimizzare la loro produzione, sensibilizzandoli ad utilizzare altri tipi di biomasse, più sostenibili. Il fulcro dello sviluppo del progetto fotografico è stato Francis, un ex minatore e carbonaio zambiano con cui ho passato diversi mesi per seguire tutto il processo di produzione del carbone. Poi fortunatamente ho avuto modo di presentarlo ad un associazione zambiana che ha come mission la riforestazione di alcune zone dello Zambia, tramite un processo virtuoso di generazione di reddito. Ora Francis, non taglia più alberi per produrre carbone ma ne pianta per garantire un futuro più sostenibile ai suoi figli. E' stato emozionante fotografare, poco prima di tornare in Italia, Francis mentre si prendeva cura di varie piante indigene pronte per essere piantate.”

In una fase storica di voracità comunicativa virtuale, perché hai scelto la modalità del reportage?

“Ho deciso di utilizzare lo strumento del reportage e dello story telling perché lo reputo necessario ed esauriente al fine dell'approfondimento di determinate tematiche. Non è facile portare avanti progetti fotografici di lungo periodo perché ad oggi le grandi testate giornalistiche richiedono immagini spot e approssimative nel raccontare fino in fondo i processi sociali che si creano.

Son stato fortunato a poter unire il mio lavoro con la passione fotografica. In Zambia, le storie da raccontare son molteplici e non appena si gira l' angolo si scopre qualcosa di nuovo. Cose che potremmo definire strane ma che vanno investigate per capire a pieno le loro dinamiche. Mi sentivo in dovere di riportare il più possibile quello che vedevo. Tanta è la voglia di tornare in quel paese per documentare altre storie che mi hanno sorpreso, solo per citarne alcune: la massiva colonizzazione culturale ed economica cinese, manicomi in cui vivono persone omosessuali o con deficit d'apprendimento, l' esplosiva influenza e diffusione di chiese pentecostali e lo stravolgente mix di cultura occidentale e rituali locali.”

Anche la scelta di esporre nello Spazio Betti ha una sua motivazione specifica.

“Lo Spazio Betti è uno spazio di innovazione sociale, di aggregazione giovanile e di quartiere con un grandissimo potenziale, ciò che da troppo tempo non si vede in questo territorio. Questo lavoro dal tema ambientale e sociale credo che ben si abbini alla mission che questi spazi cercano di adempire. Occorre ad oggi parlare con sempre più entusiasmo e dedizione di ecologismo ed ambiente in tutte le sue forme, dal suo sfruttamento alla promozione di esperienze virtuose di utilizzo delle risorse naturali. Lo Spazio Betti può ritessere le maglie di un tessuto giovanile, per creare un azione locale di riqualificazione urbana tramite la trasmissione di saperi ed esperienze globali. C'è un detto africano che dice: 'Se vuoi andar veloce, vai da solo. Se vuoi andar lontano, vai insieme'. Credo che l'innovazione sociale oggi più che mai si deve ricercare nella creazione di comunità e associazioni che hanno come obiettivo rendere gli spazi in cui viviamo un luogo migliore.”

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