Fermo tra Papato e Impero (secc. XI-XII). Continua il viaggio nella storia della città

FERMO - Nuova puntata della rubrica tenuta nel Corriere News dal Prof. Pier Luigi Cavalieri. Lo studioso analizza Fermo tra Papato e Impero (secc. XI-XII)

L’egemonia politica dei vescovi sulla Marca fermana continuò ad affermarsi con l’episcopato di Ermanno (ante 1046 - 1052), toccando l’apice con quello di Udalrico, o Ulderico (ante 1055 - 1074). Quest’ultimo presule promosse la riforma gregoriana del clero, limitò la diffusione di chiese e monasteri privati e fece acquisire alla diocesi fermana vasti patrimoni a spese dell’abbazia di Far-fa e di altri enti monastici. Alcuni documenti attribuiscono una funzione chiave in questa opera di rafforzamento dell’autorità vescovile all’avvocato Firmone, il quale, tra le altre sue iniziative, sot-trasse le chiese di S. Silvestro e di S. Leucio fuori la porta (oggi nell’area di Campoleggio) al con-trollo dei benedettini farfensi di Santa Vittoria. Nel 1075 la dichiarazione di papa Gregorio VII (Dictatus papae) che proibiva all’imperatore di nominare vescovi diede origine alla lotta per le investiture che si sarebbe protratta fino al 1122 e che avrebbe toccato anche la sede episcopale fermana. Non è un caso che proprio nel 1075 il vesco-vo Pietro I iniziasse a concedere vaste autonomie a diversi castelli, soprattutto a nord del Chienti. Civitanova fu la prima ad essere affidata dal presule, per quanto riguarda la difesa esterna e l’ordine pubblico, a una famiglia feudale locale, gli Aldonesi. Pietro I sottoscrisse il patto con gli homines di Civitanova mentre l’imperatore Enrico IV stava per esautorarlo a favore di un presule da lui nominato. Pietro allora cercò in extremis l’appoggio dei vari signori detentori di un potere di fatto nell’ambito della Marca, riconoscendo la legittimità dei loro domini e ricevendo in cambio la fedeltà nei suoi confronti. Tuttavia, ciò non avrebbe impedito a Enrico IV di insediare ugualmente al suo posto un vescovo scismatico di nome Wolfgang (italianizzato in Gulfarango), il quale a-vrebbe ricoperto la Sede fermana fino al 1079.

1080: il Fermano perde le terre fra il Tronto e il Sangro

Nell’arco di un secolo che va dall’883 al 1080 Fermo fu la capitale amministrativa di un territo-rio oggi in parte marchigiano in parte abruzzese delimitato a nord dal fiume Musone, a sud dalla valle del Sangro, a est dal mare e verso l’interno in modo molto frastagliato dagli Appennini. La conquista dell’Italia meridionale da parte dei Normanni, avvenuta gradualmente nella seconda me-tà dell’XI secolo, portò a un deciso ridimensionamento di questo territorio. Ciò avvenne a causa della politica, seguita da diversi pontefici dopo il 1053, volta a stabilire un’alleanza con i Normanni per difendersi dagli attacchi degli imperatori. Dopo occupazioni a più riprese della parte abruzzese del territorio fermano da parte degli stessi Normanni, in seguito agli accordi di Ceprano del 1080 papa Gregorio VII riconobbe formalmente al loro duca Roberto il Guiscardo il possesso di quelle terre. Fu tracciato così per la prima volta sul fiume Tronto un confine politico-amministrativo che avrebbe resistito per 800 anni, fino all'Unità d'Italia (ma che è ancora oggi riconosciuto come confi-ne regionale).

Dalla concessione delle autonomie al nuovo scontro tra Papato e Impero

Tra XI e XII secolo si andarono formando nel Fermano un gran numero di castelli controllati spesso dal vescovo, ma talvolta anche da signori di origine longobarda o franca. La concentrazione di questi centri nell’ambito della diocesi di Fermo è davvero notevole: si stima che durante il XII secolo il 70% dei centri fortificati marchigiani era collocato in quest’area, in particolare tra i versan-ti collinari affacciati sul medio corso dell’Aso e del Tesino. Il fatto che molti di questi centri dipen-devano dal vescovo portò all’affermazione di precoci autonomie locali, che il presule, diversamente dai signori laici, era propenso a concedere. Si è citato il caso di Civitanova: analoghe concessioni sarebbero state fatte dai vescovi fermani anche a Montolmo (Corridonia, 1115), Poggio S. Giuliano (parte di Macerata, 1116), Sant’Elpidio (1191) e Marano (Cupra Marittima, 1194). Le autonomie locali si accompagnavano allo stabilirsi o al rinsaldarsi di rapporti vassallatici tra vescovo e signori rurali, il che consentiva al primo di disporre di milizie a lui fedeli. Tra le principali conseguenze che ebbe il notevole peso politico acquisito dai vescovi fu la tardiva affermazione del Comune di Fermo che, ancora all’inizio del Duecento, non disponeva di un contado, limitandosi a controllare la sola città.

Seguendo la successione dei vescovi, nel 1083 l’antipapa Clemente III (nominato da Enrico IV) impose come presule Ugo Candido, che mantenne il suo ministero fino al 1089. Seguirono i vesco-vi Azzo (1089-1119), Grimoaldo (1122-?), Alessandro (1126-27) e Liberto (1128-45). Quando si giunse a un nuovo scontro fra Papato e Impero (cioè tra Alessandro III e Federico Barbarossa) il vescovo di Fermo Baligano (1145-1167) si schierò per l’imperatore e prestò obbedienza all’antipapa Vittore IV. Le ragioni di una tale scelta stavano nelle origini familiari di Baligano, fi-glio del conte Giberto, uno dei tanti signori territoriali legati all’Impero. Alla morte di Baligano il successore Alberico (1174-?) si riavvicinò alla Chiesa provocando la reazione di Federico Barba-rossa, le cui truppe guidata dal cancelliere imperiale Cristiano di Magonza assediarono Fermo nel settembre 1176 e, secondo alcune fonti, dopo averla conquistata la saccheggiarono. La città, tutta-via, non dovette subire una completa distruzione poiché appena l’anno seguente il Barbarossa resti-tuiva ai fermani i diritti e i beni loro sottratti durante la sua presunta distruzione destinata a rimanere negli annali della storia cittadina.

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