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Disegnare la Fermo museale. Riflessioni e proposte del vice sindaco Francesco Trasatti

di Andrea Braconi


FERMO - Sono due le linee sulle quali lavorare per dare corpo ad una Fermo sempre più attrattiva: da un lato connotare ogni spazio della città con una proprio identità; dall’altro un confronto che porti a disegnare la città museale del futuro. “Vogliamo ritornare un po' allo spirito delle Stanze della Luna - sottolinea il vice sindaco Francesco Trasatti - legando piazze, vicoli e chiostri ad eventi ed incontri, dando quindi un senso di cultura diffusa”.

C’è poi la questione strutture. “L’idea è quella di costituire un tavolo di lavoro che non si limiti all’esistente. Cosa rappresenterà Fontevecchia? Cosa rappresenterà la Chiesa di San Filippo? Cosa rappresenterà la Sala Incontri insieme a quella delle Piccole Cisterne? E’ ipotizzabile una riqualificazione di Villa Vitali o si possono portare le collezioni in centro per creare un unico grande polo, puntando ad aumentare una presenza turistica che a Villa Vitali sembra essere sacrificata? Sono tutte riflessioni che devono essere oggetto di un’analisi condivisa e partecipata, non solo tra forze politiche ma tra operatori e associazioni. E penso a Sistema Museo, Italia Nostra, Archeoclub e a tanti altri. Per dire, c’era stato un interscambio sul fatto che il Museo Archeologico di Fermo potesse trovare collocazione in una parte del restaurato Fontevecchia sopra le Cisterne Romane, affinché quello potesse diventare un unicum da un punto di vista storico. E poi, con il trasferimento della sede dei Vigili Urbani, oramai prossimo, si libereranno altri spazi: come vogliamo impiegarli? Il concetto, quindi, è: stati generali per disegnare la Fermo dei musei entro cinque anni”.

E il mondo della scuola come può entrare in questo meccanismo? “Bisogna ragionare con meccanismi elastici e innovativi, confrontandosi. Qui posso ragionare sulla piacevole esperienza dell’alternanza scuola/lavoro, che sta avvenendo tra Liceo Classico e Biblioteca. Questa esperienza viene sempre associata agli istituti tecnici, ma in realtà i feedback da parte degli studenti sono molto positivi, così come da quelli del Liceo Artistico, anch’esso coinvolto. Connotare l’alternanza scuola/lavoro in questo modo, sfruttando la struttura principe che è la biblioteca comunale, è entusiasmante: vedere i ragazzi che vengono a contatto con i libri antichi, che li sfogliano, che comprendono come avviene la loro conservazione e catalogazione. E si appassionano talmente tanto che poi è difficile andare via. Questa è una sinergia che potrebbe essere sfruttata e sulla quale costruire un percorso concreto. Si parla anche dell’alberghiero e del turistico, di come implementare la formazione per poi offrire più opportunità di fruibilità degli spazi. Dal mio punto di vista, perciò, occorre mettere in campo con le scuole dei meccanismi che permettano agli studenti di conoscere meglio il nostro patrimonio, di fare esperienza e di conseguenza alla città di usufruire di questo entusiasmo”.

In questo quadro progettuale di grande interesse, quanto pesa il rammarico della perdita del corso di laurea di Beni Culturali? “Il rammarico è grande. Forse questa presenza si sarebbe dovuta sfruttare ancora di più di quanto si è fatto. Certo, sono stati fatti sforzi per tenerla, ma questa perdita dovrebbe darci lo stimolo per riflettere sulla connessione tra formazione e lavoro. Le professioni museali, archivistiche, bibliotecarie, culturali, turistiche e quelle riguardanti il management aumentano, i ragazzi che si gettano in questi percorsi di studio aumentano, il business generato da questo comparto oramai per il nostro Paese è vitale. Ma nonostante questo la strategia resta completamente assente”.

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