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Dai Covid Team alle Usca: numeri e voci della 'Santa Alleanza' tra medici di base e Area Vasta 4

FERMANO - La medicina di prossimità fa sentire la propria voce e si racconta attraverso l'esperienza diretta, vissuta in questi ultimi 3 mesi. Una voce riverberata attraverso l'Area Vasta 4, a sancire quella che Vittorio Scialè, direttore del Distretto, ha definito una “Santa Alleanza”, scomodando un film celebre come il “Braveheart” di Mel Gibson. “Lo dicevo qualche giorno fa ad un incontro con giovani medici: più dell'amore poté la guerra – commenta Scialè -. Nella relazione con i medici di medicina generale ci sono sempre stati dei grandi contrasti, momenti di frizione anche avanzata e quindi mi è venuto in mente proprio 'Braveheart', dove clan scozzesi che per anni si erano combattuti quando sono stati invece chiamati ad una sorta di rivoluzione contro il nemico inglese si sono uniti. A quel punto l'alleanza era una saldatura che non poteva più discongiungersi, un patto per non solo il presente ma anche per il futuro”.

E una nuova unione è stata sancita anche nel Fermano. “Non c'è mai stata in questi termini ed è quindi indispensabile che questa santa alleanza contro il Covid diventi un elemento strutturale. Non bastano solo riunioni ma servono progetti concreti. E da domani quello che abbiamo fatto durante l'emergenza deve diventare strumento di lavoro comune. Perché indietro non si torna”.

Sulla stessa lunghezza d'onda il direttore Licio Livini, che rimarca come i colleghi di Medicina generale abbiamo saputo mettere in campo percorsi organizzativi fatti di professionalità, gestendo con sapienza la difficile fase operativa. “Sono stati un punto di riferimento per malato e famiglia, oltre che per il sistema di assistenza territoriale, insieme a tutti i nostri operatori, risultando determinanti in diverse situazioni”.

Insomma, una sinergia organizzativa tra medicina convenzionata e Area Vasta 4 che ha permesso a questo territorio di attutire il colpo rispetto ad altre realtà italiane che hanno fatto registrare numeri peggiori ed evidenti contrasti nella gestione dell'emergenza.

DAI COVID TEAM AT HOME ALLE USCA

Attraverso un articolato documento, il dottor Paolo Misericordia illustra il lavoro svolto, cercando anche di rimodulare la visione di una medicina del territorio valutata su estrapolazioni che non hanno dato il senso di quanto effettivamente fatto. “Il nostro lavoro è stato stravolto in questo periodo, i nostri ambulatori sono arrivati ad essere semi deserti ma è stata attivata una serie di multicanali che ci hanno permesso di avere un quadro della situazione. Possiamo dire che in questa fase medici e Area Vasta 4 hanno spinto in un'unica direzione”.

Già il 12 marzo, ricorda Misericordia, sono stati creati due Covid Team at Home (CTH) precursori delle Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale. “Nel resto d'Italia si era in sofferenza senza trovare la risposta giusta ma noi abbiamo subito ragionato su un'esigenza indifferibile: andare a casa a vedere le persone e ci siamo riusciti tempestivamente”.

In un momento drammatico per l'impatto del virus, è emersa anche la difficoltà di approvvigionamento di dispositivi di protezione individuale rispetto alle reali esigenze. “Bisognava farsi venire un'idea per ottimizzare l'uso e massimizzare le procedure, per questo abbiamo subito strutturato un sistema medico / infermiere centralizzando l'uso dei dispositivi”. Medico ed infermiere che arrivando a casa del paziente sulla base di una segnalazione indossavano i dpi fuori, per svestirsi sempre all'esterno. “In questi casi si va sempre in due e c'è di fatto una criticità logistica. Ma se non ci fosse stato aiuto reciproco nel monitorare le procedure previste per proteggersi sarebbe stato un disastro. Noi rivendichiamo una visione: non ci siamo fermati a protestare per la mancanza dei Dpi, sarebbe stato comodo e poco risolutivo. In quel momento non c'erano in Italia e non c'erano neanche all'estero. Negli Stati Uniti, pur avendo avuto più tempo rispetto a noi, i santari hanno adoperato dei sacchetti di plastica”.

Una lungimiranza, quella di lavorare subito con una sistema che garantisse una presenza sicura del medico a domicilio, che secondo il dottore ha permesso di evitare disastri. “In diverse parti d'Italia i medici contagiati hanno dovuto lasciare scoperte intere zone e poi fare da ulteriore catalizzatore nella diffusione della patologia”.

A coordinare l'iniziativa il dottor Vincenzo Landro. “Siamo stati subiti disponibili ad attivare una strategia per risolvere un problema che ci è arrivato addosso in maniera violenta. Ringraziamo Livini e Scialè che ci hanno supportato, mettendo in campo i loro mezzi: insieme siamo riusciti effettivamente a fare squadra, risolvendo problemi che sarebbero potuti diventare piuttosto importanti, come purtroppo avvenuto in altre parti d'Italia”.

Quindi, è il sunto del dottor Giovanni Olimpi, un piccolo gruppo di 4-5 medici ha capito che eravamo di fronte ad un problema nuovo, di cui si sapeva molto poco, e ha agito tempestivamente.

"Ci sentivamo spesso e vedevamo giorno per giorno quelle che erano le criticità: questo ci ha permesso di creare un team per le visite domiciliari, perché queste persone bisognava andare a vederle, con tutte le protezioni necessarie e mai da soli. Il nostro è un gruppo di lavoro che stiamo mantenendo in campo e l'augurio è di estendere con Distretto e Direzione aziendale la modalità con incontri periodici per discutere insieme. Permetterebbe di affrontare le problematiche in modo migliore, anche perché abbiamo gli stessi obiettivi: la salute e la cura dei nostri pazienti”.

Per comprendere meglio l'impatto del virus bisogna andare oltre l'ospedale e capire cosa è accaduto nel territorio. “Questa nostra esperienza – afferma la dottoressa Noemi Raffaelli – va raccontata e serve per cercare di gestire evenienze successive. Speriamo che l'emergenza sia finita così, ma questo tipo di collaborazione ed integrazione tra territorio, parte distrettuale e servizi ospedalieri non può venire meno: è l'unico modo per capire quali sono gli strumenti migliori. E se ci fosse stata la possibilità di avere un rapporto di consulenza probabilmente avremmo potuto gestire tutto in maniera ancora più efficace. Questo non è stato possibile perché in una settimana si è stravolto tutto nel territorio”.

PARLANO I NUMERI

Dal 12 al 31 marzo i due CTH operativi hanno effettuato 97 interventi a domicilio, a fronte di 256 chiamate. “Siamo stati i primi nelle Marche, anche ad attivare le successive Usca che dal primo al 30 aprile hanno fatto 101 interventi a domicilio”.

Altra iniziativa intrapresa è stata quella dei tamponi diagostici prenotati direttamente dai medici di Medicina generale, con un sistema drive in su prenotazione collocanto nella zona antistante la pista di atletica della città capoluogo. In totale, nel Fermano a fronte di 1.123 tamponi richiesti dai medici di Medicina generale, ne sono stati eseguiti 1.110.

C'è stata poi l'indagine interna attraverso un questionario, alla quale hanno preso parte 68 medici, pari al 56% del totale per una popolazione assistita di quasi 92.000 abitanti. Sulla base delle informazioni relative allo stato di salute, i medici hanno stimato un range tra gli 800 e i 900 casi contagiati, di cui 354 gestiti (306 direttamente dagli stessi medici). Di questi 154, cioè il 44%, hanno fatto ricorso al Pronto Soccorso, con ricovero per circa 100 di loro e la metà in terapia intesiva. Quarantesei, invece, sono i casi di decesso, di cui l'85% in ospedale e i restanti a domicilio.

Infine, da un lato Misericordia fa il punto sui soggetti (circa 1/3) che hanno avuto sintomatologie riconducibili al Covid-19 per i quali non è stato possibile eseguire il tampone; dall'altro illustra il cambio di atteggiamento terapeutico sulla base delle conclusioni fatte anche dalla comunità scientifica, con un aumento idrossiclorochina e EBPM (Eparine a basso peso molecolare).

È GIÀ FUTURO

La ripartenza dei servizi sanitari, come precisato da Livini, sta avvenendo per step. “Stiamo chiudendo il documento che riprogramma tutte le attività e fa ripartire i servizi messi in parcheggio 3 mesi fa. Qualcosa è ripartito, però siamo molto cauti e lo vogliamo fare in maniera progressiva senza farci prendere dalla fretta”. Percorsi, ribadisce, che devono essere rivisti in un'ottica organizzativa diversa, con distanziamento, percorsi dedicati, spazi diversi, tutela per viene e chi opera. “Questo complica e rallenta le risposte alle necessità che ci vengono rappresentate, ma cerco di trovare qualcosa di positivo: abbiamo fatto una riflessione e abbiamo compreso che c'era inappropriatezza, con visite richieste senza una priorità immediata. Oggi occorre riprogrammarle e rimetterle in un percorso. I numeri sicuramente cambieranno e arriverà qualche suggerimento importante per tutti noi”.

A modificarsi sarà anche il rapporto con il medico di base. “La nostra sanità sicuramente deve rivedere i percorsi accorciando per quanto possibile le tappe che portano alla visita: c'è una serie di poi che a volte non finiscono mai e per questo alcune funzioni potrebbero essere accorpate, perché oggi la presa in carico deve essere garantita a tutti. Ci sono anche nuovi mezzi che possono semplificare il percorso, a partire dai pagamenti e dalle prenotazioni”.

La conferma arriva da Misericordia, che spiega come il cambiamento sia già tangibile. “Noi stiamo cambiando, sta cambiando il rapporto con l'utenza e l'accesso al nostro studio: i pazienti arrivano per appuntamento, viene utilizzando il sistema mail per inviare le ricette e c'è un contatto preliminare telefonico. Il problema delle persone anziane? C'è sempre un qualcuno nelle case che riesce a dar seguito a queste cose, quindi siamo fiduciosi. Vanno potenziati tutti i sistemi di contatto con lo studio, per questo sono state aumentate le linee telefoniche a disposizione e si sta parlando dell'adozione di piattaforme per estendere il rapporto con gli assistiti”.

Il prossimo progetto, frutto anche di una prima riunione con Diabetologia, Endocrinologia e Oncologia, è quello relativo alla possibilità di attivare il teleconsulto per scambiare e dare seguito ad una valutazione di ordine specialistico, con il medico di famiglia che mantiene il livello di centralità nella relazione. “Come sistema stiamo facendo dei passi da gigante rispetto all'utilizzo delle tecnologie, percorrendo dei tratti che non eravamo riusciti a percorrere in vent'anni. Il problema è consolidare quello che siamo riusciti a fare, dando nuova evoluzione a questi processi”.

Andrea Braconi

Ultima modifica il Venerdì, 29 Maggio 2020 20:05

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