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Mercato di ieri, mercato di oggi

IL MERCATO: METAFORA DI UN'EPOCA SCOMPARSA

Era, quando ero bambino, uno degli appuntamenti che scandivano la vita della mia e di altre città del territorio: il Mercato. L’altro, a Fermo, era il suo omologo: la fiera. Due appuntamenti immancabili: uno il giovedì, l’altro il sabato. Parlo di Fermo perché è la realtà che ho vissuto, ma il discorso vale per ogni paese arroccato sui cocuzzoli di questa nostra terra o disteso lungo le sue coste. Insomma, Fermo come metafora di certe attitudini, di certe tradizioni, di certe realtà sociali ed economiche. Erano i canoni di una società antica, medioevale che, per quanto riguarda il mio “natio borgo selvaggio”, aveva resistito bene grazie anche al nome della città che la ospitava: Fermo, onomatopea per eccellenza, nel senso della stabilità.

Le tradizioni sono dure a morire, per fortuna o purtroppo; tutt’al più si modificano, per una serie di fattori che vanno di pari passo con l’evolversi o l’involversi del tessuto socio-economico, con la perdita della memoria dei luoghi che le ospitano. Comunque, le tradizioni restano, pur se pallide ombre rispetto a un passato glorioso quando, finché ne ho memoria, sulla Piazza si succedevano generazioni di venditori, con le loro più svariate mercanzie: vendute all’aperto sotto cieli azzurri o grigi, nel caldo afoso dell’estate e nel gelido freddo invernale. I mercati erano il cuore pulsante delle città, dei paesi, la fonte di “approvvigionamento” di tutto quanto serviva alla vita specialmente dei ceti medio-bassi, perché i negozi erano appannaggio quasi esclusivo di quelli alti.

E irrompono, teneri e nostalgici, i ricordi: all’inizio le bancarelle erano di legno e ogni paese ne aveva la sua dotazione. Riposavano per tutta la settimana in magazzini comunali e quando arrivavano i giorni di mercato e gli ambulanti con le loro merci, venivano tirate fuori alle prime luci del mattino e allestite nella piazza. A Fermo, la loro “casa” era in un antico deposito nel vicoletto del Comune (l’attuale Palazzo dei Priori), dove il giovane “Vincè de Piazza” e suo padre le tiravano fuori all’arrivo degli ambulanti e poi tornavano a stiparle a mercato finito: erano una presenza caratteristica e indispensabile, loro e il loro carretto, col quale trasportavano con abilità e sapienza i pianali dove si esponeva la merce. E il pavimento della Piazza diventava un turbinio di carte di vecchi giornali: perché allora così si incartava la merce, i comodi e, ahimè, immarcescibili sacchetti di plastica erano di là da venire, non avevano ancora impestato terre e mari. Fin dalle prime ore mattutine la Piazza era piena di gente: quella di città e quella che veniva dalle campagne e dai paesi vicini. Che meraviglia quella processione di carri tirati da bianchi e possenti buoi dalle grandi corna, con i contadini ancora vestiti nelle fogge tradizionali che arrivavano scalzi fino alle basse pendici del paese, poi si lavavano i piedi alla prima fontanella e si mettevano le scarpe solo prima di entrare nell’abitato.

Di solito, il mercato soddisfaceva quasi tutte le esigenze del vivere quotidiano, ma anche i negozi ne giovavano: piene le bancarelle e pieni i negozi, a quei tempi le une non facevano concorrenza agli altri, c’era spazio per tutti. Era un’Italia indubbiamente diversa, dove si respirava la voglia di fare, di crescere, di rialzare la testa dopo la brutta parentesi della guerra. C’era spazio per tutti, e i sogni erano pane quotidiano e non costavano niente, anzi: allora capitava spesso che si realizzassero, la speranza per un futuro migliore non era una chimera, anche perché ci si accontentava di più, tutto ciò che sopravanzava la pura sopravvivenza era vissuto come un dono. Oggi i sogni non ci sono più, distrutti da una distorta società dei consumi abilmente strumentalizzata da un sistema socio-politico avido e corrotto: che, a forza di promettere il “bengodi”, ha obnubilato e distrutto le coscienze, la consapevolezza di sé e di ciò che è giusto e necessario.

E alla vitalità di quegli anni si è sostituita una acquiescenza da vecchi senza presente e senza futuro, frustrati persino nelle loro necessità primarie: lavoro e dignità. Come ci hanno ridotto e addormentato! E allora, via con la nostalgia: santo mercato del sabato! Quando la vita scorreva nelle strade come il sangue generoso e forte nelle vene di un bambino. Era la forza ancestrale di un popolo che voleva vivere e lo faceva senza pensarci troppo, senza chiedere troppo, passionale e istintivo, ma concreto. Un popolo che incartava le scarpe nuove con un foglio di giornale vecchio, ma comunque le scarpe le portava a casa: come un tesoro che, allora, ci si poteva permettere.

Daniele Maiani


IL PASSATO CHE NON RITORNA

Gli anni passano, ma la moda e la grande passione per il mercato cittadino resta sempre la stessa. Ciò è una verità che, dal nord al sud d'Italia, non lascia scampo a nessuno, eccetto ai piccoli centri storici fra cui l'affascinante fermano. Già, perchè molto spesso non basta il cosiddetto “buon affare” ad attrarre il visitatore, bensì occorre mettere in campo un coro di servizi e comodità non sempre presenti.

Quali sono le problematiche del mercato fermano? "La città di Fermo presenta numerose difficoltà che fanno però capo ai moltissimi centri storici d'Italia”, spiega il veterano esercente Renzo Cutrina. “Infatti – continua – l'ambiente, ahimé, è sfavorevole alla frequentazione e al passeggio poichè troppe sono le salite che spesso impossibilitano le tante persone anziane che fanno parte della comunità fermana. Inoltre, il mercato di Fermo si presenta 'scollegato' all'occhio del possibile acquirente; le postazioni delle bancherelle sono sparse quà e là (Piazza del Popolo, Viale Vittorio Veneto e Piazzale Azzolino), non presenta una continuità di operatori. Ciò spesso induce il cliente a dirigersi esclusivamente da un commerciante mirato senza dare l'opportunità di proseguire lo shopping. Il mercato, dunque, sembra stia pian piano peggiorando. Chi poteva si è comperato un'autorizzazione su mercati più grandi, altri preferiscono restarsene a casa anzichè 'aprire e chiudere bottega' a Fermo e quest'ultima opzione ben suggerisce la pessima aria che si respira".

Perchè il mercato di Porto San Giorgio funziona? "Mi permetto di rispondere così: perché è tutto in piano. Alla partenza erano alla pari; dopo, Porto San Giorgio ha fatto più strada. Non so spiegarne il vero motivo, ma di certo l'ambiente è più favorele, a cominciare dal terreno pianeggiante, dai numerosi negozi senza le saracinesche abbassate e alla continuità della disposizione degli operatori ricchi di prodotti nuovi, giovani e vantaggiosi”.

E' la clientela ad essere mutata? "Quella odierna, per quello che mi riguarda, è una clientela affezionata che cerca il proprio fornitore di fiducia. Si evince, però, che il mercato stia ormai perdendo la sua secolare funzione di punto d'incontro ove si passeggia al fine di incontrarsi ed eventualmente fare qualche buon affare, ma per Fermo questa abitudine sembra non esistere più anche a causa del ridotto numero di ambulanti in possesso di prodotti accattivanti. Rispetto al passato, i visitatori a Fermo sembrano diminuire di sabato in sabato. Spesso intravedo negli occhi la delusione di chi da tempo non si recava al mercato, un tempo ricco e funzionante, ed oggi lo trova spoglio di bancarelle e di locali chiusi".

Da Fermo a Porto San Giorgio, il passaggio è doveroso per far un buon confronto. L.Z. e sua moglie S.W. vivono in Italia da 15 anni e, come altri cinesi, hanno dato vita alla loro attività commerciale della quale sono molto soddisfatti. "Il mercato del giovedì a Porto San Giorgio è abbastanza soddisfacente – racconta L.Z. – nonostante non si possa dire lo stesso del quadro economico italiano. Nelle vie c'è molto passeggio di gente di tutte le età. Grazie ai nostri prezzi vantaggiosi e competitivi, lavoriamo soprattutto con la fascia di clientela giovane che ama fare shopping senza spendere cifre esagerate. Da parecchi anni ci spostiamo di piazza in piazza (Civitanova Marche, Porto Sant'Elpidio, San Benedetto del Tronto, ecc.) e di fiera in fiera, ma al mercato di Fermo non abbiamo mai voluto partecipare poichè è una piazza molto difficile”.

“Qui a Porto San Giorgio c'è sempre un via vai di ragazzi – dice S.W. – la zona è fornita di tutti i servizi necessari ai cittadini e non occorre far molta strada per poterne usufruire poichè sono molto ravvicinati fra loro. A detta anche di altri miei colleghi commercianti, nel centro storico, la maggior parte dei negozi sono chiusi e quelli aperti non sanno ben rispondere alle esigenze della clientela; il parcheggio è sempre molto difficoltoso e l'acquirente fa capo alla fascia anziana che ama passeggiare per le vie senza aver alcun interesse nel fare shopping".

Federica Balestrini

QUANDO L'IMPEGNO PAGA

Era il 1983 quando a Fermo, per volere dell'allora amministrazione comunale, si costituì il Comitato Permanente Mercatino delle Occasioni. L'obiettivo era creare un evento che movimentasse il centro storico della città anche durante la settimana. Nel giro di poco tempo fu organizzata la prima edizione della Mostra mercato dell'Antiquariato e dell'Artigianato che tutti ormai conoscono come Mercatino del Giovedì. A dirigerlo, ormai da trent'anni, è Claudio “Bibi” Iacopini.

“Durante questo lungo percorso – dice – abbiamo vissuto momenti molto belli, soprattutto nei primi quindici anni, quando eravamo gli unici a organizzare una manifestazione di questo tipo. Col passare del tempo, però, c'è stato un proliferare di iniziative simili su tutto il territorio. Organizzare un mercatino sul lungomare è garanzia di successo perché il via vai di persone c'è comunque. Più difficile è farlo in un centro storico, a maggior ragione se di collina, con tutti i problemi legati a salite e parcheggi. Noi però ci siamo riusciti. Perché? Perché abbiamo qualcosa che non tutti gli altri hanno: un magnifico centro storico, la cui bellezza fa da contenitore all'evento”.

La macchina organizzativa è già in funzione per l'edizione numero trentatré. Novità in programma? “Parlare di novità in questo periodo di crisi è difficile. La novità, oggi, è poter mantenere l'enorme flusso di presenze che di solito abbiamo già a partire dal pomeriggio. La collaborazione che da anni abbiamo con le realtà culturali della città, biblioteca e musei in primis, è un elemento attrattivo in più e i risultati di vedono: nel complesso, sono circa 4.500 gli ingressi registrati dalle strutture museali nei nove giovedì di mercatino”.

Un successo di pubblico che invoglia gli espositori a tornare. “Siamo partiti con 34 bancarelle e oggi ce ne sono quasi duecento. Abbiamo espositori che tornano da oltre vent'anni e arrivano un po' da tutta Italia, perfino da Piemonte, Veneto e Campania. Lo fanno perché ormai siamo come parte di una stessa famiglia”.

Il Mercatino del Giovedì ripartirà il 2 luglio, per proseguire nei giovedì di luglio e agosto (unica eccezione mercoledì 12 agosto), in Piazza del Popolo, Corso Cefalonia, Viale Vittorio Veneto e Piazzale Azzolino.

Francesca Pasquali


AUMENTANO I MERCATINI, DIMINUISCE LA QUALITA'

Quantità e qualità, si sa, spesso non vanno di pari passo. Ne è convinto Alfio Marinsaldi che da diciotto anni a Civitanova Marche organizza “Artigianando”, mercatino di antiquariato, artigianato e rigatteria che si svolge in Piazza XX Settembre ogni quarta domenica del mese e, a luglio e agosto, tutti i sabati.

"Negli anni – dice – abbiamo assistito ad un abbassamento del livello di qualità della merce esposta. Questo perchè il Comune consente l'organizzazione di mercatini in ogni dove e, d'estate, praticamente tutti i giorni. Ciò fa sì che i prodotti in mostra e in vendita non sempre siano di alta qualità. Prima, il nostro era mercatino selezionato; gli espositori erano soddisfatti e facevano buoni affari, poi, pian piano, la qualità si è abbassata. Quella della quarta domenica del mese resta comunque una piazza ambita".

Espositori non sempre soddisfatti che però resistono. "E' uno degli effetti della crisi. C'è chi cerca di trasformare un hobby in un lavoro, chi partecipa ai mercatini per 'arrotondare' e chi svuota cantine e soffitte per fare qualche soldo. Nel complesso, posso dire che negli ultimi anni il numero degli espositori è aumentato".

Una piazza gremita fa il successo di un mercatino? "Riempire una piazza come quella di Civitanova non è difficile. La gente esce, passeggia, si guarda in giro. Durante i nostri mercatini c'è sempre un gran movimento, ma gli acquisti, come dicevo prima, si riducono per via della concorrenza dei molti altri eventi che vengono organizzati. Le persone che girano sono sempre quelle e non possiamo aspettarci che stiano sempre spendere".

Marinsaldi, lei è stato per 35 anni direttore della Confcommercio di Civitanova. A che punto siamo con la lotta all'abusivismo? "E' una situazione che abbiamo affrontato fin dall'inizio e con il tempo siamo riusciti ad ottenere risultati concreti. Gli espositori pagano per parteciapre ai nostri mercatini ed è giusto che vengano tutelati e non subiscano la concorrenza sleale di chi vende senza averne diritto".

www.civitanovaeventi.it

Francesca Pasquali

MERCATI: TROPPI E IN CONCORRENZA

Di fiere e mercati parliamo con Renzo Giacomozzi, presidente provinciale e della delegazione di Fermo della Confcommercio. “Sono oltre quaranta i mercati che si tengono nel territorio della nostra Confcommercio: alcuni funzionano bene, altri, come Fermo, sono in decadenza”, ci dice il presidente. “I mercati che si tengono lungo la costa tirano forte ma, man mano che si procede verso l’interno, la situazione non è rosea. A subire di più il contraccolpo di questa divisione tra costa e montagna sono le città a poca distanza dal mare, perché la gente preferisce fare pochi chilometri e raggiungere il posto dove la qualità dell’offerta è nettamente migliore. La concorrenza sangiorgese al mercato di Fermo è, in questo caso, incontrastabile”. “Ma attenzione – precisa Giacomozzi – il mercato di San Giorgio richiama tante persone ma, a detta degli esperti di settore, porta poco al commercio e quindi, a stretto giro, si potrebbe assistere ad una contrazione, a una sorta di effetto saturazione”.

Queste le considerazioni da fare, secondo il presidente Giacomozzi: tutti i paesi, non solo quelli dell’entroterra, subiscono un processo naturale di decadenza commerciale, dovuto ai cambiamenti sociali ed economici. Questo porta naturalmente a un decadimento anche della qualità dell’offerta, che sarà più o meno accentuata a seconda del posto dove i mercati e le fiere si tengono. In pratica, più visitatori arrivano al mercato più ambulanti vogliono esporre. Molti ambulanti, però, significano diluizione delle vendite: quindi, se manca il guadagno gli ambulanti smettono di venire e cercano altre piazze più redditizie. “Dove la qualità del gioco della domanda e dell’offerta è scesa (e questo accade di solito nei paesi a mezza strada tra costa e interno), gli ambulanti con grossi volumi di vendite, generalmente anconetani, snobbano gli appuntamenti: a Fermo, ad esempio, non vogliono più venire, anche se invogliati da offerte allettanti da parte delle amministrazioni. Per loro il mercato non è appetibile, il gioco non vale la candela”.

Al contrario, ad esempio, il mercato di Grottammare: grande, sul modello di quello sangiorgese, 300/400 bancarelle, ha espositori di qualità. E qui, secondo Giacomozzi, viene a galla il problema della quantità e della qualità: non sempre le due cose vanno a braccetto, ma se bisogna scegliere è meglio sempre optare per la qualità. Per concludere parliamo degli operatori: “E’ un discorso non semplice e un lavoro molto faticoso: finite le vecchie generazioni, sono pochi i giovani che acquistano le licenze. Di solito, ora sono gli ambulanti extracomunitari disposti a fare una vita di sacrifici che gli italiani mal digeriscono, e che acquistano le licenze a prezzi di molto inferiori alle decine di migliaia di euro che valevano alcuni anni fa. E sono sempre loro che coprono con la loro presenza i mercati che gli italiani considerano poco fruttuosi. Offerta commerciale non sempre al top, certamente, ma almeno tengono il fortino”.

Per finire, c’è da parlare anche di una revisione del numero dei mercati tradizionali: vanno bene quelli storici e legati alla tradizione, ma il proliferare di mercati e mercatini indiscriminato, no. Perché il rispondere a una richiesta del mercato (maggiore domanda/maggiore offerta) in maniera esponenzialmente incontrollata, genera una sorta di processo inflattivo economicamente non buono. “Quindi – conclude il presidente – una deroga 'una tantum' va bene, ma un aumento indiscriminato, oltre a non portare benefici economici, porta addirittura svantaggi".

Daniele Maiani

"FORZA, DONNEEE...!"

Addè se parla tanto de la crisi de lu commercio e, soprattutto, de quilla de li mercati ‘mbulanti. E cià ragio’: a parte ‘che eccezio’, a piagne tutti. A Fermo, po’, lu mercato de lu sàbbetu pare un desertu: c’è rmaste quattro vangarelle, soprattutto de cinesi e marocchì, poca jente a comprà… E penzà che, ‘na ‘òta, lu mercatu se facéa ‘ddirittura du’ ‘òte a settimana, lu joédì e lu sàbbetu: la Piazza pina stronfiata de vangarelle de ‘gni sorta, e tanda de quella jende a comprà che ‘gnava fà a cazzotti. E le voci, li colori, l’odori, li richiami… Me pare de rsentìlli: “Forza, venite, donneee! Ogghj le scarpe le rregalémooo!”. E ‘lla pòra mamma, che avéa fétato parecchio e ciavéa dieci piedi da rcazà (due pe’ ‘gni fiju), se facéa prima lu jiru de tutte le vangarelle pe’ ‘ddocchià quellu che je ‘nteressava de più, scejéva la vittima pridistinata e partìa all’attaccu, co’ ‘na strategia micidiale messa a punto da ‘na vita d’esperienza: dato che li sòrdi era pochi e la famija numerosa, a tirà su lu prezzu era diventata ‘n assu de coppe.

Funzionava cuscì: se ‘ccostava a ‘na vangarella (fatte contu, de scarpe) facènne finta che ‘guardava justo pe’ guardà e che, anzi, tutto quello che vedéa je facéa schifo. Po’ pijava su le mà ‘la scarpa che avéa ‘ddocchiato come se fosse fatta de mmerda e ‘ppostrofàa lu vangarellaru in perfettu stile de lu Ventenniu: “A quell’òmo, sentite…”, perché mamma, che era romana de Roma, a la jende je dava ‘ngora de lu “Voi”, come facéa lu Duce. Quillu porettu (che non sapéa che mamma, oltre a lu “Voi”, da lu Duce avéa rpijato pure lu carattere) se fionnava senza sapé che stava firmènne la condanna sua, e cominciava a vantà le qualità de la scarpa. Issu: “La sòla ad’è de vero cuoio, che quessa, signo’, quanno la ‘mmazzi…”. Mamma: “Ma nun me fate ride, me pare de cartone, che manco ce fate du’ passi che v’aritrovate a camminà scarzo…”. Issu: “Eppo’ la tomara ad’è de vacchetta cucita a mà…”. Mamma: “Ma che vacchetta e vacchetta, ché questa nun è manco de sorcio…”. Issu: “…eppo’, guarda che morbidezza, signo’, a pare un guantu”. Mamma: “Propio! Vedete? Nun cià sostanza, pare fatta de… mmmm…, boccaccia mia, statte zitta!”. E via col tango! A la fine, dopo che avéa ridotto ‘llu porettu quasci a piagne, ‘rriàva la fatidica dommanna, fatta co’ sufficienza: “Vabbè, ‘nzomma, fàteme ride: quanto stà?”. Quillu pijava lu coraggiu a quattro mà e sparava lu prezzu. Mango era finito a dillo, che mamma strillava: “Cheeee?! Ma voi séte matto! Pe’ ‘sta sciofèca che nun è manco ‘na ciavatta…?!”.

Era lu momentu “clu”, quillo che lu vangarellaru se dacéa la zappa su li pè: “Va, vè, allora famme tu ‘n’offerta, signo’: quanto me vurrisci dà?”. E, puntuale, co’ ‘na faccia tosta che cce sse putìa ciaccà li mato’, mamma sparava lu prezzu so’: meno de la metà de quillu chiestu! Sorvolémo su quello che succedéa dopo: e tira e molla e molla e tira, finché le trattative ‘rriava a un puntu mortu e mamma se ne java a culu rittu, senza comprà. Pe’ lu momentu, perché la strategia perseguitava: rcuminciava a fà lu jiru de la piazza, facènne finta de guardà quell’atre vangherelle, e ‘gni ‘òta che rpassava davanti a quella de prima rallentava ‘mmocco’ e rlanciava: “Allora? Ciavéte ripenzato? Guardate, giusto perché sò ‘na fregnona, ve ce metto sopra n’antre mille lire…”. Atru “None!” de lu scarpà, atru jiru de la piazza, atru passaggiu davanti a la solita vangarella, atre mille lire aumentate… Finché, all’ennesimu passaggiu, a lu vangarellaru j’era pijatu u’ stravasu de sango e, pur de liberasse de ‘lla perzecuzio’, le scarpe a mamma je le tirava derète, porbio a lu prezzu che voléa essa!

E nojatri frichi (ché essa cce sse tirava in procescio’ pe’ tutta ‘ll’odissea) ce vergogneàmo comme latri, cerchènne de fà finta che no’ la conosceàmo, spèce io. Tant’è che, ‘ngora addèso, non sò capace de mercategghià non dico co’ li vangarellari o li negozianti, ma mango co’ li ‘stracommunitari: anghe se me chiede lo triplo de lu prezzu (e ce lo saccio che me sta frechènne!), io je lu daco! ‘Nzomma, staco ‘ngora paghènne io tutto ‘llo latrocinio che mamma ha fatto a ‘lli pòri vangarellari bon’àlema de ‘na ‘òta!

Loredana Tomassini

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