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Il cielo accanto a noi

Solidarietà e regole

Viviamo una realtà che, in questi primi 20 anni del nuovo secolo, si muove sulle velocità dei cambiamenti repentini, della globalizzazione che tutto avvicina, tutto mischia, tutto rende uniforme, imponendo solo un assioma: quello di essere veloci a cambiare e a fare. La tecnologia non è più proprietà esclusiva di alcune nazioni o categorie di persone. Viaggiamo nell’era della smaterializzazione del lavoro, la fisicità del “fare” è affidata sempre di più alle macchine, quello che fa la differenza sono le idee che stanno dietro a ciò che le macchine producono. E le idee vengono da quell’organo grigio che sta dentro le nostre teste. La cosa bella è che il motore dell’uomo, il cervello, è grigio per tutti; sia che tu sia alto o basso, Cristiano o Shintoista, bianco o nero, giallo o rosso, quello rimane sempre dello stesso colore: grigio. La logica ci fa capire che le differenze fra uomini sono davvero poche e sono più che altro cromatiche visto che la globalizzazione sta producendo anche un “meticciamento” culturale tra le varie forme culturali delle Nazioni. Facciamo un salto su un argomento apparentemente diverso: la nostra Costituzione al suo articolo 1 dice che “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Bene, per i nostri Padri Fondatori aver messo il lavoro come fondamento del vivere di una nazione civile e moderna stava a significare la fine di una civiltà basata sull’appartenenza a una razza, su privilegi di censo e compagnia cantando. Se la Costituzione sancisce questo, questo deve essere rispettato da tutti i cittadini italiani e deve valere anche per coloro che, pur non essendo italiani, in questa terra lavorano e vivono con le loro famiglie. È il concetto del “rispetto” delle regole e delle leggi del nostro Stato a cui tutti sono tenuti, italiani e non. Come conseguenza del vivere civile, lo Stato provvede ai fabbisogni dei cittadini per ogni esigenza che a lui è deputata fino ad arrivare, attraverso il cosiddetto ”welfare”, al sostegno di chi nella società per vari motivi versa in stato di disagio. Ora, ogni società civile per un principio etico tacito deve sostenere chi versa in stato di bisogno e questo è fuori discussione, ma è altrettanto vero che bisogna che si tuteli, ad esempio, da flussi migratori incontrollati o peggio “controllati” da veri e propri racket dei migranti clandestini. Un’ultima citazione: in questi giorni di paure ancestrali per il “Corona virus” che è arrivato in Italia, poco c’è mancato che non cominciasse la guerra ai cinesi ritenuti i responsabili dell’infezione. Noi italiani siamo un popolo strano: i cinesi ci vanno bene quando ci permettono di comperare le cose a meno prezzo, ma… nonostante siano per la maggior parte persone miti, gentili, che vivono una vita appartata senza infastidire nessuno, non appena rappresentano un potenziale problema, ci si prepara ad andare giù duri senza scrupoli verso chi magari sono anni che vive in Italia e in Cina non è mai tornato da quando è venuto. E allora, tornando al discorso di partenza, basta pensare che tolti quei 2 metri quadrati di pelle di colore diverso, dentro siamo tutti perfettamente uguali e dello stesso colore, per ricominciare a comportarci da persone civili.

Daniele Maiani



Meno integrazione, più irregolari: gli effetti dei Decreti Salvini

Il sistema di accoglienza denominato Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), costituito da una rete di enti locali, era arrivato ad avere fino a 36.800 posti perché, rispetto alle scelte fatte nel periodo tra il 2015 ed il 2016, doveva diventare il sistema unico di accoglienza. Ma poi sono arrivati i famigerati decreti voluti dall’ex ministro Matteo Salvini e il quadro è stato drasticamente modificato. “Questa cosa è stata azzerata, sono cambiate le categorie e si è tornati ad un sistema binario di prima accoglienza e seconda accoglienza” spiega Alessandro Fulimeni, responsabile dei 4 progetti Siproimi (questo il nuovo acronimo legato al Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) distribuiti nel territorio fermano ed i 2 in quello ascolano, che vedono in accoglienza complessivamente 132 persone straniere adulte, tra uomini e donne, seguite da circa 30 operatori e da alcuni consulenti esterni. Cosa hanno generato le scelte fatte da Salvini alla guida del Viminale? “Hanno creato un vero e proprio paradosso. Attualmente lo Sprar avrebbe a disposizione tutti questi posti, ma sostanzialmente non ne sta già occupando un terzo perché le persone che possono entrare sono poche rispetto a prima: i richiedenti asilo non possono, la protezione umanitaria idem. Abbiamo quindi un terzo di posti vuoti e tantissima gente che sta in mezzo alla strada perché non può accedere al sistema. È un paradosso figlio di una politica irrazionale dell’emergenza che c’è sempre stata: l’Italia non ha mai avuto un suo modello di accoglienza, ha sempre lavorato sull’emergenza e anche il sistema più virtuoso adesso ha subito dei colpi pesanti.” Quanto è realmente cambiata la situazione? “Tantissimo, da quanto sono entrati in vigore sia il Decreto Sicurezza che quello ministeriale del novembre 2018 sulla fornitura di beni e servizi per la gestione della prima accoglienza, quindi parliamo sia di Cas che di Sprar.” Sui Cas quali conseguenze dirette ha avuto? “Direi devastanti, con un tracollo dei servizi. Questo nuovo schema di capitolato di appalto, che era obbligatorio, ha cancellato e ridotto quasi tutti i servizi. Ad esempio l’alfabetizzazione e l’insegnamento della lingua italiana sono scomparsi e oggi siamo l’unico Paese in Europa che non prevede l’insegnamento della lingua ai richiedenti asilo. Vengono drasticamente ridotti il servizio di mediazione linguistico culturale e quello di assistenza psicologica. Si prevedono vitto e alloggio e qualcosina di più, ma è un sistema teso a separare i richiedenti asilo dalla popolazione italiana, concentrandoli in grandi strutture e penalizzando così l’accoglienza diffusa.” E che effetti sta avendo ed avrà questo sistema? “Terrà queste persone in questa sorta di grandi pollai, senza fare nulla per tutto il tempo. Molte strutture non hanno più partecipato ai bandi perché non ce la fanno, con quell’offerta economica prevista dal capitolato, a garantire un minimo di servizi dignitosi.” Il sistema Sprar è stato colpito duramente e non è un caso che abbia cambiato nome. “Si sono verificati due aspetti che determinano una modifica sostanziale della natura dello Sprar. Il primo è la scomparsa dei richiedenti asilo ed il ritorno ad un sistema in cui i richiedenti asilo fanno un percorso e i titolari di protezione ne fanno un altro. Mentre prima la capacità virtuosa dello Sprar era quella di poter seguire in un processo unitario la persona, sia da richiedente asilo che poi da titolare, adesso questo percorso viene spezzato e, quindi, solo chi ottiene il permesso di soggiorno riesce ad entrare nei Siproimi. La cancellazione della protezione umanitaria ha reso impossibile per tante tipologie di permesso di soggiorno di poter entrare nello Sprar, come ad esempio gli umanitari.” In numeri? “Questo ha dei riflessi giganteschi, si è stimato che con questi provvedimenti da una parte c’è un tracollo delle presenze nello Sprar che arriverà entro il 2020 al 70% in meno, dall’altra il fatto che noi lavoreremo solo con titolari di protezione e quindi tutte le situazioni a più alta vulnerabilità (disagio mentale, vittime di violenze, torture e tratta) incredibilmente non avranno servizi. Potranno entrare negli Sprar solo quella parte residuale, cioè i 2 su 10 che riusciranno ad ottenere un permesso di soggiorno attraverso il riconoscimento della Commissione ministeriale. Il sistema quindi cambia e di molto: da una parte i servizi offerti sono gli stessi, ma oggi non sono rivolti a tutti.” Quindi sostanzialmente per voi cosa accade? “Riceveremo una sparuta percentuale che arriverà dai Cas, dove sarà stata parcheggiata per mesi senza fare nulla e noi in 6 mesi dovremmo dare a questa persona gli strumenti per l’autonomia. Diventa, quindi, un percorso molto più complesso.” E tutto questo cosa sta producendo a livello sociale? “Emarginazione: si è stimato che in un anno e mezzo gli irregolari, cioè persone a cui viene negato un titolo di soggiorno e non possono entrare in un percorso di accoglienza, saranno 170.000 in più rispetto agli attuali. Un fatto enorme e siamo a conoscenza di situazioni di grande vulnerabilità che riguardano persone oggi in mezzo alla strada, perché non hanno più un sistema che se ne fa carico.” Ripercussioni come Sprar a livello di numero di operatori o tenuta di progetti? “Al momento non ne abbiamo, ma siamo in attesa di capire cosa accadrà. I nuovi progetti partiranno dal primo luglio, ci saranno i bandi da qui ad un mese, un mese e mezzo: lì vedremo il Ministero che politiche adotterà.” Tutto questo in attesa che l’attuale Governo rimetta mano agli stessi decreti. “L’Anci nazionale ha chiesto di far rientrare nel sistema Sprar tutte le situazioni di vulnerabilità, cioè persone che hanno necessità di assistenza sanitaria, psicologica, vittime di tratta o di tortura. Non sarebbe sufficiente a ripristinare ciò che c’era prima, ma sarebbe comunque una risposta alle situazioni più delicate. Purtroppo dal Governo non arrivano segnali in questo senso, se ne sta parlando molto ma allo stato attuale di atti concreti non ce ne sono.”

Andrea Braconi



Un calcio al razzismo nel nome dello sport

Militano da due anni in terza categoria, Girone G della provincia di Fermo. Una squadra come tante, con una particolarità: la maggior parte dei giocatori che la compongono è composta da richiedenti asilo e rifugiati. A questi si aggiungono altri ragazzi italiani e, fino all’anno scorso, alcuni componenti del Monte Pacini Soccer Dream, team dedicato ai disabili e riconducibile anch’esso alla Fattoria Sociale omonima. Tra i fondatori di Save The Youths Monte Pacini, unica realtà in Italia con una maggioranza di rifugiati, ci sono sia questi ultimi che i locali e nel consiglio direttivo anche gli assessori alla Cultura di Fermo e Porto San Giorgio, Francesco Trasatti ed Elisabetta Baldassari. “Noi ci abbiamo creduto e trovato sostegno anche nel Presidente provinciale della Lega Dilettanti Pino Malaspina” sottolinea Marco Marchetti, anche lui fondatore e membro del consiglio direttivo. Marchetti, chi sono questi ragazzi? “Sono integrati nel territorio, hanno avuto un buon percorso di inclusione quasi tutti, se non tutti, vivono nel territorio ormai da alcuni anni. Alcuni studiano, si sono diplomati o hanno preso la terza media. I loro titoli di studio qui non sono riconosciuti. Ce ne sono altri che hanno fatto un percorso di alfabetizzazione primaria qui in Italia. Si tratta di un piccolo nucleo, la maggior parte è diplomata, uno è laureato ed è un dirigente della squadra. Inoltre, alcuni hanno anche preso la patente qui in Italia”. Nel processo di integrazione, che peso ha un’esperienza come quella della squadra di calcio? “Il primo aspetto importante è che si tratta di una formazione panafricana. Ci sono giocatori che provengono dal Gambia, Somalia, Senegal, Niger, Nigeria. Questo sollecita un aspetto di condivisione e non è scontato. Tutti sono accomunati dall’esperienza in Paesi ex coloniali, senza vere democrazie, il passaggio in Libia e l’attraversamento del Sahara”. Sono consapevoli a cosa vanno incontro prima di partire? “Sì penso che lo mettano in conto di rischiare la vita, ormai questo è un movimento che va avanti dagli anni ‘90. La consapevolezza penso che l’abbiano, però il desiderio di vivere una vita migliore va oltre. Sono tutti ben inseriti, lavorano. Sono presenti in Italia da prima dell’emanazione del decreto Salvini, la loro situazione è ben definita e possono avviare la conversione in permesso di lavoro. Nel 2019 abbiamo avuto un incontro con i referenti delle aziende dove sono impiegati. Hanno speso anche parole commoventi, specificando che i ragazzi sono punti di riferimento importanti in ambito lavorativo”. Riescono a seguire gli allenamenti pur lavorando? “Si allenano due volte a settimana, è poco. Ci organizziamo, i ragazzi patentati sono una minoranza, poi ci sono i volontari. Alcuni giocatori frequentano anche scuola serale e non è facile, ma riescono tutti a fare almeno un allenamento a settimana”. Ci sono stati episodi di razzismo verso la squadra? “Lo scorso anno, da una tifoseria avversaria erano provenuti insulti. A volte quando vogliono ferire i giocatori dicono: “Io lavoro, tu sei mantenuto dallo Stato”, non sapendo che i più lavorano. In ogni caso, sono episodi marginali. Ci sono squadre con cui abbiamo un gemellaggio fraterno come Altidona Smile e Pedaso. Anche loro hanno rifugiati in squadra. In generale, la maggior parte delle compagini con le quali giochiamo è composta da avversari corretti”. Come vi finanziate? “Con degli eventi. I costi sono tanti ed elevati: l’iscrizione al campionato, l’affitto dei campi. Inoltre, ci sono imprenditori che ci aiutano come Paolo Vitturini di Vega che ci ha dato un contributo per la squadra, ma anche per il futuro ristorante della Fattoria Monte Pacini, l’Agenzia Res che hanno donato le nuove divise”.

Silvia Ilari

Un Poliambulatorio in una Tre Archi diversa

Dell’associazione Cumba, nei prossimi mesi, si parlerà molto. Perché il loro progetto di un Poliambulatorio all’interno del quartiere di Lido Tre Archi, rivolto sia a stranieri che italiani in difficoltà, dopo una lunga serie di incontri interlocutori e confronti di carattere istituzionale inizia a prendere realmente forma. “Tutto sta procedendo molto bene - confermano i promotori -, abbiamo fatto un altro incontro e hanno dato la disponibilità a diventare soci fondatori una pluralità di associazioni”. Ma non sarà, tengono a precisare, un’associazione di associazioni. “L’adesione sarà a titolo individuale, ma è chiaro che la cultura di provenienza è quella di determinate aree e settori sociali”. A brevissimo, quindi, questi soggetti che si sono resi disponibili verrano riconvocati per sottoscrivere l’atto costitutivo che formalizzerà la nascita dell’associazione Cumba. “Gestirà le attività del Poliambulatorio, ma lo statuto prevede anche una serie di attività più ampie rispetto a quelle strettamente connesse a questa struttura. Sarà un’organizzazione di volontariato - precisano -, quindi si opererà in totale gratuità”. Entrando nello specifico, già in occasione di un incontro tenutosi alla fine di gennaio erano state poste in evidenza le prime disponibilità da parte di medici e specialisti, circa 20 considerando anche il supporto manifestato dalla Casa del Popolo che su questo versante aveva già mosso i suoi primi passi. La parrocchia locale si era resa disponibile e - inevitabilmente considerata la natura del servizio proposto - c’erano stati dei contatti con l’Area Vasta 4 e l’Ambito Sociale XIX. Nel primo caso, l’azienda sanitaria aveva ribadito la bontà dell’operazione, purché si svolgesse all’interno di regole e percorsi certi; nel secondo, il coordinatore Alessandro Ranieri aveva avanzato la proposta di inserire la progettualità all’interno del grande piano di riqualificazione del quartiere, attraverso le risorse provenienti dal cosiddetto Piano Periferie. Una situazione, questa, di enorme portata che attraverso una serie di interventi dell’Amministrazione comunale vedrà cambiare radicalmente il volto di questa porzione di Fermano. E in una trasformazione così imponente, offrire un servizio socio sanitario di prossimità faciliterà, come è nelle intenzioni degli stessi promotori del Poliambulatorio, anche un percorso di integrazione che da queste parti, troppo spesso e da troppo tempo, si fa fatica a sviluppare.

Andrea Braconi

Presente e destino dei minori stranieri non accompagnati

Della comunità educativa per minori stranieri non accompagnati Casa di Mattoni, nata nella metà degli anni 2000 e collocata da diversi anni nella frazione di Capparuccia, nel territorio di Ponzano di Fermo, Licia Canigola è la responsabile di un gruppo di 10 operatori, oltre a consulenti esterni come psicologi, supervisori ed altre figure. Per lei il mondo dell’immigrazione ha sempre avuto una centralità, sia professionalmente che nel corso della sua attività amministrativa, prima come assessore nella Provincia di Ascoli Piceno e poi come consigliera in quella di Fermo. Oggi, per via dei decreti firmati dall’allora ministro Salvini, anche lei si ritrova a gestire una situazione molto complessa, pur non essendo entrate in vigore norme restrittive per quanto concerne i minori stranieri non accompagnati. Di quanti ragazze e ragazzi vi prendete cura all’interno della struttura? “Inseriti nel Siproimi ne abbiamo 7 ed in tutto il 2019 ne abbiamo avuti 9.” Le nuove norme su cosa hanno inciso particolarmente? “Sul percorso di integrazione dei neo maggiorenni. Il discorso del minore accolto passa attraverso il riconoscimento della loro presenza con un’autorizzazione da parte del Comune, che può anche non essere disponibile ad avere una presenza dei Siproimi all’interno del proprio territorio. E già questo è un problema che prima non avevamo. Inoltre la protezione umanitaria, che è stata abolita, veniva riconosciuta a molti minori soprattutto in considerazione della loro vulnerabilità.” Qual è la fotografia del Fermano? “Non c’è alcun Comune del Fermano che ha fatto un progetto Siproimi di accoglienza per minori stranieri. Noi, in conseguenza di questo, abbiamo aderito ad un bando fatto ad Ancona, perché lavoriamo solitamente con loro, all’Ambito dei Comuni di Senigallia e adesso lo stiamo facendo con l’Ambito di Jesi.” Cosa accade a questi minori? “Attualmente vengono trasformati in Siproimi, entrando tutti nel percorso che conoscevamo come Sprar. Questo da una parte permette un progetto generale sul ragazzo, anche con la cura della sua integrazione sociale. Al contrario però quei Comuni che non rientrano in questo tipo di accoglienza in realtà non partecipano a questo percorso. E qui spesso non vengono avviate le stesse procedure di altri territori.” Quali ulteriori problemi avete rilevato? “Uno è che i minori stranieri, quando diventano neo maggiorenni, hanno una proroga all’interno del Siproimi ma nello stesso tempo siccome la proroga è all’interno di comunità educative per minori questo va a creare una sorta conflitto. Altro problema è che mentre prima era automatico che le famiglie di richiedenti asilo che avevano lo status di rifugiato avessero la stessa possibilità, adesso nei ricongiungimenti le famiglie arrivano e devono fare il loro iter. E questo è un grande problema.” Qualche esempio? “Noi stiamo seguendo il ricongiungimento di un ragazzo che viene dall’Afghanistan con la mamma che dovrebbe arrivare: ma invece che acquisire immediatamente lo status di rifugiato che ha avuto il figlio per 5 anni, dovrà fare il suo iter. Considerate anche le modalità operative, oggi fare un ricongiungimento è una sorta di miracolo.”

Andrea Braconi

Ultima modifica il Martedì, 03 Marzo 2020 12:24

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