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Scritte e danni, gli atti vandalici nel Fermano. Lo psicologo: “Colpa di una cattiva gestione della rabbia”

“Lasciate respirare l'arte!”, è il grido (scritto) che si leva da una scalinata tra due luoghi di Montegiorgio – l'ex chiesa di San Francesco e l'ex palazzo comunale in via Roma – che sono essi stessi arte, così come i loro interni. La frase accoglie chi scende la scale tra i due edifici, insieme ad altre, tra le quali campeggiano dichiarazioni d'amore e offese. Più in là qualcuno ha tentato di deturpare l'ingresso dell'ex chiesa di San Francesco con una bomboletta spray nera terminata, fortunatamente, al momento giusto.

Per uno strano gioco delle parti, lo scenario sembra sì mostrare un'arte soffocata, ma al contrario. Chi chiede di farla respirare, ne è lui stesso carnefice. Montegiorgio come Fermo, dove, a febbraio, ignoti hanno danneggiato la balaustra del Belvedere al Girfalco e divelto una storica panchina in pietra. La telecamera più vicina non è riuscita a inquadrare quei precisi punti. Di conseguenza, ciò renderà “opportuno dotare anche la zona dei giochi per bambini di un'adeguata strumentazione”, afferma il comandante della Polizia Municipale Antonio Dell'Arciprete.

E, tanto per non smentirsi, di recente i vandali se la sono presa anche con il portone del Duomo, ingresso della residenza del vicario generale. Non solo i beni culturali vengono presi di mira: la storia recente ci racconta, a Fermo, di un'Anna Frank definita “cantastorie” sul muro della palestra di via Leti, con tanto di svastica (disegnata al contrario…). La cosa non ha lasciato indifferente il sindaco Paolo Calcinaro che ha voluto far apporre una targa sul luogo con una scritta eloquente: “Tra noi Fermani si nascondono pochi 'idioti'”.

Ma cos'è che spinge l'individuo a distruggere o deturpare? Noia, rabbia? “Più che la noia, la molla che può far scattare comportamenti devianti è la cattiva gestione della rabbia e una scarsa consapevolezza emotiva”, afferma Marco Brandi, psicologo clinico con una specializzazione in Psicologia giuridica.

Esistono delle fasce d'età, delle categorie considerate più a rischio? “Coloro che di solito risultano maggiormente coinvolti sono adolescenti provenienti da situazioni educativo-familiari difficili. Sono ragazzi che quasi mai possono essere etichettati come devianti, ma che non sono riusciti a interiorizzare un corretto senso della giustizia e abilità sociali capaci di proteggerli. Il contesto familiare è la chiave per capire il fenomeno: che si voglia chiamare vandalismo o che si trovi un nome agli artefici degli atti violenti (si veda il fenomeno delle baby-gang di Milano): è all'interno della famiglia che si apprendono le abilità sociali e si plasma la personalità. Ragazzi o ragazze provenienti da situazioni familiari emotivamente difficili (da una più comune separazione, fino a vissuti di violenza conseguenti a uso di alcool o droghe) sono sicuramente meno protetti rispetto ad eventi di questo tipo. Se poi c'è una predisposizione alla devianza, il vissuto emotivo trova terreno fertile per il passaggio all'atto”.

Cosa pensa di casi come quello di Sant'Elpidio a Mare, dove all'inizio dell'anno, tre ex studenti di una scuola media hanno svuotatogli estintori e tentato di rompere una chitarra? Uno di loro ha chiesto ai Carabinieri di mettere a verbale il fatto che volesse “imitare Kurt Cobain”. “L'episodio di Sant'Elpidio a Mare dà una un'idea della concezione di giustizia che alcuni giovani hanno. Dal 1978, anno in cui i provvedimenti disciplinari penali a carico di minorenni sono stati ben 25.607, le azioni legali sono notevolmente diminuite. La percezione del giusto o sbagliato si è modificata nel tempo, rafforzata anche dalla teoria dell'alibi, per la quale i comportamenti non consoni dei figli sono 'coperti' e giustificati da genitori ignari del rischio di non esporre i figli a responsabilità e presa di decisioni”.

Come agire quindi? “Il cambiamento radicale nel modo di comunicare all'interno delle famiglie e delle istituzioni, così come nelle agenzie educative come la scuola, ha prodotto una capacità minore dei giovani di far fronte ai loro bisogni e di gestire le emozioni in maniera autonoma. È importante formarsi su questi argomenti ed essere pronti quando i nostri giovani ci chiedono aiuto, nonostante le modalità non siano sempre quelle giuste. Fare esperienza ed ascoltare le testimonianze dei ragazzi che a causa del loro comportamento sono impegnati in percorsi in comunità educative a seguito di provvedimenti di natura penale, potrebbe stimolare i loro coetanei a capire che determinate azioni hanno anche delle conseguenze”.


Silvia Ilari

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