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Parco Marino, quando i (buoni) progetti affondano

MARCHE - In quel fascicolo appoggiato dal 2010 su una scrivania del Ministero dell'Ambiente, all'articolo 1 dello schema di decreto controfirmato dagli allora ministri Prestigiacomo e Tremonti è riportato nero su bianco: “È istituita l'area marina protetta denominata Costa del Piceno”. Un sogno che però, invece di coronarsi, è stato avvolto da un assordante silenzio. Cancellato, dimenticato, spazzato via “da una politica sempre più senza visione e senza progetti”.

A tornare sull'argomento è Massimo Rossi, ex presidente della Provincia di Ascoli Piceno, oggi consigliere comunale di minoranza a Fermo, ruolo quest'ultimo ricoperto anche nel 1990 nella sua Grottammare. Proprio da dove tutto partì.

“Il parco marino era un'idea visionaria dell'allora assessore Franco Piunti - ricorda lo stesso Rossi -. Quel progetto l'anno dopo fu inserito nella legge quadro sulle aree marine protette, che conteneva un elenco delle zone candidate. L'area interessata nel tempo è stata estesa da Porto Sant'Elpidio fino a Martinsicuro e all'epoca c'erano da un lato dati preoccupanti su una tendenza al deterioramento degli ecosistemi marini, dall'altro importanti emergenze ambientali, come la vongola del Piceno. Una biodiversità che esisteva, era significativa e che avrebbe giustificato la tutela di quella specificità tipica di un tratto costiero sabbioso”. Perché ogni ecosistema si regge sull'equilibrio tra le sue componenti, prevedendo la salvaguardia di tutti i tasselli del mosaico. “L'idea era quella di fare un parco marino capace sì di tutelare, ma allo stesso tempo di arrivare ad una sorta di gestione del mare in armonia con le attività umane”.

Di Grottammare Rossi diventa sindaco nel 1994 ed inizia a lavorare con una serie di esperti. “Invitai anche il ministro Edo Ronchi e lui mi diede ragione, così ci fu un'apertura da parte del Ministero dell'Ambiente. Bisognava sperimentare, piuttosto che fare i puristi in certe zone mentre altre venivano lasciate al degrado. Occorreva modulare i livelli di tutela, per arrivare gradualmente ad una serie di regole per far rientrare le attività umane dentro questo ecosistema. Un modello, ne sono ancora convinto, che poteva diventare esportabile in tutte le coste italiane”.

Nel ripercorre quegli anni, Rossi sottolinea come i Comuni del Piceno avessero colto il senso e le opportunità che si aprivano sotto il profilo non solo ambientale, ma anche della promozione del territorio. “Ci fu una congiuntura positiva e si partì con questo percorso di crescita di coscienza degli amministratori e delle scuole; penso anche all'Università di Camerino, che ha formato tanti operatori”.

Ma a pochi metri dal traguardo, ecco l'inattesa sconfitta. “Per me resta una ferita aperta, ho lavorato almeno 15 anni della mia vita ad un progetto che poi hanno iniziato ad affondare, in particolare i sindaci del Fermano. Prima ha iniziato Porto Sant'Elpidio dove invece si preferiva parlare di darsena; poi Porto San Giorgio, con alcuni amministratori che hanno mollato; a questo si aggiunge l'opposizione dei vongolari, anche se eravamo riusciti ad ottenere una normativa per fare sì, ed era il primo caso in Italia, che il Parco fosse diviso in zone A, B e C, oltre a zone di interconnessione dove le vongolare potevano pescare. Quindi, le aree veramente tutelate in maniera rigida erano molto poche”.

Considerate le resistenze, Rossi tagliò fuori la parte nord del Parco, tenendo però Altidona e Pedaso. “L'idea era quella di dire che il nostro territorio aveva il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e il Parco Marino del Piceno collegati dal bellissimo corridoio verde della Valdaso, con Comuni uno più bello dell'altro. Un progetto di grandissimo valore e di capacità di penetrazione. Ricordo però i problemi con Campofilone, che riuscimmo comunque a superare. Arrivammo al Ministero, ottenemmo la mappatura ufficiale; nel frattempo avevamo pagato soldi per esperti, biologi, università ed altri ancora per gli studi preliminari”.

Il decreto è quindi pronto, va alla Corte dei Conti per il visto, al parere favorevole della Conferenza Stato-Città ed Autonomie locali, con l'astensione del suo successore Celani. Ma poi, proprio dalla Provincia di Ascoli Piceno, arriva lo stop attraverso una delibera di Giunta. “Hanno chiesto di sospendere l'iter per approfondimenti con i vongolari, che però su quella perimetrazione e su quel regolamento avevano già accettato. Un'occasione persa, con il Ministero che ogni anno ci avrebbe dato 250.000 euro per la gestione del Parco. Si stava andando verso la pubblicazione in Gazzetta, invece si è fermato tutto. Persino l'ex deputato Agostini, del Pd, rivolse un'interrogazione al ministro a sostegno delle istanze più retrive dei vongolari. Successivamente ho provato a riparlare con il Ministero, ma il taglio di risorse per le aree protette e i problemi istituzionali nella nostra zona aveva fatto arretrare la nostra area protetta, mentre altre erano andate avanti. Il parco marino Costa del Piceno, invece, è rimasto lì, fermo al 2010”.

Una situazione recuperabile? Per Rossi sì, anche se le non scelte del recente passato fanno venire a galla più la malinconia che la fiducia. “Era tutto pronto, avevamo preparato anche il simbolo del Parco che si chiamava Marino Picè, un bambino con un cappello che sembrava un sanculotto della Rivoluzione Francese ma che in realtà era un pesce. Erano stati preparati dei giornalini a fumetti da colorare, perché cominciavamo il lavoro dalle scuole materne. Volevamo fosse un parco per i bambini, uno spazio dove la natura e l'uomo sarebbero andati d'accordo. Ma non è stato così, purtroppo. Resta un grande rammarico, perché avrebbe anche potuto portare finanziamenti importanti, che magari ci avrebbero facilitato nell'accesso a quelle risorse per la realizzazione di scogliere e barriere protettive che oggi in tanti reclamano, ma con scarsi risultati”.

Andrea Braconi

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