Il futuro saranno le fusioni. Roberto Petrucci spiega perché bisogna rinunciare ai “campanili”

“Qui non si tratta di scegliere tra situazione attuale e fusioni ma tra fusioni e unioni”. A dirlo è Roberto Petrucci, esperto di fusioni tra Comuni, che sembra avere le idee chiare: il futuro saranno le fusioni. Tanti, secondo Petrucci, i vantaggi che questo nuovo assetto, previsto dalla legge n. 56 del 2014 (legge Delrio), porterà. A partire da quelli economici che, a cascata, produrranno benefici per le popolazione. “Il Governo – spiega Petrucci – ha creato una situazione eccezionale che va sfruttata”.

Quali sono le principali differenze tra unioni e fusioni comunali? “Con le unioni i Comuni gestiscono i servizi in forma associata e sindaci e Consigli comunali restano in carica. Con le fusioni i Comuni vanno a formare uno nuovo ente con un sindaco e un Consiglio comunale unici. I Comuni che uniscono le funzioni mantengono i propri organi amministrativi e i propri bilanci, ma per migliorare i servizi mettono insieme la struttura tecnico amministrativa; quelli che si fondono hanno un unico organo amministrativo e un unico bilancio”.

Lei è un convinto sostenitore delle fusioni. Perché? “Le fusioni permettono di ridurre in modo significativo le spese di struttura, cioè quelle legate al funzionamento del Comune. In questo modo aumentano le risorse da destinare ai servizi, si riduce drasticamente la burocrazia e migliora la capacità amministrativa. Il nuovo Comune ha priorità negli investimenti regionali, meno adempimenti burocratici da sostenere e può coprire il 100% dei pensionamenti. Anche se irrilevanti dal punto di vista finanziario, con le fusioni si riducono le spese per assessori e consiglieri. Inoltre, con l'aumento della popolazione cresce il peso politico del nuovo Comune nella Provincia e nell'Ambito di appartenenza, si formano nuovi gruppi dirigenti politici e nuovi gruppi di direzione amministrativa. In sintesi: si ritorna ad amministrare”.

Esonero di dieci anni dal patto di stabilità e aumento delle risorse (il 40% dei trasferimenti del 2010) per dieci anni sono gli incentivi che il Governo mette a disposizione dei Comuni nati da fusioni. Non c'è il rischio che, soprattutto nei Comuni più piccoli, a decidere sia più il portafoglio che la ragione? “Bisogna partire dal presupposto che non esistono due fusioni uguali. In generale, i Comuni che nascono dalle fusioni sono demograficamente in crescita, in grado di attrarre nuove energie e capaci di rappresentare meglio il territorio sul quale insistono. Nelle Marche finora abbiamo due casi di fusioni di Comuni: Trecastelli nell'Anconetano (nato dalla fusione di Ripe, Castel Colonna e Monterado) e Vallefoglia nel Pesarese (nato dalla fusione di Colbordolo e Sant'Angelo in Lizzola). A questi, il prossimo anno si aggiungeranno le fusioni di Pievebovigliana e Fiordimonte, nel Maceratese, che daranno vita al Comune di Valfornace, e di Montemaggiore al Metauro, Saltara e Serrungarina, nel Pesarese, che si fonderanno nel Comune di Gransaltara”.

Se gli incentivi economici spingono verso le fusioni, a frenare molti amministratori è il timore di perdere la propria identità. “In alcune zone l'identità è molto importante. Le fusioni consentono di mantenere i municipi dei Comuni originari. In questo modo i nuovi Comuni diventerebbero simili a contee in cui l'identità è garantita dai municipi che decidono per la zona di competenza, con un consiglio elettivo con funzioni consultive e la possibilità di dare pareri vincolanti sulle questioni riguardanti il municipio. E’ un'opportunità da considerare con la dovuta attenzione, anche perché in quattro mesi (la procedura per le fusioni dei Comuni prevede, nell'ordine: deliberazione del Consiglio comunale, referendum e legge regionale, ndr) potrebbero cambiare le sorti di un territorio”.


Francesca Pasquali

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