La buona alimentazione

Mangia che ti passa

Cibo e salute: un binomio che non sempre viaggia d’amore e d’accordo. Se di cibo ce n’è poco c’è la fame che, come troppi disperati nel mondo sanno, è una cattiva compagna; nel caso in cui invece ci sia troppo cibo non va bene lo stesso perché, come dice il proverbio, “chi s’ingozza si strozza”: troppo cibo non fa bene e l’abbondanza non sempre è segno di salute. Troppo cibo, anche se buono, obbliga il nostro organismo a un superlavoro e lo induce a errori metabolici che portano alla lunga a stati di salute precaria. Insomma, mangiare poco o tanto non fa paradossalmente troppa differenza: il giusto sarebbe stare nel mezzo, come in tutte le cose, e anche qui calza a pennello il celebre brocardo dei nostri saggi antenati Latini “in medium stat virtus”. Morale: bisogna sempre essere morigerati e non esagerare mai in ogni aspetto della vita, mangiare compreso. Non a caso, in tempi non troppo remoti, anche i nostri vecchi dicevano che bisognava alzarsi da tavola sempre con un pelino di fame, e loro lo facevano, anche perché, ai tempi, la povertà degli italiani faceva in modo che di necessità si facesse virtù. Oggi, anche se con una tendenza forte al ribasso, viviamo nel tempo dell’opulenza, dello spreco, del cibo ingurgitato e non gustato, dei sapori simulati, ricostruiti, inventati e non presenti in natura, dove al poco ma buono si è sostituito il tanto, anche se spazzatura. É l’eterna guerra tra qualità e quantità e di solito la storia ci insegna che la seconda prevale sulla prima, ma dalli e dalli non è detto che, volenti o nolenti, la tendenza s’inverta. Intanto siamo arrivati al punto che è frequente che ci si ammali per il troppo mangiare, tanto che ci sono dei medici che curano le patologie della nutrizione sbagliata, ci sono presìdi a cui rivolgersi in caso si abbia bisogno di aiuto per ricominciare a mangiare in maniera giusta, insomma bisogna ricominciare a imparare come si deve mangiare per non finire all’ospedale malati d’abbondanza. Parimenti di fondamentale importanza è la qualità di quello che si mangia: come vengono allevati gli animali destinati alla macellazione, cosa mangiano, come vengono trattate le coltivazioni di piante e ortaggi, e via dicendo. Oggi va molto di moda il termine “biologico” per indicare quei prodotti che vengono coltivati in maniera del tutto, o quasi, naturale: c’è una crescente tendenza a un ritorno all’agricoltura di un tempo, dove l’ordine naturale faceva sì che le piante e le verdure si difendessero da sole dagli attacchi dei parassiti e producevano i semi per le piantagioni future. Oggi, ad esempio, la maggioranza delle spighe di grano sono sterili, e i semi si devono comperare da produttori industriali spesso troppo disinvolti nell’immettere sul mercato derrate di semi di colori improbabili e di improbabile salubrità circa i prodotti che daranno. Per fortuna i marchigiani sono gente testona e forte, hanno ricominciato a piantare il grano autoctono, quello con le spighe alte che oltre alla farina dà anche il seme per l’anno successivo. Insomma, tutto ciò non significa rimpiangere la fame del passato, ma serve uno stile alimentare misurato: meno quantità e, di contro, ritorno ai sapori tipici e alla qualità del buon cibo. Se ne guadagna in salute, di certo, e si può ricominciare ad assaporare gusti e aromi che credevamo dimenticati. Se poi, una volta ogni tanto, ci permettiamo uno strafogo di vincisgrassi o una bella grigliata di maiale poco male: qualcosa ce la dobbiamo pur concedere, basta solo una giusta misura. E qui necesse est ricorrere ancora una volta ai nostri padri Latini, che comunque non si facevano mancare niente, ma con intelligenza: qualche stravizietto ogni tanto non nuoce, perché “semel in anno licet insanire”!

Daniele Maiani



Il cibo è una relazione

L’educazione alimentare scolastica svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’individuo, a sostenerlo è Cristina Manzini, psicologa e psicoterapeuta, che opera nell’ambito della psicologia alimentare dal 2012, quando è stata coinvolta nel progetto di ricerca SANPEI del CNR a Roma: “Si trattava di un progetto educativo per l’introduzione del pesce di acquacoltura biologica nelle mense, che serviva a verificare quanto il fattore alimentare incidesse nella scelta alimentare dei bambini. Dalla ricerca è emerso una differenza significativa sulle differenze delle percentuali di scarti prodotti durante il pasto, del 49% per i bambini non educati contro il 7% per quelli educati”. Come è cambiata l’educazione alimentare negli anni? “Fino a poco tempo fa l’educazione alimentare si basava su elementi molto cognitivi e didattici che spiegavano i benefici senza però raggiungere l’obiettivo: come far mangiare il bambino. L’educazione alimentare puramente teorica non portava a niente. In seguito agli indirizzi del MIUR sono state stabilite le linee guida, si è compreso che portando l’educazione alimentare all’interno delle mense, il margine di riuscita è molto più ampio perché lavorando sul gruppo si riesce ad ottenere risultati più efficaci”. Che ruolo svolge la famiglia nell’alimentazione? “La tavola è il luogo della famiglia, è lì che il bambino apprende che il cibo è una relazione. Se a tavola i rapporti familiari sono conflittuali, il rapporto con il cibo potrebbe essere più difficile. Per questo il ruolo dei genitori nell’aiutare i bambini ad avere un buon rapporto con il cibo è fondamentale fin dall’infanzia”. Un disturbo alimentare può manifestarsi già dall’infanzia? “Ha origine nell’infanzia e nel rapporto che il bambino ha con il cibo ma a volte si manifesta in adolescenza, quando si ha bisogno di assimilare vitamine e proteine che si trovano nella carne, nel pesce e nei legumi. Quando il disturbo alimentare dura nel tempo, può avere delle conseguenze significative se ad esempio parliamo di anoressia o bulimia, siamo già nella sfera della psicopatologia”. Cosa è cambiato in fatto di alimentazione rispetto al passato? “Si è passati ad un’alimentazione più veloce e meno sana, una variazione di tipo socio-culturale. Se prima mangiare significava un primo e un secondo con tempi lunghi di fare la spesa, oggi poche famiglie riescono a fare questo. Il pasto a tavola è sempre più veloce, si è trattato di una rottura con le tradizioni del passato, un cambiamento sociale rilevante che però non ha dato risultati positivi, vedi l’obesità infantile: così si sta tornando indietro”. Come si fa a far mangiare un bambino che ha molte resistenze alimentari? “Non c’è una risposta univoca. Tutto dipende dalle abitudini alimentari che si hanno in famiglia e da quanto è coinvolto il bambino. E’ importante dare il buon esempio senza pretendere che si mangino le verdure se i primi a non farlo sono i genitori. Se il bambino non mangia è importante capire perché, se è un momento della crescita o di regressione. Sbagliato ripresentare lo stesso cibo rifiutato a sera, si generano traumi che si portano fino all’età adulta”. Cosa favorisce l’assimilazione del pasto? “A tavolta sono efficaci i colori della frutta e delle verdure che sono emotivamente positivi. Con i bambini può essere sempre utile fargli mettere le mani in pasta e farli pasticciare, senza aver paura che si sporchino”.

Serena Murri

Qualità alimentare: le attività dell'associazione "Chi mangia la Foglia!"

In tema di alimentazione e territori, intervistiamo il presidente dell’Associazione “Chi Mangia la Foglia!” Noris Rocchi per capire meglio come si sviluppa il tema dell’alimentazione ed ancor di più della sana alimentazione. “L’associazione “Chi Mangia la Foglia!” nasce nel 2004 – spiega Rocchi - come progetto presentato e raccolto dall’allora Provincia di Ascoli Piceno, concretizzandosi successivamente come associazione per porre in atto quanto stabilito nel progetto, riguardo l’importanza della buona alimentazione. La prima trance fu quella di riscoprire il mondo delle erbe spontanee non solo per l’importante fase del riconoscimento, ma in particolar modo per il potenziale gastronomico delle alimurgiche fino da allora inespresso: si trattava di sviluppare ricette con erbe spontanee esaltandone le caratteristiche e le proprietà organolettiche, vedere quindi se erano proponibili nella ristorazione e come sarebbero state accolte dagli avventori. Al contempo si è operato alla nascita dei primi agriturismi, alla filiera corta, ed allo sviluppo del biologico dove le erbe spontanee risultavano essere alimento tradizionale biologico per eccellenza, quindi l’alimentazione di qualità iniziava ad intersecare più settori ed interessi”. Di strada da allora ne avete fatta… “Oggi abbiamo una lista di 9.600 contatti veicolando un’informazione a prevalenza territoriale e nazionale, espandendo anche l’informazione attraverso una rete di contatti nei paesi europei ed extra europei, promuovendo gli eventi organizzati in rete, il territorio e le qualità enogastronomiche tipiche locali”. Dove operate? “Si è lavorato su un progetto sinergico integrato nelle due province di Ascoli e Fermo, con importanti attività nelle altre, sviluppando eventi, incontri, promozioni anche in altre città italiane ed oltre confine, dove la proposta alimentare tipica locale crea grande interesse ulteriormente avvalorato dalla reale qualità dei prodotti, identificati anche dal marchio Q.M., che però pochi conoscono. Fondamentale alla realizzazione, allo sviluppo del progetto ed al principio di lavoro in rete, è stata l’inclusione dei Comuni come riferimento amministrativo ed operativo del proprio territorio, che ha facilitato la partecipazione delle strutture ristorative, agrituristiche e produttive”. Quali attività mettete in campo e con quali finalità ? “Il risultato di maggiore efficacia, (non casuale), è stato quello di aver creato un sistema, una rete coordinata, che ha sviluppato tematiche condivise con obbiettivi comuni. Ritengo che aver realizzato per oltre 10 anni un sistema con 24 Comuni ogni anno, oltre 80 ristoratori, un gran numero di produttori, con risorse esigue, sia stata un’eccezione che ha dato ottimi risultati. Fondamentale il grande impegno profuso per raggiungere gli obbiettivi fissati basando tutto sulla sana alimentazione, che va a legarsi allo stile di vita all’accoglienza, all’agricoltura al turismo e così via. E’ stato possibile ragionare su livelli qualitativi alimentari andando oltre gli stereotipi, parlando di salubrità del prodotto, razionalità alimentare, nutrizione, inquadrando l’intero regime alimentare in funzione della salute. Ciò vale per e nella ristorazione ma ancor di più nell’alimentazione quotidiana. Questo risultato è stato possibile grazie all’opera di molti specialisti medici, dietisti, agronomi, farmacisti, esperti di settore e a tutti gli altri che si sono impegnati per diffondere e rendere fruibili queste importanti conoscenze”. Che ruolo svolge la formazione? “Questa diffusione verbale e pratica passa attraverso i numerosi corsi che la nostra associazione ha ideato e continua ad organizzare. Nel 2006 abbiamo sviluppato il primo corso su riconoscimento delle erbe spontanee, percorsi sensoriali, sulla gestione dell’orto ed in particolare sulla qualità dell’accoglienza, ecc., a cui abbiamo integrato il settore scolastico realizzando percorsi di educazione alimentare rivolta ai ragazzi, grazie anche alla Regione Marche ciò si è svolto nei plessi scolastici delle provincie di Ascoli e Fermo”. E il territorio come risponde? “Questo è un territorio dalle grandi potenzialità, saperle sfruttare oppure no, dipende dalle persone. Una caratteristica comune nel Fermano/Ascolano, includendo gli organi amministrativi, è il forte individualismo, che si estende ad ogni settore, spesso celato e mascherato. Con difficoltà ne viene preso atto, restando quindi il limite da superare, dove l’assenza dell’istituzione provinciale ne accentua la criticità”. Obiettivi futuri? “L’associazione continua a promuovere il territorio, stiamo sviluppando la sensibilità dei Comuni per il riconoscimento delle proprie peculiarità come De.C.O. (denominazione comunale d’origine), un’opportunità che può dare risultati. L’associazione sviluppa idee innovative che, nonostante esigue risorse, riesce a realizzare e mettere in rete; concludo dicendo che la nostra area è un’ampia zona di alta qualità alimentare, vanno dunque mantenuti alti gli standard formativi in particolar modo rivolti ai giovani, come investimento di conoscenza, attenzione e tutela della salute”.

Alessandro Sabbatini

Il futuro del biologico sono i bambini

Prodotti di qualità, eccellenze dal territorio e benessere. Sono questi i punti cardine del mondo del biologico di Aiab Marche, associazione attiva sul territorio per sensibilizzare sull’importanza del rapporto diretto tra produttore e consumatore. “Quest’anno tutte le manifestazioni fatte da luglio in poi sono andate bene - ha spiegato il Presidente, Enzo Malavolta – con un’ottima risposta da parte dei consumatori che ormai sono più consapevoli e si stanno rendendo conto di quanto sia importante avere uno stile di vita sano e un’alimentazione genuina”. Per questo, dopo il Biofestival, Aiab Marche ha organizzato in occasione dell’evento nazionale, la Biodomenica, la ricetta è sempre la stessa: convegni, mostra mercato e laboratori per bambini. I prodotti del territorio e le aziende Aiab in prima linea passando tra i banchi dei più piccoli: “Per diffondere la cultura di un’alimentazione sana - continua Malavolta - bisogna puntare sulle nuove generazioni, per questo abbiamo messo in atto un progetto nelle scuole, 120 bambini a Cupra Marittima e 300 ad Altidona provenienti dai comuni dell’Unione Valdaso, è stata una partecipazione importante e in premio abbiamo regalato tutto l’occorrente per fare l’orto didattico a scuola”. Come si svolgono i vostri laboratori e qual è l’obiettivo? “I nostri laboratori servono a mettere in risalto il ruolo del produttore, quelli sull’orto il ruolo centrale dell’agricoltore. Dobbiamo contrastare il cibo che viene dalle multinazionali andando nelle scuole per svegliare le coscienze e denunciare la situazione attuale, coinvolgendo quelli i ragazzi di oggi che saranno gli adulti di domani. Per capire cos’è un prodotto di qualità bisogna spiegarlo ai ragazzi, bisogna abituarli a toccare il prodotto sano d’agricoltura, si devono sporcare sennò non lo capiranno mai. Bisogna lavorare nelle scuole primarie per spiegare che l’agricoltura è l’origine di tutto”. Cosa le chiedono i bambini? “Io metto le piantine nelle mani dei ragazzi e loro mi chiedono “Che cosa ci devo fare?”. Allora spiego che devono piantarla in giardino o in un vaso, dargli acqua e cure affinché cresca. I bambini, abituati a trovare tutto a loro disposizione al supermercato, restano meravigliati. Molti di loro, probabilmente, pensano che quello che trovano al supermercato venga prodotto dal supermercato stesso. Sono argomenti fino ad oggi mai affrontati, per questo andare nelle scuole è fondamentale, spieghiamo la campagna, la stagionalità del cibo, la biodiversità, la fertilità del terreno, la salvaguardia dell’ecosistema”. Il consumatore dove si deve recare per avere prodotti di qualità e cosa deve controllare? “Per mangiare sano con prodotti del territorio bisogna affidarsi ad un agricoltore di fiducia, cercare la filiera corta, vedere quello che l’agricoltore coltiva, trovare aziende che producono localmente e creare delle reti”. Come fare? “E’ quello che stiamo cercando di fare con il Biodistretto Il Piceno. Incrementare la crescita di aziende biologiche con un’offerta pensata per i consumatori a trecentosessanta gradi, coinvolgendo anche la ristorazione”.

Serena Murri

Disturbi del comportamento alimentare: a Fermo 200 pazienti in cura

Sono attualmente 200 i pazienti in carico all’equipe del Centro ambulatoriale sovra-provinciale per i Disturbi del Comportamento Alimentare di Fermo e cresce sia il numero dei minori che quello degli over 40. Il centro, inaugurato a gennaio 2017, riceve richieste da tutta la Regione Marche e si inquadra nella politica regionale di diffusione sul territorio, in una logica di rete, di centri specializzati per la cura di patologie specifiche. “I disturbi alimentari – spiega il direttore generale dell’Asur Alessandro Marini - non riguardano soltanto le giovani donne, ma anche le persone adulte e gli uomini. La loro cura è un’esigenza molto diffusa fino ad oggi lasciata un po’ al “fai da te” del cittadino. Grazie a queste strutture le famiglie hanno un punto di riferimento per tutto il percorso terapeutico, diagnostico e di assistenza di cui ha bisogno la persona che si rivolge al servizio. Parliamo di una realtà difficile, spesso drammatica, a cui da tempo la Regione Marche presta estrema attenzione attraverso il recepimento del Piano di azioni nazionale per la salute mentale e l’avvio dal 2015 di tre poli ambulatoriali: Fermo (per le province Fermo, Ascoli, Macerata), Ancona e Pesaro. Dai casi rilevati emerge che i pazienti di solito vivono ancora con le famiglie di origine per cui è previsto il coinvolgimento della famiglia nel percorso terapeutico”. I pazienti sono nella maggior parte comunque giovani donne di nazionalità italiana con una percentuale di maschi in aumento nell’ultimo anno. L’età media prevalente nei casi di anoressia e bulimia è infatti di 20 anni e quasi la metà dei casi valutati è in una fascia d’età che va dai 16 ai 20 anni. D’altra parte però la media totale dell’età cresce notevolmente considerando l’accesso al servizio di un numero in continuo aumento di Binge Eating Disorder. Nel centro di Fermo, ultimo inaugurato, in particolare si svolgono numerose attività. Innanzitutto per avere accesso ai servizi è sufficiente una prenotazione con impegnativa o direttamente attraverso il call-center dedicato. E’ il primo ed importante filtro per un colloquio di accoglienza al fine di valutare l’eventuale presenza di un DCA e il livello di gravità-urgenza del disturbo stesso. Il criterio di urgenza-gravità viene stabilito sulla base di rigorosi criteri legati sia alla storia clinica e personale sia al dato oggettivo dei tempi previsti dalla lista d’attesa. Viene inoltre fornito un servizio di counseling supportivo per i pazienti e i familiari. In seguito alla valutazione psicodiagnostica clinica sono poi previste diverse terapie. La realizzazione di un Centro Specialistico di diagnosi e trattamento Dca rappresenta un modello operativo integrato al fine di evitare il ritardo diagnostico, ridurre le cronicità, promuovere la sensibilizzazione degli operatori sanitari e coordinare i servizi della rete nei vari livelli di cura. L’ambulatorio grazie a diverse figure professionali, svolge inoltre una funzione di filtro per i successivi livelli terapeutici e di ricovero ordinario, residenziale o semiresidenziale, in base agli elementi emersi durante l’iter diagnostico e ha compiti di controllo periodico.

Ultima modifica il Venerdì, 10 Novembre 2017 11:05

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