Massimo Gezzi: la necessità di essere poeta

Massimo Gezzi è nato a Sant'Elpidio a Mare nel 1976. È laureato in Lettere Moderne presso l'Università di Bologna con una tesi sulla poesia di Bartolo Cattafi che vinse il Premio Montale 2002. E qui già si capisce che trattasi di genio precoce. Anzi, precocissimo dato che, a domanda (quando, Massimo Gezzi, ha sentito l'impellenza della scrittura poetica?) risponde: "Dalle elementari, poi la cosa è scomparsa per molto tempo ed è ripresa attorno ai 23 anni". Insomma, da piccolo la poesia è stata come una malattia esantematica, ma già era nel suo DNA. Dopodiché, girata la boa dell'acne giovanile, ci ha dato dentro con uno studio matto, ma non disperatissimo: perciò non gli è venuta la gobba leopardiana, anche se ce lo immaginiamo legato alla sedia come l'Alfieri. D'altra parte, quando uno ha un curriculum come il suo, il sospetto che sia un tipo alla "tormento ed estasi" viene spontaneo.

Proviamo a (necessariamente) sintetizzare: come studioso si è occupato soprattutto di Bartolo Cattafi, Paolo Volponi, Giovanni Raboni, Antonio Porta, Eugenio Montale e le forme del diario nella poesia contemporanea. Collabora alle pagine culturali de "il Manifesto" e a diverse riviste letterarie, tra le quali Nuovi Argomenti e Poesia. Come poeta ha pubblicato le raccolte Il mare a destra (2004) e L'attimo dopo (2009), più la plaquette trilingue In altre forme/En d'autres formes/In andere Formen (2011) con poesie in italiano, francese e tedesco. È incluso nel Nono quaderno italiano, a cura di Franco Buffoni, e nell'antologia Nuovi poeti italiani, curata da Paolo Zublena. È tradotto in inglese, spagnolo, francese, tedesco, albanese e croato. Naturalmente, facendo incetta via via di prestigiosi premi letterari. Basta così? Macché: svolge attività di traduttore letterario dall'inglese per grandi case editrici e si procaccia il cibo insegnando Letteratura Italiana all'Università di Berna.

Eh, sì, perché anche Massimo Gezzi è un cervello in fuga per necessità, non è che sia scappato in Svizzera per non pagare le tasse. Anzi, lui tornerebbe volentieri, tanto che attualmente ha sospeso l'attività creativa per dedicarsi a quella burocratica: "Sto facendo concorsi dappertutto, ci ho provato in tutti i modi a tornare, ma il lavoro in Italia adesso è un miraggio. Porto sempre con me una grossa amarezza per il fatto che gente come me molto spesso non ha la possibilità di lavorare nel luogo in cui è nata e vorrebbe vivere. Pazienza". Pazienza un cavolo, Italia ingrata, cinica e bara. Vabbè, ma proprio sicuro sicuro che un Massimo Gezzi così visceralmente poeta non poèti perché vittima di un qualche tormento esistenziale? Non so più quale cantautore cimiteriale disse: "Scrivo solo canzoni tristi perché quando sono allegro esco". E Massimo Gezzi? "Io no! E' uno stereotipo quello del poeta triste. Io credo che la poesia sia un atto riflessivo, quindi tristezza o altri sentimenti vengono dopo, sono subordinati alla riflessione. E' vero, la scrittura è sempre legata all'emozione e al sentimento, ma più che un atto emotivo soprattutto è una necessità di riflessione in versi e coniuga appunto la dimensione della riflessione a quella dell'espressione di sé. Quindi direi che è l'espressione di una necessità di pensare, però è un po' paradossale perché chi scrive versi riesce forse a pensare solo in quella forma lì".

Oh, vivaddio! Finalmente un poeta che non si autocinge di alloro e riesce ad essere aperto alla vita, agli altri, ad essere estroverso, autoironico, socievole. Però, da studente, mi sa tanto che eri un secchione... "Bè, andavo bene..."; e i tuoi compagni come ti consideravano? "Bè, penso... un secchione! Ma ero una persona molto allegra!"; e quali altre passioni hai nella vita? "Mah..., lo sport, ho giocato a pallavolo per anni, mi piace molto la musica, il cinema. Sono appassionato di calcio...". Insomma, pare convinto di essere normale, per quanto un poeta possa esserlo (insinuazione maligna)... "No, no - si affretta a ribadire - Oggi il poeta è una persona esattamente uguale agli altri, e solo se è consapevole di questo può essere un buon poeta. Se ci si crede esseri diversi, superiori, si è cattivi poeti. Io sono solo una persona che crede che la scrittura sia ancora una cosa importante e quindi ci scommette".

E ci scommette a prescindere: in primis, dal vil danaro, perché con la poesia, ahimè, non ci si mangia. Oggi, a mangiare con la carta (cartaccia) stampata sono gli improvvisati autori di romanzetti o di ricettari di bassa cucina. Ma Massimo Gezzi, sia lode al merito, ci ride su: "La poesia uno la fa perché lo deve fare, non perché ci sia un fine secondo!". Lo deve fare: quindi la poesia è un'impellenza dell'anima, dell'intelletto? "Dell'intelletto..., mi piace come definizione. E' una specie di necessità del sentimento e dell'intelletto insieme ed è un'arte che unisce una dimensione riflessiva a una anche musicale. Forse è l'arte che apparentemente è più semplice, ma in realtà è quella più complessa e complicata e per me è stata proprio una necessità".

E, a proposito di musica e di musicalità della poesia, proprio a questo si deve la collaborazione di Massimo Gezzi con Roberto Zecchini, musicista e chitarrista di valore: performances affascinanti in cui l'uno mette la parola poetica e l'altro la musica e che presto si concretizzeranno in un DVD che, siamo certi, sarà imperdibile. Nel frattempo, Massimo Gezzi continua il suo nomadismo obbligato tra la Marca e l'Elvezia; tra azzurri orizzonti salmastri e verdi diorami silvestri. Nell'attesa di un vagheggiato ritorno stabile. E "regressus", e cioè "ritorno", è parola già di per sé carica di attese e di poesia...

Ultima modifica il Martedì, 17 Marzo 2015 10:42

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