Sciò la Pica e Armata di Pentecoste - Monterubbiano

Quando la primavera è al culmine, nel giorno della Pentecoste (a maggio o a giugno a seconda degli anni), prende vita a Monterubbiano la rievocazione storica della “Sciò la Pica”. Sebbene sia difficile datare con certezza le origini della rievocazione, esistono documenti cinquecenteschi che ne attestano la storicità ed un'antichità che risale addirittura alla "Ver Sacrum", ossia la "Primavera sacra" picena, vantando una continuità storica praticamente ininterrotta.

Secondo la tradizione tramandataci dagli storici latini Plinio, Festo e Strabone, giovani popolazioni sabine, allontanate dal proprio nucleo di origine per "voto" sacrificale in occasione forse di una pestilenza o di una carestia, in epoche diverse, seguendo percorsi prestabiliti, arrivarono, prima dell’espansione romana, fin nel nostro Piceno, seguendo il volo del Picchio, uccello totemico sacro al Dio Marte.

Di questi lontani avvenimenti resta ancora oggi eco nella tradizione monterubbianese dello "sciò la pica" dove un gruppo di zappaterra, vestito del tradizionale guazzarone, ripete l’antica costumanza scacciando la pica con una canna, da un albero di ciliegio tagliato per l'occasione alle prime luci dell’alba da alcuni giovani del paese; la pica, legata in antico con una corda al ramo dell’albero è oggi "gelosamente" custodita in una gabbia. Lo zappaterra che porta il ciliegio finge di piantarlo, mentre un compagno in atto di incalzarlo con la zappa va invece a rasentare le scarpe degli astanti; un terzo allora, al grido "Sciò la pica!" all’improvviso sbruffa sulla folla il vino attinto da una rituale borraccia ("lu trufu"). Cento volte il rituale si rinnova per le vie del paese e cento volte si ripetono le risa divertite della gente accorsa.

Accanto a questa tradizione più antica si affianca quella medievale dell'Armata di Pentecoste in cui si ricorda quando la terra di Monterubbiano per intercessione della Madonna del Soccorso, fu liberata dal tiranno. La mattina del giorno di Pentecoste, dal quattrocentesco palazzo comunale, fa ingresso nella piazza uno splendido corteo di dame e cavalieri con al seguito le proprie armate, composte da giovani scelti fra le antiche corporazioni cittadine, ossia gli Artisti, i Bifolchi, i Mulattieri e gli Zappaterra. La sfilata parte dalla piazza per raggiungere la chiesa di Sanata Maria del Soccorso, adiacente al campo di gara, ove si svolge la domenica mattina, come da tradizione, la Santa Messa con l’offerta dei ceri.

Il culmine della festa si ha, poi, nel pomeriggio domenicale alle ore 16 con la Giostra dell’Anello, durante la quale agguerriti cavalieri in groppa al proprio cavallo si sfidano in una competizione che necessita di grande abilità e destrezza. La tensione è palpabile, la concentrazione dei fantini percepibile anche da lontano. La conclusione della giostra è segnata da grida di gioia dei componenti della corporazione vincente, un’atmosfera, questa, che accompagna il rientro al centro storico dove ad essere premiato sarà il cavaliere che ha portato alla vittoria finale i propri colori. A chiusura della rievocazione, il martedì successivo, presso i Giardini di San Rocco, si svolgono i cosiddetti “Baccanali”, festeggiamenti che sono sicuramente ricordi di lontani riti pagani praticati dai Piceni.

Dunque due sono gli aspetti della rievocazione: da una parte il gruppo dei "Guazzarò" e la pianta di ciliegio a cui è appeso il picchio, che ricorda il nucleo più antico risalente alla Primavera Sacra; dall'altra la sfilata in costume con le Corporazioni di arti e mestieri tipiche dell'epoca medievale, l'Armata di Pentecoste, l'offerta dei ceri alla Madonna e la conclusiva spettacolare giostra dell'anello. Gli Statuti Comunali dell'epoca attestano con esatta dicitura il fondamento storico di tutta la manifestazione che tuttora è l'orgoglio della cittadinanza.

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